Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 20-01-2011) 03-03-2011, n. 8476 Ricorso

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

B.F., tramite difensore, ha proposto ricorso per cassazione avverso l’ordinanza, in data 3.8.2010, con cui il Tribunale di Catanzaro rigettava l’istanza di riesame avverso l’ordinanza 17.7.2010 del GIP presso i Tribunale di Catanzaro, applicativa della misura cautelare custodia in carcere per i reati di cui all’art. 416 bis c.p., commi 1, 2, 3, 4, 5 e 6; art. 110 c.p., art. 629 c.p., 2 e art. 628 c.p., nn. 1 e 3 e D.L. n. 152 del 1991, art. 7; art. 110 c.p., art. 629 c.p., comma 2 con riferimento all’art. 628 c.p., comma 3, n. 3, D.L. n. 152 del 1991, art. 7.

Il ricorrente chiedeva l’annullamento del provvedimento impugnato deducendo:

1) erronea applicazione degli artt. 273, 192 e 195 c.p.p.; violazione dell’art. 125 c.p.p., comma 3 per omessa motivazione sui gravi indizi di colpevolezza a proprio carico, avendo il Tribunale del riesame omesso di valutare gli specifici elementi a discarico indicati dalla difesa; in particolare, la chiamata di correo di A.C., cognato di B.M., era "de relato" ed inattendibile, considerati i rapporti d’inimicizia fra lo stesso e la famiglia B. e, peraltro, la dichiarazione accusatoria dell’ A. era stata smentita dalla presunta parte offesa, R.C., che aveva escluso di aver ricevuto alcuna richiesta, da parte di B.M., per affidare i lavori di pitturazione al fratello F. nè era stato accertato, mediante C.T.U., quanto dichiarato da C.G. in ordine al fatto che le fatture emesse da B.F. erano "gonfiate" e che fossero state utilizzate per ottenere il finanziamento; peraltro difettava la prova che la fattura fosse stata emessa per una superficie superiore a quella effettivamente eseguita sicchè, quanto al reato di estorsione in danno del C., mancava il danno della parte offesa e l’ingiusto profitto. Riguardo all’estorsione in danno di R. C. la mancata emissione della fattura integrava una irregolarità fiscale e non un’estorsione.

In ordine al reato di cui all’art. 416 bis c.p. non era stata motivata la partecipazione del ricorrente all’associazione mafiosa e non sussisteva la prova che i reati – fine fossero stati commessi nell’interesse dell’associazione stessa; 2) violazione dell’art. 629 c.p. per insussistenza degli presupposti soggettivi ed oggettivi del delitto di estorsione, non essendo ravvisabile nella condotta contestata per l’esecuzione dei lavori nei confronti di C. G. e dei soci R. – O. alcuna violenza o minaccia e potendosi configurare, per il pagamento superiore a quello concordato il delitto di truffa. Il ricorso è manifestamente infondato.

Le censure sopra esposte attengono ad una valutazione alternativa delle elementi indiziari e delle circostanze di fatto su cui è fondata l’ordinanza impugnata, a fronte di una congrua e logica motivazione della stessa e della correttezza dei principi di diritto governanti l’apprezzamento delle risultanze probatorie. Trattasi, quindi, di doglianze inammissibili in sede di legittimità, posto che, in materia di misure cautelari personali, alla Corte di legittimità spetta solo il compito di verificare se il giudice di merito abbia dato conto, adeguatamente, delle ragioni che lo hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato, controllando la congruità della motivazione, senza che sia possibile procedere a nuova o diversa valutazione degli elementi indizianti e fattuali delle vicende indagate (Cass. n. 3240/2004; n. 1700/97). Orbene, il Tribunale del Riesame ha dato conto, con specifica e logica motivazione, della sussistenza dei gravi indizi in ordine al reato associativo contestato;in particolare, ha evidenziato l’inserimento dell’indagato nell’organizzazione di stampo mafioso e l’ascrivibilità allo stesso degli episodi estorsivi contestati, richiamando le intercettazioni telefoniche ed ambientali oltrechè le propalazioni del collaboratore di giustizia A.C., la cui attendibilità risultava confermata da molteplici provvedimenti giurisdizionali. I reati-fine di estorsione risultano pure sorretti da gravi indizi, in relazione, fra l’altro, alla chiamata di correo da parte di A.C. che aveva indicato con precisione le circostanze di tempo e di luogo in cui si concretizzava la condotta illecita, il ruolo svolto dall’attuale ricorrente per il conseguimento degli scopi della compagine associativa criminosa, "descrivendo particolari episodi cui aveva avuto modo di partecipare o assistere personalmente (V. pag. 17 ordinanza imp.) ed evidenziando la imposizione alle parti offese di fatture per lavori mai eseguiti o, comunque, di importo molto superiore a quelli eseguiti. Non essendo, quindi, ravvisabile alcun vizio manifesto di illogicità o carenza di motivazione nè alcuna violazione di legge, deve dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.

Consegue, ex art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende, considerati i profili di colpa emergenti dal ricorso.

Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p..
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di Euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende. Si provveda a norma dell’art. 94 disp. att. c.p.p..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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