Cass. civ. Sez. III, Sent., 03-05-2011, n. 9689 Giudizio

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza 4 giugno – 22 luglio 2008 la Corte d’appello di Napoli dichiarava inammissibile la domanda proposta da P.G., ai sensi dell’art. 622 c.p.p., per ottenere il risarcimento dei danni derivati dalla azione di diffamazione perpetrata ai suoi danni da M.A..

Osservava la Corte che quest’ultimo era stato assolto dal giudice penale (Tribunale di Matera, sezione distaccata di Pisticci) perchè il fatto non costituiva reato.

Il P., già costituito parte civile, aveva proposto appello, ma la Corte d’appello di Potenza aveva dichiarato inammissibile il gravame per difetto di procura.

Contro tale decisione il P. aveva proposto ricorso per cassazione.

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 577 del 2005, aveva annullato, agli effetti civili, la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d’appello di Napoli in sede civile.

Il P. aveva citato, ai sensi dell’art. 622 c.p.p., il M. dinanzi alla Corte d’appello chiedendo la condanna dello stesso al risarcimento del danno, indicato in Euro 25.000.000, previo accertamento incidentale della responsabilità penale del convenuto è/o comunque del riconoscimento di illecito civile nascente dalla azione diffamatoria.

Si costituiva il M., chiedendo il rigetto della domanda, con risarcimento del P. al pagamento delle spese del giudizio ed al risarcimento dei danni per responsabilità aggravata, ai sensi dell’art. 96 c.p.c., data la temerarietà della lite.

La Corte d’appello civile – con la sentenza sopra richiamata – dichiarava la inammissibilità della domanda del P., perchè coperta da giudicato di cui alla sentenza 3709 del 2007 della Corte di appello penale di Napoli del 18 aprile-20 giugno 2007.

Tale decisione, passata in giudicato, aveva dichiarato il M. responsabile, agli effetti civili, del reato di diffamazione ascrittogli, condannandolo al risarcimento dei danni in favore del P. liquidandoli in via equitativa in Euro 2.000.000.

Avverso tale decisione il P. ha proposto ricorso per cassazione sorretto da un unico motivo.

L’intimato non ha svolto difese in questo giudizio.
Motivi della decisione

Con l’unico motivo il ricorrente denuncia omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5 in relazione al concetto di danno risarcibile ex art. 2059 c.c. e art. 185 c.p..

Rileva il ricorrente, in linea generale, che il giudice civile non è affatto vincolato alla soluzione adottata dal giudice penale, in ordine alla liquidazione e quantificazione del danno.

La sentenza penale ha efficacia di giudicato quanto all’accertamento della sussistenza del fatto e della sua illiceità penale, nel giudizio civile per il risarcimento del danno.

Tuttavia, ciò non comporta affatto che il giudice civile non debba pronunciarsi autonomamente sulla richiesta dell’intero danno per le diverse tipologie rappresentate, avanzate dinanzi a sè e conseguentemente provvedere alla sua liquidazione.

Nonostante quanto affermato dalla Corte civile napoletana, per quanto riguarda la richiesta del P., non si trattava di una domanda di ulteriore condanna al risarcimento dei danni, preclusa dal divieto del "ne bis in idem", ma più semplicemente della condanna in sede civile che non poteva essere preclusa dalla liquidazione equitativa operata in sede penale (che era stata contenuta nell’importo di Euro 2.000,00).

In particolare, la Corte d’appello civile non aveva considerato tutti i danni non patrimoniali subiti dal P., che non potevano certo ridursi al solo danno morale soggettivo.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, la liquidazione del danno deve essere effettuata in base a parametri oggettivi, inerenti alla persona dell’offeso, tenendo conto del suo inserimento nel contesto sociale e professionale.

Nella specie, il P., tecnico di laboratorio, e la moglie, professoressa di lettere in istituto scolastico di (OMISSIS), avevano avuto gravi danni dalla diffusione della notizia nell’ambiente condominiale e di lavoro (i coniugi erano stati accusati, ingiustamente, dall’amministratore del condominio, di avere scosso i tappeti nell’area condominiale, dal balcone del loro appartamento).

Osserva il Collegio:

"Costituisce capo della sentenza passibile di passare in giudicato in conseguenza di omessa impugnazione, la statuizione con la quale il giudice, in caso di esercizio della azione civile nel processo penale, decide circa le restituzioni ed il risarcimento del danno derivante dal reato" (Cass. Pen. Sez. 4, 29 settembre – 1 dicembre 2000).

Del tutto inconferente, appare il richiamo alla decisione di questa Corte n. 5224 del 2006, relativa ad una diversa ipotesi, in cui in sede civile era stato richiesto solo il danno morale e biologico e nel giudizio penale il solo danno patrimoniale.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, il principio di autonomia e di separazione del giudizio civile da quello penale, posto dall’art. 75 cod. proc. pen., comporta che, qualora un medesimo fatto illecito produca diversi tipi di danno, il danneggiato possa pretendere il risarcimento di ciascuno di essi separatamente dagli altri, agendo in sede civile per un tipo e poi costituendosi parte civile nel giudizio penale per l’altro.

Tuttavia, il principio di autonomia e separazione del giudizio civile da quello penale non significa affatto duplicazione del medesimo giudizio.

Cass. 9 luglio 2009 n. 16113 ha stabilito che: "In caso di condanna generica al risarcimento dei danni contenuta nella sentenza penale, se il giudice penale non si sia limitato a statuire solo sulla potenzialità dannosa del fatto addebitato al soggetto condannato e sul nesso eziologico in astratto, ma abbia accertato e statuito sull’esistenza in concreto di detto danno e del relativo nesso causale con il comportamento del soggetto danneggiato, valgono sul punto i principi del giudicato" (cfr., tuttavia, Cass. 21 marzo 2008 n. 7695).

Nel caso di specie, vi è di più, poichè il giudice penale ha determinato, seppure in via equitativa, i danni denunciati dal P..

La Corte territoriale ha premesso che il giudice penale aveva già esaminato la "richiesta di ogni danno conseguente al fatto illecito di cui si tratta" non ravvisando la sussistenza di altri danni, oltre quello morale.

Con la conseguenza che non poteva ritenersi – come invece sostenuto dal P. – che il presente giudizio, proseguito in sede civile, avesse ad oggetto un diverso tipo di danno, non esaminato dal giudice penale.

Di fronte a tale motivato accertamento si infrangono le censure formulate dal ricorrente avverso la decisione che ha ritenuto la inammissibilità della domanda svolta in sede civile, perchè preclusa dal giudicato penale.

Conclusivamente il ricorso deve essere rigettato.

Nessuna pronuncia in ordine alle spese, non avendo l’intimato svolto difese in questa sede.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese del presente giudizio.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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