Cass. civ. Sez. III, Sent., 03-05-2011, n. 9688 Pignoramento

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

U.G. propose opposizione agli atti esecutivi avverso l’ordinanza del Tribunale di Tomezzo con la quale era stata determinata la somma da sostituire ai beni pignorati ai sensi dell’art. 495 c.p.c., proponendo censure relative alla determinazione degli interessi ed alla liquidazione delle spese anteriori all’esecuzione e del processo esecutivo.

Il Tribunale di Tolmezzo, con sentenza pubblicata il 21 agosto 2006, accolse parzialmente l’opposizione e determinò in Euro 27.078,04 la somma da sostituire ai beni pignorati, compensando le spese processuali.

Avverso tale sentenza U.G. propone ricorso per cassazione a mezzo di quattro motivi. L’intimata non si difende .
Motivi della decisione

1. Col primo motivo di ricorso il ricorrente deduce vizio di violazione di legge, in particolare dell’art. 495 c.p.c. e art. 1282 c.c., e di difetto di motivazione, con riguardo al mancato inserimento nel calcolo delle somme, determinate ai sensi della prima delle norme citate, delle spese legali portate dal titolo esecutivo, e, di conseguenza, degli interessi prodottisi sul totale dovuto, non solo per capitale ed interessi, ma anche per spese.

1.1. Il motivo è fondato.

La sentenza impugnata ha rigettato il corrispondente motivo di opposizione pur avendo enunciato correttamente il principio di diritto desumibile dalla norma dell’art. 495 c.p.c., premettendo che il corso degli interessi (fissati dal titolo fino al saldo) non può essere interrotto in data anteriore all’estinzione del debito.

Tuttavia, ha erroneamente ritenuto che nel caso di specie tale estinzione si sarebbe avuta alla data del 4 novembre 2005, quando l’esecutata ebbe a versare la somma richiesta per l’ammissione alla conversione, determinandola in Euro 23.000,00. Secondo la sentenza impugnata, questa somma sarebbe stata idonea a saldare tutto quanto dovuto per capitale ed interessi, nonchè per "parte delle spese". 1.2. Tale conclusione è errata in fatto ed in diritto. In fatto, perchè, per un errore di calcolo determina quanto dovuto per capitale ed interessi in Euro 20.793,80, mentre alla data del 4 novembre 2005 il dato era di Euro 21.053,80. In diritto, perchè a questa ultima somma il giudice dell’esecuzione avrebbe dovuto aggiungere non "parte delle spese", ma tutto intero l’importo delle spese ed accessori portati dal titolo esecutivo e, quindi, calcolare gli interessi sia sul capitale e sugli interessi che sull’importo delle spese.

2. Col secondo motivo di ricorso il ricorrente deduce vizio di violazione di legge con riferimento al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 15 n. 3 e art. 91 c.p.c., nonchè alla normativa sul contributo previdenziale del 2% sulle spese legali, per avere la sentenza impugnata escluso dalla base imponibile per calcolo dell’IVA le spese liquidate col titolo esecutivo quali esborsi, ritenendole per intero spese borsuali.

2.1. Il motivo è fondato.

La sentenza impugnata ha ritenuto che, nel silenzio del titolo esecutivo, in punto di liquidazione di spese esenti, tutte quelle liquidate a titolo di esborsi vanno considerate spese borsuali, quindi non imponibili ai fini IVA. Sebbene l’interpretazione del titolo esecutivo rientri negli apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, tale interpretazione va riformata perchè non conforme al diritto.

2.2. E’ consentito al giudice del merito che liquidi le spese indicare con un’unica voce sia le spese borsuali esenti che quelle soggette ad IVA, essendo rimessa alla fase esecutiva ogni eventuale contestazione sull’assoggettabilità ad imposta delle somme a tale fine calcolate dal creditore (cfr. Cass. n. 2582/75). Peraltro, non è affatto corretto l’assunto del ricorrente secondo il quale tutto intero l’importo liquidato per spese nel titolo esecutivo debba essere assoggettato ad IVA, rientrando nei doveri di correttezza della parte che ne pretende il pagamento distinguere, tra le spese di causa, quelle imponibili e quelle esenti. In mancanza, nel caso in cui il creditore pretenda il pagamento dell’IVA su somme che non vi sarebbero assoggettate, l’esclusione va fatta in sede esecutiva qualora dagli atti risulti che la relativa erogazione non debba avvenire per legge, ovvero che la controparte possa, per le qualità personali, a sua volta rivalersi del tributo in questione su altri soggetti (cfr., per l’espressione di tale principio generale, applicabile anche nel caso di specie, già Cass. n. 5641/81 e Cass. n. 1969/82, nonchè, tra molte, di recente Cass. n. 11877/07 e nn. 7805 e 7806/10).

2.3. Nel caso di specie, non si evince dalla sentenza impugnata che risultasse dagli atti quale fosse l’importo delle spese esenti nè che vi sia stata contestazione della parte soccombente, sicchè la sentenza impugnata va cassata anche con riguardo alla statuizione di cui si è fin qui detto.

