Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 30-11-2010) 03-03-2011, n. 8436

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza in data 3 marzo 2009 la Corte di appello di Firenze confermava la sentenza emessa in data 23 febbraio 2007 dal Tribunale di Lucca, sezione distaccata di Viareggio, con la quale M. F. era stato dichiarato colpevole del reato di truffa, commesso nel novembre 2004, ed era stato condannato alla pena di mesi sei di reclusione ed Euro 100,00 di multa.

Avverso la predetta sentenza l’imputato ha proposto, tramite il difensore, ricorso per cassazione.

Con il ricorso si deduce:

1) l’inosservanza o erronea applicazione della legge penale per essere stati erroneamente ravvisati artifici e raggiri nella condotta dell’imputato, il quale avrebbe indotto in errore la persona offesa a consegnargli un vaso dopo avergli fatto credere di aver trovato un compratore interessato all’acquisto anche dell’altro vaso facente parte della coppia e da lui già preso in consegna; non si sarebbe tenuto conto che l’imputato aveva addirittura lasciato alla persona offesa, che era un commerciante non sprovveduto, a garanzia e su sua esplicita richiesta, i dati necessari per identificarlo e rintracciarlo;

2) e 3) la violazione di legge e il vizio della motivazione con riferimento al mancato esame della tesi difensiva e dei motivi di appello da parte della Corte territoriale, che avrebbe fondato il proprio convincimento "solo su alcune parti della testimonianza resa dalla persona offesa, tra l’altro fortemente interessata all’esito del processo e certo non scevra da pregiudizi";

4) l’erronea applicazione della legge penale, con riferimento all’art. 641 c.p., in ordine alla mancata qualificazione giuridica della condotta dell’imputato come insolvenza fraudolenta, in mancanza di prova sull’intento fraudolento del M.;

5) l’inosservanza o erronea applicazione della legge penale in ordine al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, concedibili per le modalità dei fatti.

Il primo motivo è inammissibile perchè il ricorrente tende a sottoporre al giudizio di legittimità aspetti attinenti alla ricostruzione del fatto e all’apprezzamento del materiale probatorio rimessi alla esclusiva competenza del giudice di merito, limitandosi a ribadire la tesi già esposta nei motivi di appello e confutata, con diffuse e ragionevoli argomentazioni, nella sentenza impugnata.

Nel caso in esame la Corte territoriale ha ineccepibilmente osservato che la prova della responsabilità dell’imputato si desumeva dal fatto che egli non si era limitato a non pagare la merce, ma aveva indotto la persona offesa in errore facendole credere di aver trovato un acquirente per la coppia di vasi (indicando anche il prezzo di 1.300.000, come si desume dalla motivazione della sentenza di primo grado, che si integra con quella di appello di segno conforme), uno dei quali aveva già ricevuto in conto vendita, così conquistandosi la fiducia del venditore e inducendolo a consegnargli il secondo vaso, senza in seguito restituire nè pagare la merce. Le conclusioni circa la responsabilità del ricorrente – e, in particolare, circa l’uso di artifizi e raggiri consistiti nel creare un’apparenza di solvibilità attraverso il riferimento concreto ad acquirenti con i quali era stato già concordato il prezzo – risultano quindi adeguatamente giustificate dal giudice di merito attraverso una puntuale valutazione delle prove, che ha consentito una ricostruzione del fatto esente da incongruenze logiche e da contraddizioni. Tanto basta per rendere la sentenza impugnata incensurabile in questa sede non essendo il controllo di legittimità diretto a sindacare direttamente la valutazione dei fatti compiuta dal giudice di merito, ma solo a verificare se questa sia sorretta da validi elementi dimostrativi e sia nel complesso esauriente e plausibile.

Il secondo e il terzo motivo sono del tutto generici. Tra l’altro il ricorrente non evidenzia concreti elementi volti a porre in dubbio l’attendibilità della persona offesa, la cui versione dei fatti non è specificamente contestata. Del resto le dichiarazioni testimoniali della persona offesa, se sottoposte ad un attento controllo di credibilità, possono essere assunte anche da sole come prova della responsabilità dell’imputato senza necessità di cercare riscontri esterni, tanto più se la persona offesa non si sia costituita parte civile come nel caso in esame (Cass. sez. 3^ 27 aprile 2006 n. 34110, Valdo Iosi; sez. 1^ 4 novembre 2004 n. 46954, Palmisani; sez. 6^ 3 giugno 2004 n. 33162, Patella; sez. 3^ 27 marzo 2003 n. 22848, Assenza).

Il quarto motivo è manifestamente infondato. Nella motivazione della sentenza impugnata è posta in adeguata evidenza la falsa rappresentazione da parte dell’imputato di un apparente accordo raggiunto, anche sul prezzo, con fantomatici aspiranti acquirenti della coppia di vasi e sulla conseguente induzione in errore della persona offesa, che era stata così convinta a consegnargli anche il secondo vaso. Il giudice di merito ha quindi tenuto conto, nel confermare la qualificazione giuridica del fatto secondo l’impostazione accusatoria, dell’elemento che contraddistingue il delitto di truffa rispetto a quello di insolvenza fraudolenta.

Infatti, secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità (Cass. sez. 2^ 11 novembre 2009 n. 45096, Perfili; sez. 2^ 29 marzo 2007 n. 16629, Baglivo; sez. 2^ 23 gennaio 2001 n. 10792, Delfino), nella truffa la frode è attuata mediante la simulazione di circostanze e di condizioni non vere, artificiosamente create per indurre altri in errore, mentre nell’insolvenza fraudolenta la frode è attuata con la dissimulazione del reale stato di insolvenza dell’agente.

Il quinto motivo è fondato. Con l’atto di appello era stato infatti richiesto, unitamente alla riduzione della pena, il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche. Nella motivazione della sentenza impugnata si da atto, sia pure genericamente, della richiesta difensiva, ma non risulta che la Corte territoriale abbia preso in considerazione le doglianze circa la mancata applicazione dell’art. 62 bis c.p. e l’eccessività della pena.

Si impone pertanto, limitatamente all’omessa statuizione sulla richiesta di attenuanti generiche e sul trattamento sanzionatorio, l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata, con conseguente trasmissione degli atti ad altra sezione della Corte di appello di Firenze per nuovo giudizio sul punto.
P.Q.M.

annulla con rinvio la sentenza impugnata in ordine alla omessa statuizione sulla richiesta di attenuanti generiche e sul trattamento sanzionatorio e dispone trasmettersi gli atti ad altra sezione della Corte di appello di Firenze per nuovo giudizio sul punto.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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