Cass. civ. Sez. II, Sent., 04-05-2011, n. 9804 corrispettivo

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

getto del ricorso.
Svolgimento del processo

P.C., titolare dell’omonima impresa individuale, citò innanzi al Tribunale di Milano B.I. e D.G.R. chiedendo che fossero condannati a pagare L. 15.930.000 quale corrispettivo di lavori di ristrutturazione che aveva eseguito per ordine e conto dei medesimi nell’appartamento dei convenuti sito in (OMISSIS). I convenuti costituendosi, contestarono il fondamento della domanda sostenendo di aver commissionato le opere a tale M.A., saldando il dovuto; di conseguenza l’attore, che aveva eseguito lavori di termoidraulica in subappalto, avrebbe dovuto rivolgersi al vero committente, vale a dire lo stesso M.. In subordine eccepirono la prescrizione e chiamarono in causa il M. per essere dal predetto manlevati da ogni avversa pretesa. Il chiamato, costituendosi a sua volta, sostenne che nella sua qualità di arredatore aveva ricevuto l’incarico di reperire le imprese che dovevano eseguire i lavori, concordando i corrispettivi, controllando altresì l’esecuzione dei lavori ed anticipando l’erogazione dei compensi per conto dei committenti;

eccepì anche lui la prescrizione del diritto fatto valere dal P. e sostenne che, comunque, i veri committenti avevano accettato che i lavori fossero svolti in subappalto e di conseguenza si sarebbero impegnati a pagarli direttamente agli esecutori. Il Tribunale adito, pronunciando sentenza pubblicata il 7 giugno 2001, accolse la domanda del P. – ritenendo che non fosse stata fornita la prova del sub-appalto tra i convenuti e l’attore nonchè di un appalto tra il M. ed i B. – D.G., condannando questi ultimi a pagare la somma dal primo richiesta, respingendo nel contempo ogni altra domanda; la Corte di Appello di Milano con decisione n. 1252/2005, accolse l’appello degli originari convenuti e riformò in parte la precedente sentenza, respingendo la domanda del P. contro i B. – D.G.; dichiarò altresì inammissibile l’appello incidentale del M., regolando di conseguenza le spese di causa.

Il giudice dell’appello pervenne a siffatta decisione innanzi tutto esaminando e respingendo l’eccezione di prescrizione; nel merito ritenne che l’attore non avesse dimostrato di essere il diretto assuntore dei lavori dai proprietari della casa ove aveva incontestabilmente eseguito le opere di termoidraulica; per contro ritenne che da prove documentali versate in atti, sarebbe emersa la circostanza dell’assunzione da parte del M. dell’onere di eseguire o far eseguire le opere di ristrutturazione Contro tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il P., affidandolo a due motivi; si sono costituiti i B. – D.G., resistendo con controricorso; l’intimato M. non ha svolto difese.
Motivi della decisione

1 – Va preliminarmente delibata l’eccezione di inammissibilità del ricorso per tardività della sua notifica, sollevata dalla difesa dei B. – D.G. in base all’osservazione che, essendo stata notificata la sentenza il 5 luglio 2005 al P. presso lo studio del suo procuratore (equivalendo, tale forma di notifica, ai fini del decorso del termine c.d. breve per impugnare, a quella effettuata al procuratore della parte: cfr. Cass. 7365/2010; Cass. 24.795/2005;

Cass. 11257/2004; Cass. 5449/2000), il termine c.d. breve per la proposizione del ricorso sarebbe scaduto il 21 ottobre 2005, mentre lo stesso ricorso fu notificato il 28 ottobre 2005 (a (OMISSIS), presso lo studio dell’avv. Ivan Pastorelli, procuratore nominato per il giudizio di appello).

1/a – L’eccezione è infondata: invero dall’esame dell’atto introduttivo emerge che prima della notifica del 28 ottobre 2005 – andata a buon fine- ne venne tentata altra, il 10 ottobre del medesimo anno, in (OMISSIS), presso lo studio che il domiciliatario avv. Pastorelli aveva dichiarato nel giudizio di appello -secondo quanto riportato nell’intestazione della sentenza di secondo grado- e che dunque la ripresa del procedimento notificatorio, mediante nuova richiesta della parte all’ufficiale giudiziarie) – formante oggetto di preciso onere della stessa (vedi, ex multis: Cass. 9046/2010; Cass. 6846/2010)- si ricollegava, quanto agli effetti della successiva notifica andata a buon fine, alla data iniziale di attivazione del procedimento notificatorio, essendo stata la riattivazione di quest’ultimo contenuta "entro un termine ragionevolmente contenuto, tenuti presenti i tempi necessari secondo la comune diligenza per conoscere l’esito negativo della notificazione e per assumere le informazioni ulteriori conseguentemente necessarie" (così, Cass. SS.UU. 17.352/2009 e, più di recente, oltre alle citate, vedi Cass. 21.154/2010).

2 – Con il primo motivo il ricorrente lamenta la " violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ., in relazione agli art. 81 c.p.c.; art. 1656 c.c. e 1388 c.c." in quanto, richiamata la costante interpretazione di legittimità in merito alla ripartizione dell’onere della prova in merito all’effettiva titolarità del diritto agito, sostiene che la Corte distrettuale, mal valutando il materiale probatorio versato in atti da esso deducente e non ammettendo le prove testimoniali pur tempestivamente articolate, sarebbe giunta all’erronea conclusione della mancata dimostrazione della legittimazione ad agire di esso ricorrente; con ulteriore articolazione della medesima censura il P. sostiene altresì che il giudice dell’appello avrebbe errato nel qualificare come mera difesa la contestazione dei controricorrenti -diretta a sostenere la stipula di un contratto di appalto tra i medesimi ed il terzo chiamato- mentre in realtà la stessa concretizzava un’eccezione in senso proprio e come tale andava compiutamente provata; lamenta infine il ricorrente, sempre nell’ambito dello stesso motivo, che non sarebbe stata condivisibile la valutazione della Corte territoriale là dove aveva ritenuto che i B. – D.G. avrebbero dimostrato l’esistenza di un contratto di appalto tra gli stessi ed il M..

