Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 03-05-2011, n. 9718 Pensione di anzianità e vecchiaia

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte d’Appello di Torino, con sentenza del 30.4 – 20.5.2008, accogliendo il gravame proposto da G.G. nei confronti della Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza a favore dei Ragionieri e Periti Commerciali (qui di seguito, per brevità, indicata anche come Cassa), dichiarò il diritto dell’appellante alla riliquidazione della pensione di anzianità risultante dall’applicazione del coefficiente di neutralizzazione solo sulla quota di pensione maturata successivamente al 7.6.2003. A fondamento del decisum la Corte territoriale ritenne quanto segue:

– l’applicazione del coefficiente di neutralizzazione era illegittima in quanto non teneva conto del principio del pro rata di cui alla L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 12;

– l’affermazione dell’inapplicabilità del pro rata al sistema di calcolo della pensione, di per sè non suscettibile di frazionamento, contrastava con il dato testuale della L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 12, che come tale non consente interpretazioni sostanzialmente abrogative;

– lo ius superveniens ( L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 763), siccome modificativo e non interpretativo della normativa precedente, non aveva efficacia retroattiva, ma disponeva per il futuro;

– l’espressa previsione di salvezza degli atti e delle deliberazioni adottati prima della predetta modifica legislativa non stava a significare che tali atti fossero conformi a legge, sicchè la loro legittimità ed efficacia doveva essere vagliata alla luce del vecchio testo normativo per i pensionamenti che, come nella specie, erano stati attuati entro il 2006 (in particolare da 1.2.2005).

Avverso l’anzidetta sentenza della Corte territoriale la Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza a favore dei Ragionieri e Periti Commerciali ha proposto ricorso per cassazione fondato su quattro motivi.

L’intimato G.G. ha resistito con controricorso, illustrato con memoria, svolgendo altresì ricorso incidentale condizionato fondato su un motivo.
Motivi della decisione

1. Con il primo motivo la ricorrente principale denuncia violazione di legge ( L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 12, e L. n. 414 del 1991, art. 1), deducendo l’inapplicabilità del principio del pro rata in caso di riforma strutturale della gestione previdenziale, realizzata anche mediante il passaggio dal sistema retribuivo (o a ripartizione) al sistema contributivo (o a capitalizzazione).

Con il secondo motivo la ricorrente principale denuncia violazione di legge ( L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 12, e L. n. 414 del 1991, art. 1), deducendo l’inapplicabilità del principio del pro rata con riferimento ai parametri insuscettibili di frazionamento nel tempo e di separata valutazione in relazione ai periodi temporali di vigenza di diverse normative.

Con il terzo motivo la ricorrente principale denuncia violazione di legge ( L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 12, come modificato dalla L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 763 e L. n. 414 del 1991, art. 1), sostenendo che lo ius superveniens costituito dal ridetto L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 763, nella parte in cui fa salvi gli atti e le deliberazioni in materia previdenziale adottati dagli Enti ed approvati dai Ministeri vigilanti prima della sua entrata in vigore, doveva essere interpretato nel senso di comportare la validità e la legittimità sopravvenuta della regolamentazione contenuta negli atti e deliberazioni anteriori con efficacia retroattiva, ossia fin dalla loro emissione.

Con il quarto motivo la ricorrente principale denuncia vizio di motivazione, assumendo che la Corte territoriale, in relazione alla L. n. 414 del 1991, art. 1, comma 4 e tenuto conto che l’iscritto aveva maturato il diritto alla pensione di vecchiaia dal 1 dicembre 2002, non aveva motivato sul perchè dovesse trovare applicazione il principio del pro rata.

Con l’unico motivo il ricorrente incidentale denuncia nullità della sentenza o del procedimento assumendo che l’eccezione di infrazionabilità dell’anzianità contributiva, su cui pure la Corte territoriale si era pronunciata, era stata proposta per la prima volta in appello e avrebbe quindi dovuto essere dichiarata inammissibile.

2. Con la delibera del 7 giugno 2003 il Comitato dei delegati ha introdotto, a far tempo dal primo gennaio 2004, il nuovo sistema contributivo, in luogo del precedente sistema retributivo per il calcolo delle pensioni, di talchè, secondo il criterio del pro rata, i professionisti iscritti alla Cassa in data anteriore al primo gennaio 2004 avrebbero ricevuto una pensione articolata in due quote, l’una sino al 31 dicembre 2003, di carattere retributivo, l’altra dal gennaio 2004, contributiva.

