Cass. civ. Sez. II, Sent., 04-05-2011, n. 9795 Ordinanza ingiunzione di pagamento: opposizione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso tempestivamente depositato V.O.I. impugnava la o.i. n. (OMISSIS) del prefetto di Prato ed il verbale (OMISSIS) della p.m. di Prato per violazione del R.D. 18 giugno 1931, n. 773, art. 115 TULPS con sanzione di Euro 1032,00, contestando la attività di intermediazione in affari.

Con sentenza 415/05 il GP di Prato respingeva l’opposizione deducendo che la causa traeva origine da una ispezione della p.m. del 15.7.2004 che aveva accertato l’esercizio di attività di consulenza e assistenza in materia di immigrazione senza la prescritta autorizzazione, non potendosi accogliere la tesi dell’attività professionale ed intellettuale di cui all’art. 2222 c.c..

Ricorre V. con due motivi, non svolgono difese l’UTG ed il Comune.
Motivi della decisione

Le censure sono così articolate:

Col primo motivo si lamentano violazioni di norme di diritto in relazione agli artt. 4 e 41 Cost. 49 trattato U.E., all’art. 115 TULPS, all’art. 2222 c.c. e D.Lgs. n. 112 del 1998 per l’erroneità dei presupposti di fatto e di diritto su cui si fonda la sentenza.

Col secondo motivo si lamenta nullità della sentenza per vizi di motivazione. Ciò premesso, la prima censura è generica e viola la necessaria specificità de motivo col richiamo ad una vasta normativa.

Pur riconoscendo che l’attività svolta non costituisce professione protetta per la quale è richiesta l’iscrizione in appositi albi o elenchi, la si configura come inquadrarle nell’art. 2222 c.c., riproponendo tesi già rigettate con sufficiente logicità, senza specificarne il contenuto e col rischio dell’ammissione di esercizio abusivo di una professione sia pure non specificata. La normativa, peraltro, fa riferimento ad agenzie di affari, quale che sia l’oggetto.

Il riferimento, poi, alla erroneità dei presupposti di fatto, configura un errore revocatorio.

Quanto al secondo motivo si chiede un sostanziale riesame del merito.

La censura con la quale alla sentenza impugnata s’imputino i vizi di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 deve essere intesa a far valere, a pena d’inammissibilità comminata dall’art. 366 c.p.c., n. 4 in difetto di loro puntuale indicazione, carenze o lacune nelle argomentazioni, ovvero illogicità nel l’attribuire agli elementi di giudizio un significato fuori dal senso comune, od ancora mancanza di coerenza tra le varie ragioni esposte per assoluta incompatibilità razionale degli argomenti ed insanabile contrasto tra gli stessi; non può, per contro, essere intesa a far valere la non rispondenza della valutazione degli elementi di giudizio operata dal giudice del merito al diverso convincimento soggettivo della parte ed, in particolare, non si può con essa proporre un preteso migliore e più appagante coordinamento degli elementi stessi, atteso che tali aspetti del giudizio, interni all’ambito della discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e del l’apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi dell’iter formativo di tale convincimento rilevanti ai sensi della norma stessa; diversamente, il motivo di ricorso per cassazione si risolverebbe – com’è, appunto, per quello in esame – in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti dei giudice del merito, id est di nuova pronunzia sul fatto, estranea alla natura ed alle finalità del giudizio di legittimità.

Donde il rigetto del ricorso senza pronunzia sulle spese, attesa la non costituzione delle altre parti.
P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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