3 – Con il secondo motivo il ricorrente fa valere l’omessa motivazione su un punto decisivo della controversia, vale a dire l’esistenza di un contratto di subappalto – tra il M. ed esso deducente – non autorizzato, non valutando la serie di comportamenti concludenti in tal senso tenuti dai veri committenti – attuali contro ricorrenti- tali da far ritenere integrata una evidente contemplatio domini dello stesso M..

4- Il primo motivo non è fondato.

4/a – Va innanzi tutto rilevato che il vizio di violazione di legge – art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – ricorre allorchè si deduca un’erronea ricognizione, da parte della sentenza impugnata, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e, quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa, mentre l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa esula dall’esatta interpretazione della norma di legge e costituisce la tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità’, sotto l’aspetto del vizio di motivazione.

4/b – Nella fattispecie in esame la violazione della norma che disciplina la ripartizione dell’onere della prova si è tradotta in una sollecitazione ad un riesame del merito della causa, in presenza di una motivazione congrua e non contraddittoria nelle sue proposizioni logiche – su cui v. infra – ; del pari è mancata, nel motivo in esame, qualunque critica all’interpretazione delle fattispecie descritte negli artt. 1658 (norma peraltro mai richiamata nell’argomentazione della sentenza di appello) e 1388 cod. civ. (disposizione che , introducendo il concetto di rappresentanza, si pone in logico contrasto con la tesi della esistenza di un diretto contratto di appalto tra il P. e i proprietari dell’immobile oggetto di ristrutturazione); ancor meno indagata, nella censura che qui viene esaminata, è la riferibilità, al vizio lamentato, dell’art. 81 c.p.c. dal momento che l’ambito di tale norma riguarda il processo e non già il negozio ed in quanto non ha- nuovamente- formato oggetto di argomentazione finalizzata a sostenere la tesi esposta nel motivo – che cioè i veri committenti del P. fossero i B. – D.G..

4/c – Quanto infine alla dedotta cattiva interpretazione della prospettazione difensiva dei B. – D.G. – qualificata come eccezione in senso proprio e non già come mera difesa- si osserva che la questione non è delibabile da questa Corte in quanto, violando il principio di autosufficienza del ricorso, il P. non ha riprodotto gli atti difensivi di controparte al fine di consentire uno scrutinio quale quello sollecitato; in ogni caso, secondo la mera prospettazione del ricorrente, la tesi sarebbe stata in ogni caso infondata in quanto costituisce principio costantemente affermato dalla Corte quello per il quale la contestazione della titolarità passiva del rapporto controverso costituisce una mera difesa (cfr. da ultimo: Cass. 18.207/2010) così che il giudice del merito doveva procedere alla delibazione delle condizioni dell’azione che, per il P., consistevano nella valutazione dell’esistenza di un rapporto negoziale diretto tra quest’ultimo e i pretesi committenti, rapporto che peraltro si poneva in contraddizione con la contemplatio domini genericamente invocata dallo stesso P. – omettendo altresì di considerare che tale tesi era quella sostenuta dal M. e non già dall’attuale ricorrente e che quindi, nell’ambito del presente giudizio, si appalesa come questione nuova eppertanto inammissibile-;

va altresì aggiunto che il fatto che gli originati convenuti avessero posto a base della loro comparsa una ricostruzione dei reciproci rapporti, antinomica rispetto a quella dell’attore, non determinava l’insorgere, per gli stessi, dell’onere di provarne l’esistenza – pena la soccombenza in causa- atteso che deve attribuirsi logica priorità all’incombente dimostrativo dell’attore (cfr. Cass. 5571/1997; Cass. 3843/1994).

4/d – Va infine osservato, a chiusa delle argomentazioni che precedono, che il M. non ha proposto ricorso contro la statuizione della sentenza di appello che, respingendo la domanda del P. contro i B. – D.G. e dichiarando inammissibile il suo appello incidentale, pose a base della propria argomentazione anche l’esistenza di un rapporto di appalto tra questi ultimi e lo stesso M., così che anche per tale motivo la relativa questione non è suscettibile di ulteriore scrutinio.

5 – Il secondo motivo è inammissibile sia per la violazione del principio testè richiamato non essendo state riportate testimonianze e le prove documentali – quelle ammesse e quelle che avrebbero potuto esserlo – al fine di consentire un controllo di logicità da parte di questa Corte- sia soprattutto perchè il vizio contemplato dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 ricorre solo allorchè manchi del tutto l’esplicazione delle ragioni della decisione giudiziale o le stesse siano contrarie ai canoni della logica formale o, anche, siano in un contrasto non sanabile nel loro svolgimento argomentativo; al di fuori di queste – non dedotte- ipotesi, esula dal controllo di legittimità il percorso logico e la delibazione delle emergenze di causa compiute dal giudice del merito, fra l’altro neppure esaminate in un’ottica critica dal ricorrente (vedi la documentazione richiamata a fol. 5 della sentenza di appello).

6 – Le spese seguono la soccombenza secondo quanto indicato in dispositivo.
P.Q.M.

LA CORTE Respinge il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in L. 1.700,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre IVA, GAP e spese generali come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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