Cass. civ. Sez. III, Sent., 03-05-2011, n. 9680 Responsabilità civile

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con citazione ritualmente notificata T.A. conveniva in giudizio Z.F. esponendo di aver incaricato il suddetto geometra Z. di predisporre il progetto per la realizzazione di un’autorimessa; di aver presentato al Comune richiesta di concessione edilizia in variante ottenendola; che l’autorimessa era stata realizzata in difformità dalla concessione in quanto il geometra gli aveva prospettato quale conseguenza della violazione solo una sanzione pecuniaria da L. 50,000 a L. 2 milioni; che in seguito il Comune aveva rigettato la richiesta in sanatoria alla luce di una variante del PRG, che escludeva la possibilità di costruire a distanza inferiore a 5 mt dal confine, e gli aveva comminato la sanzione di L. 6.289.600. Ciò premesso, chiedeva che il convenuto fosse condannato al risarcimento dei danni subiti. In esito al giudizio in cui si costituiva il convenuto il Tribunale di Sondrio rigettava le domande attrici. Avverso tale decisione il T. proponeva appello ed, in esito al giudizio, la Corte di Appello di Milano con sentenza depositata in data 18 gennaio 2008 rigettava l’impugnazione. Avverso la detta sentenza il T. ha quindi proposto ricorso per cassazione articolato in due motivi. Resiste con controricorso il geometra Z.. Il ricorrente ha altresì depositato memoria difensiva ex art. 378 c.p.c..
Motivi della decisione

Con la prima doglianza, articolata sotto il profilo dell’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, il ricorrente ha censurato la sentenza impugnata per avere la Corte territoriale statuito che l’autodeterminazione del committente esclude la responsabilità del progettista-direttore dei lavori e per aver motivato a riguardo in maniera non intellegibile ed illogica. La Corte avrebbe dovuto invece tener in conto – così, in sintesi, la doglianza – che, come risulta da una lettera inviata dal geom.

Z. al collega R.L., il suddetto Z. aveva contribuito in maniera determinante alla formazione della volontà del T. alla realizzazione dell’opera edilizia in quanto secondo il parere del professionista al massimo si poteva incorrere nella sanzione sopra esplicitata e poi si sarebbe comunque ottenuta la sanatoria.

Inoltre – ed in tale rilievo si sostanzia la seconda doglianza, articolata anch’essa sotto il profilo della motivazione omessa, insufficiente – la Corte avrebbe liquidato la problematica relativa al danno risarcibile, per il ristoro del quale il T. ha citato in giudizio lo Z., con una motivazione assai sbrigativa ed insufficiente, statuendo laconicamente che "sanzione per violazione di una disposizione è concetto diverso da danno risarcibile".

I motivi in questione possono essere trattati congiuntamente, proponendo profili di censura sostanzialmente connessi. A riguardo, si deve innanzitutto rilevare che entrambi i motivi non sono accompagnati dal necessario momento di sintesi, prescritto a pena di inammissibilità dall’art. 366 bis cod. proc. civ., introdotto dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 6, applicabile alle sentenze pubblicate dal 2 marzo 2006. Ed invero, qualora sia denunciato il vizio ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, la censura di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto), che ne circoscriva puntualmente i limiti, oltre a richiedere sia l’indicazione del fatto controverso, riguardo al quale si assuma l’omissione, la contraddittorietà o l’insufficienza della motivazione, sia l’indicazione delle ragioni per cui la motivazione sarebbe inidonea a sorreggere la decisione (Cass. ord. n. 16002/2007, n. 4309/2008 e n. 4311/2008). In effetti, la formulazione del momento di sintesi deve essere compiuta ed autosufficiente in modo da contenere nella sua essenzialità, accanto alla indicazione del fatto controverso, anche quella dei singoli punti della decisione, non esaminati dal giudice di merito ovvero illustrati con una motivazione asseritamente inadeguata a chiarire le ragioni della decisione, senza richiedere che il momento di sintesi debba essere desunto, dalla Corte dalla formulazione del motivo di ricorso, poichè una siffatta interpretazione si risolverebbe nell’abrogazione tacita della norma in questione.

Inoltre, sia l’una che l’altra censura sono infondate. Quanto alla prima, giova premettere che la Corte territoriale, nel motivare la decisione, ha innanzitutto evidenziato che la maggiore altezza del fabbricato era stata "consapevolmente e liberamente voluta" dal T., come emergeva da alcuni atti difensivi, quali l’atto di citazione di primo grado ed una memoria istruttoria in cui il T. stesso riconosceva che l’autorimessa secondo le sue intenzioni doveva avere un’altezza di 3 metri; ha quindi sottolineato come lo Z. si fosse limitato a prospettare al T., il quale intendeva comunque costruire il manufatto con un’altezza superiore a quella del progetto assentito, la possibilità di sanare ex post la violazione, sanatoria possibile secondo la normativa vigente al momento del rilascio della concessione; ha concluso quindi che sulla base di tali circostanze doveva escludersi che lo Z. avesse "indotto"il T. a realizzare l’abuso edilizio. La motivazione della sentenza appare quindi assolutamente ben articolata, coerente e non presenta nè traccia del mancato o deficiente esame di punti decisivi della controversia nè conflittualità tra le argomentazioni svolte a sostegno della decisione.

Parimenti, non sussiste il vizio motivazionale, dedotto con la seconda doglianza, ove si tenga presente che le considerazioni svolte dalla Corte di merito, pur nella loro essenzialità, chiariscono in maniera esaustiva la ragione per la quale i giudici di seconde cure, in esito all’iter argomentativo svolto, hanno ritenuto che il T., peraltro, nel caso di specie, autore consapevole di un illecito commesso volontariamente e liberamente, senza induzione altrui, non potesse pretendere di rivalersi sul terzo in merito alla sanzione inflittagli. E ciò, in quanto la sanzione, svolgendo una funzione punitiva, di carattere personale, non costituisce assolutamente una forma di danno e non è quindi in alcun modo risarcibile da parte del terzo.

La decisione impugnata appare quindi fondata su una motivazione sufficiente, logica, non contraddittoria e rispettosa della normativa in questione. Nè al Giudice di legittimità compete il potere di adottare una propria motivazione in fatto (arg. ex art. 384 c.p.c., comma 2) nè, quindi, di scegliere la motivazione più convincente – tra quelle astrattamente configurabili e, segnatamente, tra la motivazione della sentenza impugnata e quella prospettata dal ricorrente – ma deve limitarsi a verificare se nella motivazione in fatto della sentenza impugnata, esistano effettivamente i vizi dedotti. Considerato che nel caso di specie i rilievi della parte ricorrente consistono, in sostanza, in una diversa valutazione in ordine alla scelta, all’interpretazione, all’attendibilità ed alla concludenza delle risultanze idonee a chiarire i fatti in contestazione senza riuscire ad individuare effettivi vizi logici o giuridici nell’impugnata decisione, non rimane pertanto che rigettare il ricorso.

Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese di questo giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente alla rifusione delle spese processuali che liquida in Euro 1.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi oltre accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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