Detta delibera non è stata, nè è sospettabile di illegittimità, posto che la possibilità di passaggio dal sistema retributivo a quello contributivo delle pensioni dei liberi professionisti è espressamente contemplato dalla legge regolatrice vigente al momento della delibera, ossia dalla citata L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 12 che nell’ultima parte prevede che "Gli enti possono optare per l’adozione del sistema contributivo definito ai sensi della presente legge". 3. La controversia nasce dal fatto che, con la precedente delibera del 22 giugno 2002, era stato modificato il sistema di calcolo delle pensioni: si trattava ovviamente di pensioni "retributive" e, quindi, commisurate ai redditi professionali, perchè, mentre con il sistema precedente si prendevano a base della pensione i quindici migliori redditi degli ultimi venti anni anteriori alla maturazione del diritto a pensione, con la delibera del 2002 si era previsto invece che la pensione dovesse essere liquidata in base "alla media di tutti i redditi professionali annuali.

4. E’ evidente che questo nuovo sistema di calcolo determina una diminuzione sull’ammontare delle pensioni rispetto a quello che sarebbe stato il risultato secondo il sistema precedente e, quindi, una minor misura di quella quota della pensione retributiva, maturata fino al 31 dicembre 2003: di qui la controversia, con cui professionista ha chiesto le differenze di pensione, sostenendo che detta quota doveva invece essere mantenuta intatta in forza della la regola del pro rata sancita dalla L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 12, che recita per quanto qui interessa: "Nel rispetto dei principi di autonomia affermati dal D.Lgs. 30 giugno 1994, n. 509, relativo agli enti previdenziali privatizzati, allo scopo di assicurare l’equilibrio di bilancio in attuazione di quanto previsto dall’art. 2, comma 2, del predetto decreto legislativo, la stabilità delle rispettive gestioni è da ricondursi ad un arco temporale non inferiore a 15 anni. In esito alle risultanze e in attuazione di quanto disposto dall’art. 2, comma 2, del predetto decreto, sono adottati dagli enti medesimi provvedimenti di variazione delle aliquote contributive, di riparametrazione dei coefficienti di rendimento o di ogni altro criterio di determinazione del trattamento pensionistico nel rispetto del principio del pro rata in relazione alle anzianità già maturate rispetto alla introduzione delle modifiche derivanti dai provvedimenti suddetti. …. Gli enti possono optare per l’adozione del sistema contributivo definito ai sensi della presente legge". 5. La Cassa ricorrente solleva sostanzialmente tre questioni: con la prima (secondo motivo di ricorso) assume che il principio del pro rata non sarebbe applicabile, in via assoluta; con la seconda (primo motivo) che la regola del pro rata di cui al citato L. n. 335 del 1995, art. 3 non opererebbe nel caso della delibera in esame, perchè non concernente un mero processo di riequilibrio finanziario, ma una riforma integrale dell’ordinamento attraverso il passaggio dal sistema retributivo a quello contributivo; con la terza (terzo motivo) che la delibera in contestazione avrebbe in ogni caso ricevuto sanatoria ad opera dello ius superveniens di cui alla citata L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 763. 6. Conviene trattare preliminarmente il secondo motivo di ricorso, perchè investe principi di carattere generale e, ove accolto, determinerebbe in radice l’annullamento della sentenza impugnata, senza necessità di esaminare le altre doglianze. Il motivo è infondato.