3. Col terzo motivo di ricorso, il ricorrente denuncia violazione di legge, con riferimento agli artt. 91 e 95 c.p.c., nonchè difetto di motivazione, della statuizione della sentenza relativa alla liquidazione delle spese del processo esecutivo. Le censure mosse dal ricorrente riguardano gli onorari, che la sentenza impugnata ha fissato in misura superiore al minimo stabilito in Euro 165,00, determinando il dovuto in Euro 200,00. Il ricorrente non lamenta l’erronea applicazione delle tariffe, nè la violazione dei minimi tariffari, ma contesta che il giudice si sia attenuto ad un importo prossimo al minimo, malgrado il tipo di attività difensiva richiesta dal processo esecutivo cui della liquidazione è riferita.

3.1. Il motivo è inammissibile poichè il controllo di legittimità si può spingere fino alla verifica del rispetto dei minimi e massimi tariffari, nel senso che gli onorari non devono essere liquidati dal di sotto dei minimi (cfr. Cass. n. 1763/06) o al di sopra dei massimi (cfr. Cass. n. 18086/09), tenuto conto della tariffa vigente all’epoca della pronuncia che li definisce, non applicandosi le modificazioni tariffarie successive a tali momenti (cfr. Cass. n. 17059/07). Al fine di consentire tale controllo, il giudice del merito deve indicare il sistema di liquidazione seguito e le tariffe applicate (cfr. Cass. n. 8158/03, n. 5717/05 ed altre).

3.2. La sentenza impugnata motiva adeguatamente in punto di sistema di liquidazione e tariffe applicate e, nella liquidazione definitiva degli onorari, non solo non vi ha derogato in peius, ma li ha liquidati in misura superiore al minimo. Ogni altra valutazione rientra nell’apprezzamento di fatto riservato al giudice del merito, sicchè è precluso a questa Corte il riesame della relativa liquidazione richiesto invece dal ricorrente.

4. Col quarto motivo del ricorso, il ricorrente deduce violazione di legge con riferimento agli artt. 91 e 92 c.p.c., per avere la sentenza impugnata compensato le spese.

4.1. Il motivo è infondato. La sentenza impugnata così motiva in punto di compensazione delle spese: "sussistono giusti motivi, tra cui la parziale soccombenza e la contumacia dell’unico legittimato passivo, per compensare interamente tra le parti le spese del presente giudizio".

Per concludere nel senso della legittimità di tale statuizione (relativa a processo introdotto con ricorso del 20 dicembre 2005, cui quindi risulta applicabile la norma dell’art. 92 c.p.c. nel testo vigente prima della modifica apportata con la L. n. 263 del 2005, art. 2, comma 1, lett. a) applicabile ai giudizi introdotti dopo il 1 marzo 2006, e successivamente sostituita con la L. n. 69 del 2009), è sufficiente richiamare il precedente, conforme alla giurisprudenza prevalente di questa Corte, di cui alla sentenza n 7523/09, per la quale: "in tema di regolamento delle spese processuali, nel regime anteriore alla novella dell’art. 92 cod. proc. civ. recata dalla L. 28 dicembre 2005, n. 263, art. 2, comma 1, lett. a), rientra tra i poteri discrezionali del giudice di merito disporne la compensazione, in tutto o in parte, anche nel caso di soccombenza di una parte. Tale statuizione, ove il giudicante abbia fatto esplicito riferimento all’esistenza di "giusti motivi", non necessita di alcuna esplicita motivazione e non è censurabile in cassazione, salvo che lo stesso giudice abbia specificamente indicato le ragioni della sua pronuncia, dovendosi, in tal caso, il sindacato di legittimità estendere alla verifica dell’idoneità in astratto dei motivi posti a giustificazione della pronuncia e dell’adeguatezza della relativa motivazione". 4.2. Non vi è dubbio che, in astratto, i criteri indicati dal Tribunale di Tolmezzo per compensare le spese, vale a dire la soccombenza parziale e la contumacia dell’opposto, siano idonei a giustificare la compensazione delle spese processuali.

5. Dato quanto sopra, la sentenza impugnata va cassata in accoglimento dei primi due motivi soltanto e, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, questa Corte decide nel merito statuendo che la somma da versare dal debitore per la conversione è pari ad Euro 27.604,96, alla data del 24 novembre 2005, essendo tale somma così determinata sommando le voci di Euro 13.311,14 (capitale), Euro 7.461,85 (interessi fino al 19.1.2005), Euro 280,81 (interessi successivi fino al 24.11.05), Euro 2.429,64 (spese liquidate in sentenza ed accessori), Euro 51,59 (interessi sulle spese fino al 24.11.05), Euro 864,82 (spese successive all’emissione della sentenza), Euro 3.215,11 (spese del processo esecutivo).

6. Avuto riguardo all’accoglimento di due motivi di ricorso ed al rigetto degli altri due, si ritiene di giustizia la compensazione delle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.

La Corte accoglie i primi due motivi di ricorso, cassa la sentenza impugnata nei limiti di quanto specificato in motivazione e, decidendo nel merito, determina la somma da versare ex art. 495 c.p.c. alla data del 24 novembre 2005 complessivamente in Euro 27.604,96.

Rigetta gli altri motivi di ricorso. Compensa interamente le spese del giudizio di cassazione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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