Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 11-02-2011) 04-03-2011, n. 8718

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza del 7 giugno 2010, la Corte di appello di Messina ha confermato la sentenza emessa il 30 settembre 2009 dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale della medesima città con la quale C.A. era stato condannato alla pena di anni tre di reclusione ed Euro 1.000,00 di multa quale imputato dei delitti di rapina e lesioni al medesimo contestati.

Propone ricorso per Cassazione il difensore il quale nel primo motivo, ripropone le censure, già dedotte in appello, relative ala inaffidabilità della ricognizione effettuata dalla persona offesa, censurando come illogiche le considerazioni svolte sul punto nella sentenza impugnata. Si lamenta, poi, la mancata qualificazione dei fatti come furto aggravato, in quanto la violenza è stata esercitata dall’imputato soltanto sulla cosa oggetto della appropriazione e si denuncia infine, vizio di motivazione in ordine alla entità della pena inflitta ed alla mancata applicazione delle attenuanti generiche.

Le censure svolte dal ricorrente tanto in punto di ricognizione della parte offesa che di qualificazione giuridica dei fatti, si limitano, nella sostanza, ad una sterile riproposizione di temi del fatto, ampiamente scandagliati nei precedenti gradi di giudizio, e come tali in conferenti sul piano dell’odierno scrutinio. I relativi motivi di ricorso sono, pertanto, palesemente inammissibile, in quanto le censure proposte risultano solo formalmente evocativi dei prospettati vizi di legittimità, ma in concreto sono articolati esclusivamente sulla base di rilievi di merito, tendenti ad una rivalutazione delle relative statuizioni adottate dalla Corte territoriale. Statuizioni, per di più, sviluppate – come si è accennato – sulla base di un esauriente corredo argomentativo, proprio sui punti in relazione ai quali il ricorrente ha svolto le proprie doglianze, evidentemente tese ad un improprio riesame del fatto, estraneo al perimetro entro il quale può svolgersi il sindacato riservato a questa Corte.

Palesemente infondata, si rivela, poi, la pretesa carenza di motivazione in ordine al trattamento sanzionatorio ed alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, giacchè i giudici dell’appello hanno congruamente dato atto delle negative circostanze alla stregua delle quali le determinazioni adottate dal primo giudice si rivelavano del tutto corrette e condivisibili.

Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento alla Cassa delle ammende di una somma che si stima equo determinare in Euro 1.000,00 alla luce dei principi affermati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 186 del 2000.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille in favore della Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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