E’ infatti pur vero che con una sentenza di questa Corte (cfr, Cass., n. 14701/2007) si è affermato che "Il principio del pro rata deve intendersi fatto dal legislatore con riferimento ai parametri suscettibili di frazionamento nel tempo e di separata valutazione in relazione ai periodi temporali di vigenza di diverse normative", con la conseguenza che non sarebbe "applicabile al sistema di calcolo della pensione, che non è suscettibile di frazionamento, in quanto può avvenire esclusivamente al momento dell’accoglimento della domanda di pensionamento e deve essere eseguito secondo le norme in vigore in quel momento"; tuttavia questo orientamento è stato disatteso dalla successiva giurisprudenza di legittimità (cfr, Cass., nn.. 20235/2010; 24202/2009). In particolare Cass., n. 24202/2009, cit., così motiva: "…il principio del pro rata – come questa Corte ha già avuto occasione di ritenere (vedine la sentenza n. 22240 del 25 novembre 2004) – non può che essere inteso nel senso enunciato (dalla stessa L. 8 agosto 1995, n. 335, art. 1, comma 12 cit.), laddove – con riferimento specifico ai lavoratori (iscritti all’assicurazione generale obbligatoria ed a forme sostitutive ed esclusive della stessa e) soggetti, nel passaggio dal sistema retribuivo al sistema contributivo di calcolo della pensione, ad entrambi i sistemi (cioè ai lavoratori che possono far valere un’anzianità contributiva inferiore a diciotto anni) – stabilisce che, in tale caso, "la pensione è determinata dalla somma:

a) della quota di pensione – corrispondente alle anzianità acquisite anteriormente al 31 dicembre 1995 (cioè, alla entrata in vigore del sistema contributivo) – calcolata, con riferimento alla data di decorrenza della pensione, secondo il sistema retributivo previsto dalla normativa vigente precedentemente alla predetta data;

b) della quota di pensione corrispondente ai trattamento pensionistico relativo alle ulteriori anzianità contributive calcolato secondo il sistema contributivo".

Analogamente, i lavoratori iscritti ad enti previdenziali privatizzati – nel caso di successione, durante il periodo dell’iscrizione, di sistemi diversi di calcolo della pensione – hanno, quindi, diritto – in ossequio, appunto, al principio del pro rata – ad altrettante quote di pensione, da calcolare – in relazione a ciascun periodo dell’anzianità maturata -secondo il sistema, rispettivamente, in vigore. La Corte – così decidendo – consapevolmente si discosta dal proprio precedente in senso contrario (Cass. n. 14701 del 25 giugno 2007), che – trascurando la prospettata normativa di fonte legislativa -perviene alla conclusione – che non pare, tuttavia, sorretta da alcuna base giuridica – secondo cui il principio del pro rata "deve intendersi fatto dal legislatore con riferimento ai parametri suscettibili di frazionamento nel tempo e di separata valutazione in relazione ai periodi temporali di vigenza di diverse normative" con la conseguenza che non sarebbe "applicabile al sistema di calcolo della pensione, che non è suscettibile di frazionamento, (in quanto) può avvenire esclusivamente al momento dell’accoglimento della domanda di pensionamento e deve essere eseguito secondo le norme in vigore in quel momento".

In conformità a questo più recente orientamento va quindi ribadito che, se è ben vero, in via generale, che la pensione si calcola con le regole della normativa vigente all’epoca di maturazione del diritto, tuttavia il legislatore degli ultimi anni (che si connotano per il perseguimento del risparmio della spesa previdenziale dei sistemi pubblici e privati, come nella specie), ricorre sovente alla diversa regola del pro rata, specificamente per le prestazioni pensionistiche di anzianità e vecchiaia, i cui presupposti si maturano nel corso del tempo, andando a regolare quei casi in cui la lunga anzianità assicurativa, che è prescritta come requisito, si colloca in un ambito temporale ove si succedono normative intrinsecamente diverse ed ove la più recente è solitamente meno favorevole di quella precedente. In questi casi il legislatore, giacchè solo a lui compete la scelta, deroga alla regola generale della applicazione della legge vigente all’epoca di liquidazione della pensione, con l’ovvia finalità di non frustrare le aspettative di diritti in via di maturazione e scinde la pensione in due quote che si sommano tra loro: una quota è calcolata sulla base della anzianità assicurativa acquisita sotto il vigore della vecchia disposizione (legge o delibera com’è nella specie) e l’altra, ossia la anzianità residua, si calcola alla luce della nuova legge meno favorevole.

La stessa esigenza si ravvisa per la pensione per cui è causa, onde il secondo motivo di ricorso è infondato.

