Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 30-11-2010) 03-03-2011, n. 8442 Ricorso

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza in data 19 dicembre 2007 la Corte di appello di Genova confermava la sentenza emessa in data 22 aprile 2005 dal Tribunale di La Spezia con la quale S.S.V. era stato dichiarato colpevole del reato di ricettazione, accertato in La Spezia il 31 dicembre 2001, ed era stato condannato, ritenuta l’ipotesi attenuata prevista dall’art. 648 c.p., comma 2 e riconosciute le circostanze attenuanti generiche, alla pena di mesi otto di reclusione ed Euro 400,00 di multa, con i benefici della sospensione condizionale e della non menzione.

Avverso la predetta sentenza l’imputato ha proposto, tramite il difensore, ricorso per cassazione.

Con il ricorso si deduce:

1) l’inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità e la mancanza di motivazione, con specifico riferimento agli artt. 125 e 546 c.p.p., essendo stata la motivazione della sentenza scritta a mano con grafia illeggibile o indecifrabile, con conseguente violazione del diritto al contraddittorio e del diritto di difesa; il ricorrente richiama in proposito la sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte n. 42363 del 2006;

2) l’inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità, con specifico riferimento all’art. 546 c.p.p., comma 2 essendo stata apposta, in calce alla motivazione e prima del timbro attestante il deposito della sentenza impugnata,una sola sottoscrizione non riferibile ad alcuno dei componenti del collegio giudicante; anche nel caso in cui detta sottoscrizione venga riferita al presidente del collegio giudicante, che non risulta essere l’estensore del provvedimento, mancherebbe comunque la sottoscrizione del consigliere estensore;

3) la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, anche per travisamento dei fatti; in particolare non sarebbero stati presi in considerazione il terzo e il quarto motivo di appello e la qualificazione giuridica come ricettazione del fatto contestato (possesso di un telefono cellulare di provenienza furtiva) sarebbe stata confermata sulla base della ritenuta consapevolezza da parte dell’imputato dell’origine delittuosa del bene pur in assenza di sue giustificazioni contrastanti, contraddittorie o parzialmente false;

4) la mancata assunzione di una prova decisiva consistente nell’esame dei testi P.F. e M.C., individuati in epoca successiva alla scadenza dei termini per la presentazione della lista testimoniale, il cui esame era stato richiesto con i motivi di appello ai sensi dell’art. 603 c.p.p. e sarebbe stato essenziale per la corretta qualificazione giuridica del fatto ai sensi dell’art. 712 c.p..

Il ricorso è inammissibile.

Il primo motivo è manifestamente infondato.

Le Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza del 28 novembre 2006 n. 42363, richiamata dal ricorrente, hanno affermato che l’indecifrabilità grafica della sentenza è causa di nullità di ordine generale a regime intermedio, perchè non solo si risolve nella sostanziale mancanza di motivazione ma in più determina una violazione del diritto al contraddittorio tra le parti, pregiudicando la possibilità di una meditata determinazione in vista dell’impugnazione e di una ragionata difesa. Le Sezioni Unite hanno tuttavia, con una significativa puntualizzazione che nel caso in esame è particolarmente rilevante, escluso che la nullità si verifichi allorchè l’incomprensibilità sia limitata ad alcune parole e dia luogo ad una difficoltà di lettura agevolmente superabile. Va rilevato che il ricorrente, con i motivi d’impugnazione successivi al primo, in particolare con il terzo e il quarto motivo, ha argomentato una serie di doglianze sul contenuto della motivazione che dimostra nel caso concreto, al di là dell’obiettiva difficoltà di interpretare una scrittura manuale, la completa, anche se forse non tutto agevole, comprensione delle ragioni della decisione impugnata.

Anche il secondo motivo è manifestamente infondato.

La non comprensibilità della firma in calce alla sentenza non ne determina infatti l’invalidità, trattandosi di sottoscrizione suscettibile di essere abbinata alla persona del presidente del collegio giudicante dott. C.C., come si desume dall’abbreviazione "il P." che precede la sigla illeggibile sottostante. Dal secondo foglio della sentenza di appello risulta, peraltro, che il presidente del collegio dott. C.C. era anche il relatore della causa, come specificamente previsto dall’art. 602 c.p.p., comma 1 che disciplina il dibattimento di appello ("Nell’udienza, il presidente o il consigliere da lui delegato fa la relazione della causa"), e il fatto che in calce alla sentenza sia stata apposta solo la firma del presidente lascia ragionevolmente intendere che il dott. C. abbia provveduto personalmente a redigerne la motivazione, sufficiente in tal caso per ritenere rispettato il disposto dell’art. 546 c.p.p. (Cass. sez. 3^ 19 febbraio 2001 n. 12308, Minieri; sez. 6^ 19 maggio 1999 n. 1910, Vitale; sez. 2^ 16 maggio 1996 n. 2185, De Gregorio). Nè dal ricorso risulta che l’estensore della sentenza sia stato uno dei due consiglieri, non relatori, che componevano il collegio della terza sezione penale della Corte di appello di Genova.

