Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 10-02-2011) 04-03-2011, n. 8805

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Tribunale del Riesame di Lecce, pronunciandosi sull’appello proposto ex art. 310 c.p.p. dal p.m. sede avverso la ordinanza del Gip sede, con la quale, in accoglimento di ricorso ex art. 299 c.p.p., era stata disposta la sostituzione della custodia cautelare in carcere con gli arresti domiciliari nei confronti di M.C. B., indagato di diversi episodi di reato di cui all’art. 609 bis c.p., art. 609 ter c.p., u.c., art. 61 c.p., n. 9, art. 609 quinquies c.p., art. 61 c.p., n. 9, art. 527 c.p.. con ordinanza dell’8/10/2010. ha disposto il ripristino della misura cautelare massima.

Propone ricorso per cassazione la difesa del prevenuto, con i seguenti motivi:

– insussistenza dei presupposti espressamente previsti dalla legge per la applicazione della custodia cautelare in carcere, non ravvisandosi nella specie alcuno degli elementi indicati dall’art. 274 c.p.p..
Motivi della decisione

Il ricorso è manifestamente infondato e va dichiarato inammissibile.

La argomentazione motivazionale, adottata dal Tribunale a sostegno della applicazione della misura cautelare massima, si palesa logica e corretta.

Contrariamente a quanto sostenuto in ricorso, il decidente ha evidenziato che non può non essere apprezzata la dichiarazione resa dallo stesso M., con la quale costui ha affermato che a seguito di un grave incidente, che gli aveva provocato anche problemi alla testa, non riusciva a controllare gli impulsi sessuali, al fine di ritenere estremamente allarmante il quadro delle esigenze cautelari ed, in particolare, il pericolo che il prevenuto, anche in costanza di restrizione della libertà, in stato di arresti domiciliari, potesse essere colto da quegli impulsi che egli stesso ha dichiarato di non riuscire a controllare, così da violare le prescrizioni imposte con la misura cautelare suddetta al fine di compiere altre azioni criminose della stessa specie di quelle per cui si procede.

Il decidente richiama altra ordinanza, resa dallo stesso Tribunale (in diversa composizione) su altro appello, avanzato nell’interesse del prevenuto, avverso un precedente diniego di sostituzione della custodia in carcere, ritenendo di doversi uniformare a detto decisum (ordinanza del 17/8/2010). e valuta inconferenti, a giusta ragione, sia il decorso del tempo, sia lo stato di malattia, denunciati dalla difesa del prevenuto, concludendo per la applicazione della misura restrittiva massima, quale unica idonea ad impedire al M. al reiterazione di reati della stessa specie.

Orbene, si osserva che la Corte di Cassazione non ha alcun potere di revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende oggetto dei provvedimenti impugnati, sia sotto il profilo della sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, che relativamente alla presenza delle esigenze cautelari, nè può procedere ad un esame di fatto del giudizio fornito dal giudice di merito circa la attendibilità delle fonti e la concludenza del materiale probatorio raccolto.

In proposito è costante affermazione della giurisprudenza che il controllo di legittimità debba essere circoscritto all’esclusivo esame dell’atto impugnato, dovendosi verificare la presenza dei seguenti requisiti, il cui possesso rende il provvedimento cautelare incensurabile in sede di legittimità: la esposizioni delle ragioni giuridicamente apprezzabili che lo hanno determinato; la assenza di manifesta illogicità nella esposizione, ossia la coerenza della argomentazione rispetto al fine del provvedimento.

Conseguentemente la insussistenza delle esigenze cautelari è censurabile in sede di legittimità solo se si traduce nella violazione di specifiche norme o nella mancanza o manifesta illogicità della motivazione, rilevabili dal testo del provvedimento impugnato (ex plurimis Cass. 12/3/96. n. 795).

Nella specie, dal vaglio di legittimità a cui è stata sottoposta la impugnata ordinanza, emerge, in maniera inequivoca, che il giudice di merito ha l’atto buon governo dei principi dettati dall’art. 274 c.p.p. dando, peraltro, esaustivo riscontro alle istanze avanzate dalle parti, ed ha adottato, a sostegno della disposta misura cautelare personale massima un discorso logico-giuridico assolutamente compiuto e plausibile.

Tenuto conto, poi, della sentenza del 13/6/2000, n. 186, della Corte Costituzionale, e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che il M. abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, lo stesso, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., deve, altresì, essere condannato al versamento di una somma, in favore della Cassa delle Ammende, equitativamente fissata, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di Euro 1.000.00.
P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro 1.000.00 in favore della Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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