7. Le argomentazioni testè svolte conducono pianamente al rigetto anche del primo motivo di ricorso, con cui si sostiene che la L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 12, imporrebbe l’applicazione del principio del pro rata solo nei casi di "riparametrazione dei coefficienti di rendimento o di ogni altro criterio di determinazione del trattamento pensionistico" e non già nei casi di opzione per il passaggio dal sistema retribuivo a quello contributivo. Si osserva che il tenore testuale della norma non consente questa interpretazione e che, in ogni caso, sarebbe incongruo escludere la regola del pro rata proprio nei casi in cui il mutamento di legislazione è più vistoso e più incide sui trattamenti pensionistici ed imporlo, invece, quando le modifiche deliberate potrebbero apportare solo lievi variazioni all’ammontare delle pensioni spettanti. Infatti, è proprio nei casi di "rivoluzioni" del sistema che si fa più acuta l’esigenza di salvaguardare i diritti in via di maturazione, evitando di sottoporre "l’intera" anzianità assicurativa acquisita nel vigore della vecchia normativa ad una normativa nuova, meno favorevole, emanata poco prima del conseguimento del diritto, che, in alcuni casi, opera solo per gli ultimi anni o, addirittura, per gli ultimi mesi. Non è un caso, come già osservato dalla citata sentenza di questa Corte n. 24202/2009, che la più importante fattispecie di pro rata sia stata introdotta proprio dalle L. n. 335 del 1995, che ha introdotto, per le pensioni Inps, il mutamento del sistema pensionistico da retributivo a contributivo. D’altra parte anche il sistema del pro rata rientra nell’ambito di previsione della L. n. 335 del 1995, art. 1, comma 2, che recita "Le disposizioni della presente legge costituiscono principi fondamentali di riforma economico-sociale della Repubblica.

Le successive leggi della Repubblica non possono introdurre eccezioni o deroghe alla presente legge, se non mediante espresse modificazioni delle sue disposizioni". 8. Parimenti infondato è il terzo motivo, con cui si prospetta che la delibera del 2002 sarebbe in ogni caso "divenuta legittima" ad opera dello ius superveniens, ossia della L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 763. Tale norma sostituisce il primo e il secondo periodo dell’art. 3, comma 12, L. n. 335 del 1995: con il primo si innalza l’arco temporale da prendere in esame per assicurare l’equilibrio di bilancio degli enti previdenziali privatizzati da 15 a 30 anni; con il terzo periodo (sostitutivo del secondo della precedente norma) si dispone: "In esito alle risultanze e in attuazione di quanto disposto dal suddetto art. 2, comma 2, sono adottati dagli enti medesimi, i provvedimenti necessari per la salvaguardia dell’equilibrio finanziario di lungo termine, avendo presente il principio del pro rata in relazione alle anzianità già maturate rispetto alla introduzione delle modifiche derivanti dai provvedimenti suddetti e comunque tenuto conto dei criteri di gradualità e di equità fra generazioni. … Sono fatti salvi gli atti e le deliberazioni in materia previdenziale adottati dagli enti di cui al comma 1 ed approvati dai Ministeri vigilanti prima dell’entrata in vigore della presente legge". 8.1 Con la ordinanza n. 124 del 2008 la Corte Costituzionale ha dichiarato manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale di detta disposizione, censurata in riferimento agli artt. 3, 4, 24 e 38 Cost., nella parte in cui fa salvi gli atti e le deliberazioni adottati dagli enti previdenziali ed approvati dai Ministeri vigilanti prima dell’entrata in vigore della legge stessa, così determinando, secondo il rimettente, la sanatoria della Delib.

22 giugno 2002 del Comitato dei delegati della Cassa nazionale a favore dei ragionieri, della cui legittimità si controverteva nel giudizio a quo, ha affermato la Corte che la questione non sembrava diretta a dirimere un dubbio di legittimità costituzionale ma si risolveva nella richiesta alla Corte di un avallo all’interpretazione, non univoca, nè basata su un diritto vivente, che il rimettente riteneva dovesse essere attribuita alla norma impugnata. Quindi, con la successiva sentenza n. 263 del 2009, il Giudice delle leggi ha confermato il giudizio di inammissibilità, affermando che il rimettente aveva omesso di esplorare altre, pur possibili, interpretazioni della disposizione censurata, oltre quella prospettata o, quanto meno, di evidenziare le ragioni per le quali tali interpretazioni (e, in particolare, una proposta nella giurisprudenza di merito e di per sè suscettibile di eliminare in radice l’ipotizzato dubbio di costituzionalità) non sarebbero state accoglibili; ciò in relazione al consolidato insegnamento secondo cui una disposizione non si dichiara illegittima perchè suscettibile di un’interpretazione contrastante con i parametri costituzionali, ma soltanto se ne è impossibile altra a questi conforme.