Il terzo motivo è del tutto generico essendosi il ricorrente limitato ad evocare genericamente le doglianze difensive contenute nell’atto di appello che non sarebbero state prese in considerazione dalla Corte territoriale, mentre in forza del principio di autosufficienza del ricorso operante anche in sede penale (Cass. sez. 1^ 22 gennaio 2009 n. 6112, Bouyahia; sez. 4^ 26 giugno 2008 n. 37982, Buzi; sez. 1^ 18 marzo 2008 n. 16706, Falcone; sez. feriale 13 settembre 2007 n. 37368, Torino; sez. 6^ 19 dicembre 2006 n. 21858, Tagliente; sez. 1^ 18 maggio 2006 n. 20344, Sala) sarebbe stato suo onere illustrare specificamente le doglianze asseritamente trascurate. Quanto all’elemento soggettivo del reato di ricettazione, il giudice di appello l’ha ritenuto sussistente evidenziando che "…lo stesso imputato non ha fornito alcuna identificazione utile per l’identificazione della persona dalla quale avrebbe avuto l’oggetto. D’altra parte è stata accertata l’utilizzazione da parte dello S. del cellulare indicato nel capo d’imputazione, provento di furto…". La Corte territoriale si è pertanto uniformata al consolidato orientamento giurisprudenziale di legittimità secondo il quale la conoscenza della provenienza delittuosa della cosa può desumersi da qualsiasi elemento, anche indiretto, e quindi anche dal comportamento dell’imputato che dimostri la consapevolezza della provenienza illecita della cosa ricettata, ovvero dalla mancata – o non attendibile – indicazione della provenienza della cosa ricevuta, la quale è sicuramente rivelatrice della volontà di occultamento, logicamente spiegabile con un acquisto in mala fede (Cass. sez. 2^ 11 giugno 2008 n. 25756, Nardino; sez. 2^ 27 febbraio 1997 n. 2436, Savie). Nella sentenza impugnata l’assenza di plausibili spiegazioni in ordine alla legittima acquisizione del telefono cellulare si pone quindi come coerente e necessaria conseguenza di un acquisto illecito. Del resto – come questa Corte ha recentemente affermato (Cass. Sez. Un. 26 novembre 2009 n. 12433, Nocera; sez. 1^ 17 giugno 2010 n. 27548, Screti) – l’elemento psicologico della ricettazione può essere integrato anche dal dolo eventuale, che è configurabile in presenza della rappresentazione da parte dell’agente della concreta possibilità della provenienza della cosa da delitto e della relativa accettazione del rischio.

Anche il quarto motivo è manifestamente infondato.

Va premesso che, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte (Cass. sez. 3^ 7 aprile 2010 n. 24294, D.S.B.; sez. 6^ 21 maggio 2009 n. 40496, Messina; sez. 6^ 18 dicembre 2006 n. 5782, Gagliano; sez. 5^ 16 maggio 2000 n. 8891, Callegari), il giudice di appello ha l’obbligo di motivare espressamente sulla richiesta di rinnovazione del dibattimento solo nel caso di suo accoglimento, laddove, ove ritenga di respingerla, può anche motivarne implicitamente il rigetto, evidenziando la sussistenza di elementi sufficienti ad affermare o negare la responsabilità del reo. Nel caso di specie la struttura argomentativa posta a base della pronuncia impugnata evidenzia – in maniera esauriente, coerente e logica – la sussistenza di elementi sufficienti per una valutazione in senso positivo sulla responsabilità dell’imputato in ordine al reato di ricettazione, con la conseguente mancanza di necessità di procedere all’esame dei testi indicati dalla difesa con la richiesta di riapertura dell’istruzione dibattimentale.

Va peraltro considerato che questa Corte ha più volte affermato che, in tema di ricorso per cassazione, non sussiste il vizio di mancata ammissione di prova decisiva quando si tratti di prova che debba essere valutata unitamente agli altri elementi di prova processualmente acquisiti, non per eliderne l’efficacia probatoria, ma per effettuare un confronto dialettico che, in ipotesi, possa condurre ad una diversa valutazione degli elementi legittimamente acquisiti nell’ambito dell’istruttoria dibattimentale (Cass. sez. 6^ 11 giugno 2008 n. 37173, Ianniello; sez. 2^ 22 novembre 2005 n. 2827, Russo; sez. 1^ 4 novembre 2004 n. 46954, Palmisani). Deve infatti considerarsi prova decisiva, la cui mancata assunzione è deducibile come motivo di ricorso per cassazione, solo quella prova che, non assunta o non valutata, vizia la sentenza intaccandone la struttura portante (Cass. sez. 3^ 15 giugno 2010 n. 27581, M.; sez. 6^ 25 marzo 2010 n. 14916, Brustenghi; sez. 2^ 28 aprile 2006 n. 16354, Maio).

Nel caso di specie i due testi, asseritamente individuati in epoca successiva alla scadenza del termine per il deposito della lista testimoniale, avrebbero dovuto riferire – secondo l’indicazione del tutto generica del ricorrente – sulle modalità dell’acquisto del telefono cellulare da parte dell’imputato, avvenuto nel dicembre 2001, e, quindi, su circostanze non determinanti per un diverso esito del processo.

Alla inammissibilità del ricorso consegue ex art. 616 c.p.p. la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in Euro 1.000,00.
P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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