8.2 La principale differenza rispetto alla norma precedente, che imponeva il rispetto del principio del pro rata, è una sua attenuazione: non deve più esser "rispettato" ma si deve averlo presente, tenendo altresì conto dei criteri di gradualità e di equità fra generazioni; il principio non è più un vincolo cogente bensì elastico, in quanto concorrente con esigenze di gradualità e di equità tra generazioni. Ciò significa che dal primo gennaio 2007 l’autonomia regolamentare degli enti non incontra più i limiti posti dal vecchio testo della L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 12, ma quelli, meno rigidi, del nuovo testo.

Anche la Cassa riconosce che non si tratta di norma interpretativa e quindi retroattiva, ma di disposizione destinata ad operare dal primo gennaio 2007, come dispone l’art. 1, u.c. della medesima legge. La Cassa invoca però l’ultima parte della disposizione per cui "Sono fatti salvi gli atti e le deliberazioni in materia previdenziale adottati dagli enti di cui al comma 1 ed approvati dai Ministeri vigilanti prima dell’entrata in vigore della presente legge" e sostiene che ciò che il legislatore ha voluto è proprio di far salve, per il passato, le delibere e gli atti adottati nell’esercizio di un’autonomia spintasi, in ipotesi, oltre i limiti stabiliti dalla previgente normativa, ratificando e "sanando" l’irregolarità commessa. A suo avviso, infatti, la disposizione sarebbe del tutto inutile se interpretata nel senso di far salvi solo gli atti pregressi purchè validi, giacchè gli atti validi non hanno necessità di alcuna ratifica.

8.3 Va in primo luogo osservato che l’infondatezza dì questa tesi emerge considerando che la disposizione invocata vale non solo per la Cassa dei Ragionieri e Periti Commerciali, ma per tutti gli organismi che gestiscono forme obbligatorie di previdenza e assistenza (escluse quelle sostitutive che pure erano incluse nel D.Lgs. di privatizzazione 30 giugno 1994, n. 509 come Enasarco, Inpgi, Enpam), quali le Casse Avvocati e Procuratori, Dottori Commercialisti, Geometri, Ingegneri ed Architetti, e che quindi vi sarebbe una amplissima sanatoria di tutte le delibere di modifica della regolamentazione delle pensioni, ossia di atti, risalenti a tempi diversi e di cui nulla si sa, neppure se abbiano contenuto "anticipatorio" della nuova legge, come la Cassa sostiene per la sua delibera del 2002, con l’unica condizione di essere stati approvati dai Ministeri vigilanti antecedentemente al primo gennaio 2007.

Sarebbe invero incongruo ritenere che la norma abbia inteso attuare una sanatoria, proiettata nel passato, di una serie indefinita di atti delle Casse, a contenuto non identificato, i quali, all’epoca della loro emanazione, non erano conformi alla legge vigente. Inoltre "far salvo" un provvedimento significa che esso non perde efficacia per effetto della nuova legge, ma non anche che esso sia conforme a legge, di talchè gli atti ed i provvedimenti adottati dagli enti prima della disposizione del 2006 rimangono efficaci e la loro legittimità, per i pensionamenti attuati entro il 2006, come nella specie, deve essere vagliata alla luce del vecchio testo della disposizione in quanto normativa da applicare ratione temporis.

8.4 Va disattesa la tesi della Cassa secondo cui solo con l’interpretazione da lei propugnata la disposizione troverebbe una sua ragion d’essere, mentre, diversamente opinando sarebbe del tutto inutile.

Deve infatti rilevarsi che il mantenimento di efficacia di tali atti si giustifica invece pienamente per il periodo "successivo" all’entrata in vigore della legge del 2006, ossia dopo le modifiche apportate dalla disposizione in commento, allorquando è stato modificato il procedimento per l’emanazione dei provvedimenti delle Casse, basati non più sui bilanci tecnici redatti dai singoli Enti, com’era in precedenza ( D.Lgs. n. 509 del 1994, art. 2, comma 2), ma "in esito" ad un bilancio tecnico redatto secondo criteri determinati dal Ministero dell’Economia, sentiti gli enti interessati, sulla base delle indicazioni elaborate dal Consiglio nazionale degli attuari, nonchè del nucleo di valutazione della spesa previdenziale. Si sarebbe potuto infatti ritenere che, in relazione ai periodi successivi all’entrata in vigore della legge, ossia dal primo gennaio 2007 in poi, non ci si potesse più avvalere delle delibere precedenti, e che quindi le stesse fossero da ritenere automaticamente caducate, perchè non elaborate alla stregua dei nuovi criteri. La ratifica era quindi necessaria, perchè sorgeva la necessità di conferire ultrattività alle vecchie delibere, anche se non redatte ai sensi della nuova legge ormai vigente ratione temporis. In altri termini, la sanatoria di cui all’ultima parte del comma 763 è funzionale a coprire il periodo successivo all’entrata in vigore della legge, allorquando le regole per le delibere erano già state modificate, ma non si era avuto ancora il tempo di adottarle secondo le prescrizioni del nuovo sistema. Si tratta in definitiva di una norma transitoria per non paralizzare l’attività degli enti. Conclusivamente, dovendosi escludere sanatorie di sorta della delibera della Cassa del 2002 ad opera della legge del 2006, la medesima è illegittima, onde il motivo va rigettato.

9. Il quarto motivo, prima ancora che infondato (avendo i Giudici di merito ben tenuto presente la data di conseguimento della pensione) deve ritenersi inammissibile.

Infatti la giurisprudenza di questa Corte, anche a Sezioni Unite, ha affermato che, poichè secondo l’art. 366 bis c.p.c. (applicabile ratione temporis nella presente causa), nel caso previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione, la relativa censura deve contenere, un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (cfr, ex plurimis, Cass., SU, n. 20603/2007).

Nel caso di specie la parte ricorrente non ha adempiuto a tale onere e, pertanto, il motivo all’esame risulta inammissibile. Nè a diverse conclusioni potrebbe giungersi tenendo conto del riferimento fatto alla L. n. 414 del 1991, art. 1, comma 4, sia per la mancata formulazione del quesito di diritto ex art. 366 bis c.p.c. in relazione all’eventuale violazione di tale norma, sia perchè, secondo il costante orientamento di questa Corte, la violazione o falsa applicazione di norme di diritto, che, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ricorre nel caso di errata interpretazione o applicazione di una norma, non può essere denunciata in Cassazione come vizio di omessa, insufficiente e contraddico ria motivazione, perchè tale vizio è riferito dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, alla ricostruzione della concreta fattispecie e può dare luogo solo al controllo della giustificazione del giudizio sulla ricostruzione del fatto (cfr, ex plurimis, Cass., nn. 228/1995; 5271/2002).

10. In definitiva il ricorso principale va rigettato, con enunciazione del principio per cui è illegittimo il provvedimento di liquidazione della quota retributiva di pensione (avendo determinato il reddito professionale, su cui liquidare la pensione, non già, com’era in precedenza, sulla base "dei quindici redditi professionali annuali dichiarati dall’iscritto ai fini Irpef per gli ultimi venti anni di contribuzione anteriori a quello di maturazione del diritto a pensione", ma sulla base della "media di tutti i redditi professionali annuali") perchè effettuato dalla Cassa in violazione della regola del pro rata di cui alla L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 12, applicabile anche alle pensioni per cui è causa; il disposto della L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 763, va interpretato nel senso che la disposta salvezza degli atti e delle deliberazioni in materia previdenziale adottati dagli enti di cui al D.Lgs. n. 509 del 1994 ed approvati dai Ministeri vigilanti, non vale a sanare la illegittimità dei provvedimenti adottati in violazione della precedente legge vigente al momento della loro emanazione. Ciò comporta l’assorbimento del ricorso incidentale condizionato. Le spese del giudizio, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso principale, dichiara assorbito quello incidentale e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese, che liquida in Euro 2.040,00 (duemilaquaranta/00), di cui Euro 2.000,00 (duemila/00) per onorari, spese generali, Iva e Cpa come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *