T.A.R. Lombardia Milano Sez. III, Sent., 01-03-2011, n. 591

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con deliberazione 25 gennaio 2010 – ARG/elt 5/10, l’Autorità per l’Energia Elettrica ed il Gas ha dettato una nuova disciplina concernente le modalità di remunerazione della mancata produzione di energia elettrica da fonte eolica, dovuta alle azioni di modulazione della produzione adottate da T. s.p.a.

Le ricorrenti, società che operano nel campo della produzione di energia elettrica da fonte eolica, impugnano tale provvedimento, ritenendolo lesivo sotto diversi profili.

Si è costituita in giudizio l’Autorità per l’Energia Elettrica ed il Gas per opporsi all’accoglimento del gravame.

L’Associazione Produttori Energia da Fonti Rinnovabili (APER) ha esperito intervento ad adiuvandum.

In prossimità dell’udienza di discussione del merito, le parti hanno depositato memorie insistendo nelle rispettive conclusioni.

Tenutasi la pubblica udienza in data 11 gennaio 2011 la causa è stata trattenuta in decisione.

Come anticipato, la controversia in esame ha per oggetto la deliberazione n. 5/2010, con la quale l’Autorità per l’Energia Elettrica ed il Gas (d’ora innanzi anche "AEEG" o "Autorità") ha introdotto una nuova disciplina per la remunerazione della mancata produzione di energia elettrica da fonte eolica, causata dagli interventi di modulazione della produzione posti in essere da T. s.p.a.

Per comprendere appieno i termini di tale controversia è opportuno illustrare brevemente il quadro fattuale e giuridico su cui la stessa si innesta.

Esigenze di sicurezza del sistema elettrico nazionale richiedono che, in ogni istante, la quantità di energia elettrica immessa nella rete di trasporto dai produttori sia pari alla quantità prelevata dai consumatori finali.

Per assicurare tale equilibrio il Gestore della rete nazionale di trasporto dell’energia elettrica (TERNA s.p.a) svolge un fondamentale servizio denominato "servizio di dispacciamento".

Il servizio di dispacciamento viene in generale espletato attraverso la stipula di appositi contratti fra il Gestore della rete e soggetti specificamente abilitati, titolari di impianti denominati unità di produzione o di consumo, i quali si obbligano a immettere e/o a prelevare energia elettrica secondo le disposizioni impartite dal Gestore stesso in modo da assicurare l’equilibrio energetico sulla rete trasporto.

Per ciò che concerne in particolare gli impianti di produzione da fonte eolica, l’art. 13 della deliberazione n. 5/2010 stabilisce invece che TERNA s.p.a., al fine di assicurare il mantenimento della sicurezza di funzionamento del sistema elettrico nazionale, e quindi al fine di assicurare il mantenimento del suindicato equilibrio, può adottare specifiche azioni di modulazione della produzione: in sostanza, utilizzando tale potere, il Gestore della rete, al ricorrere di situazioni di particolare criticità, può imporre al singolo produttore, titolare di impianti eolici, di diminuire la produzione di energia onde assicurare l’equilibrio del sistema.

La medesima deliberazione prevede anche che la mancata produzione di energia venga remunerata al produttore da T. s.p.a. attraverso il versamento di un importo pari al prodotto fra il prezzo unitario dell’energia elettrica, come determinato sul mercato del giorno prima, e la quantità stimata di energia effettivamente non prodotta (cfr. art. 7.1 della deliberazione n.5/2010).

Tale sistema di remunerazione, innovativo rispetto a quello previsto dal previgente sistema delineato dalla deliberazione n. 330/2007 di AEEG, permette dunque al produttore di conseguire un effettivo ristoro, rapportato al corrispettivo che questi avrebbe potuto ottenere per la vendita dell’energia potenzialmente prodotta qualora non fossero intervenuti gli ordini di modulazione impartiti dal Gestore della rete.

Il precedente sistema era invece imperniato su criteri di remunerazione di carattere forfetario: il calcolo del corrispettivo non si effettuava prendendo a riferimento la quantità di energia effettivamente non prodotta, ma una quantità virtuale data (i) per le prime sei ore di modulazione, dal maggior valore fra a) la differenza tra quantità media immessa in rete dall’impianto nelle tre ore precedenti e l’energia effettivamente immessa in rete nel periodo di modulazione e b) la differenza tra quantità media immessa in rete dall’impianto negli ultimi ventiquattro mesi ed energia effettivamente immessa in rete nel periodo di modulazione; e (ii) per le ore di modulazione eccedenti le sei, dalla differenza fra quantità media di energia immessa in rete dall’impianto negli ultimi ventiquattro mesi ed energia effettivamente immessa in rete nel periodo di modulazione.

Questo sistema, proprio perché ispirato a criteri di quantificazione forfetaria dell’energia non prodotta (media della quantità di energia immessa in rete in periodi antecedenti al periodo di modulazione), non permetteva ai produttori di conseguire una remunerazione aderente al dato reale; aderente cioè all’effettiva quantità di energia non immessa nel periodo di modulazione calcolata in base alle potenzialità produttive (correlate all’intensità ed alla direzione del vento) proprie di quel periodo.

Come detto la deliberazione n. 5/2010 ha modificato le modalità di calcolo previste dalla delibera n. 330/2007, imponendo una quantificazione del corrispettivo aderente al dato reale.

Tuttavia le sue previsioni si riferiscono solo al periodo successivo al 1° gennaio 2010; mentre per il periodo antecedente valgono ancora le previsioni di cui alla citata delibera n. 330/2001. Ed è proprio la mancata applicazione retroattiva delle nuove disposizioni ad essere considerata lesiva degli interessi delle ricorrenti le quali, con il presente ricorso, censurano tale aspetto della disciplina.

Altro aspetto ritenuto lesivo riguarda le modalità di remunerazione dei certificati verdi.

Anche per tale profilo è necessaria una breve illustrazione della disciplina.

L’art. 11 del d.lgs. 16 marzo 1999 n. 79 ("Attuazione della direttiva 96/92/CE recante norme comuni per il mercato interno dell’energia elettrica"), dopo aver imposto in capo ai produttori ed agli importatori di energia elettrica l’obbligo di immettere in rete una certa quantità di energia prodotta da fonti rinnovabili, al comma 3 stabilisce che tale obbligo può essere adempiuto "….anche acquistando, in tutto o in parte, l’equivalente quota o i relativi diritti da altri produttori, purché immettano l’energia da fonti rinnovabili nel sistema elettrico nazionale…".

Ciò significa che il produttore e/o l’importatore non è tenuto esso stesso ad immettere in rete una quota di energia prodotta attraverso l’utilizzo di fonti rinnovabili, ma può acquistare dai produttori che si avvalgono di tali fonti una quota di energia pari alla quota che egli è tenuto ad immettere in rete.

Ne discende che il valore economico dell’energia elettrica prodotta utilizzando fonti rinnovabili non è correlato esclusivamente al prezzo corrisposto per il suo acquisto da parte dei consumatori finali, ma anche al valore delle suindicate quote. Tale sistema, oltre a configurare una modalità di adempimento dell’obbligo di immissione in rete di una data quantità di energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili, implementa dunque anche una forma di incentivazione per i titolari degli impianti alimentati da tali fonti, i quali possono trarre profitto sia dalla vendita dell’energia prodotta sia dalla commercializzazione delle quote.

Per semplificare il sistema di commercializzazione delle quote, il Gestore del Sistema Energetico (GSE s.p.a.) – società pubblica che si occupa dello sviluppo del settore delle fonti rinnovabili ed assimilate – rilascia ai produttori di energia elettrica che si avvalgono di impianti alimentati da tali fonti appositi titoli, denominati "certificati verdi", in quantità direttamente proporzionale alla quantità di energia prodotta; detti certificati costituiscono poi il titolo negoziabile e dunque l’oggetto materiale degli scambi economici (cfr. art. 2, comma 144, della legge 14 dicembre 2007 n. 244 ed art. 11, primo comma, del d.m. 18 dicembre 2008).

Pertanto, gli ordini di modulazione impartiti da T. s.p.a., proprio perché impongono ai titolari di impianti di produzione alimentati da fonti rinnovabili di immettere in rete meno energia di quella che si sarebbe potuta potenzialmente immettere, oltre a penalizzare l’operatore sotto il profilo della mancata vendita dell’energia non prodotta, lo penalizzano anche in ragione della minore quantità di certificati verdi ottenuta rispetto a quella che si sarebbe potuta potenzialmente conseguire.

La deliberazione impugnata prevede quindi anche una forma di remunerazione correlata alla mancata emissione di certificati verdi, rinviando alle disposizioni contenute nell’art. 11, comma 8, del d.m. 18 dicembre 2008.

Tale norma stabilisce che "a garanzia della reale durata dell’incentivazione tramite i certificati verdi, il periodo per il quale viene riconosciuto l’incentivo di cui al presente articolo, è considerato al netto di eventuali fermate disposte delle competenti autorità…A tal fine, al produttore è concessa una estensione del periodo nominale di diritto ai certificati verdi pari al periodo complessivo di fermate di cui al presente comma, incrementato del venti per cento".

Per comprendere appieno tale disposizione occorre premettere che il sistema di incentivazione costituito dalla commercializzazione delle quote di energia prodotta con l’uso di fonti rinnovabili, e quindi dalla commercializzazione dei certificati verdi, ha una durata temporale limitata: ciascun produttore può richiedere il rilascio di certificati verdi per un periodo di otto anni (qualora i suoi impianti siano entrati in esercizio o revisionati dopo l’aprile del 1999), e per un periodo di quindici anni per gli impianti entrati in esercizio in data successiva al 31 dicembre 2007 (cfr. art. 2, comma 144, della legge n. 244/2007 cit.).

Attraverso il richiamo all’art.11, comma 8, del d.m. 18 dicembre 2008 – che, come visto, consente un prolungamento del periodo di incentivazione – la delibera n. 5/2010 prevede pertanto, per il mancato conseguimento di certificati verdi, una particolare forma di remunerazione, consistente nel prolungamento del periodo di incentivazione per una durata pari alla durata temporale dei periodi di modulazione disposti dal Gestore della rete, incrementata del venti per cento.

Anche tale forma di remunerazione viene considerata lesiva degli interessi delle ricorrenti, le quali rivolgono quindi le proprie censure anche avverso tale profilo della deliberazione impugnata.

Illustrato in tal modo il quadro fattuale e normativo su cui si innesta la presente controversia, è ora possibile passare all’esame dei due motivi di ricorso.

Il primo motivo si rivolge contro la parte della deliberazione che disciplina le modalità di remunerazione dell’energia non prodotta, laddove non si prevede una applicazione retroattiva delle nuove disposizioni più favorevoli agli operatori.

Sostengono le ricorrenti che la mancata applicazione retroattiva della nuova disciplina sarebbe lesiva del diritto dei produttori di energia elettrica, che utilizzano impianti alimentati da fonti rinnovabili, di immettere in rete tutta l’energia prodotta al prezzo di vendita di mercato; diritto sancito, a loro dire, dagli artt. 3 del d.lgs. n. 79/99 e 14 del d.lgs. n. 387/2003.

Sostengono inoltre che tale scelta sarebbe del tutto irrazionale posto che è stata la stessa Autorità a riconoscere l’inadeguatezza della previgente disciplina; deducono pertanto la violazione dell’art. 3 della legge n. 241/90 ed eccesso di potere sotto svariati profili.

Ritiene il Collegio che, con riferimento a tali doglianze, sia condivisibile l’eccezione di inammissibilità sollevata dalla difesa dell’Autorità.

Invero è del tutto evidente come le censure in esame, pur se dirette formalmente contro le (a dire delle ricorrenti, irragionevoli) limitazioni temporali imposte all’applicazione dei nuovi criteri di remunerazione sanciti con la deliberazione n. 5/2010, in realtà nella sostanza tendono surrettiziamente a contestare la previgente disciplina contenuta nella deliberazione n. 330/2007.

La lesione degli interessi delle ricorrenti ad immettere in rete tutta l’energia prodotta al prezzo di vendita di mercato è stato provocato non già dalla deliberazione impugnata (la quale assicura alle interessate una remunerazione commisurata sulla producibilità stimata della quota di energia oggetto dell’intervento di modulazione); ma dalla deliberazione previgente che, stabilendo criteri di quantificazione ispirati a parametri presuntivi, non consentiva la piena remunerazione dell’energia non prodotta per le inefficienze strutturali della rete; sicché è contro quest’ultimo provvedimento che esse avrebbero dovuto proporre tempestiva impugnazione.

Va dunque dichiarata, con riferimento alle doglianze in esame, l’inammissibilità del ricorso.

Il secondo mezzo di gravame è diretto avverso quella parte del provvedimento impugnato che disciplina le modalità di remunerazione per il mancato conseguimento di certificati verdi.

A parere delle ricorrenti, il rinvio operato dal provvedimento impugnato – al fine di individuare le modalità di remunerazione per mancata emissione dei suddetti certificati – all’art. 11, comma 8, del d.m. 18 dicembre 2008 sarebbe illegittimo per una duplice ragione: innanzitutto perché in tal modo l’Autorità sarebbe intervenuta in una materia (quella concernente l’incentivazione della produzione di energia elettrica da fonte rinnovabile) riservata alla competenza esclusiva del Ministero dello Sviluppo Economico, ai sensi dell’art. 2, comma 150, della legge n. 244/2007; in secondo luogo perché, così facendo, la disciplina contenuta nel suindicato decreto è stata estesa ad una fattispecie (la modulazione della produzione) del tutto diversa da quella da esso contemplata (il fermo totale degli impianti).

Tale doglianza è, a parere del Collegio, infondata.

Il citato art. 11, comma 8, del d.m. 18 agosto 2008 stabilisce che, a garanzia della reale durata dell’incentivazione tramite i certificati verdi, il prolungamento del periodo di incentivazione può essere disposto fra l’altro per "…eventuali fermate disposte delle competenti autorità in materia secondo la normativa vigente per le problematiche connesse alla sicurezza della rete…".

E’ di palmare evidenza come la fattispecie testé indicata calzi perfettamente con quella che si realizza allorquando il Gestore della rete impartisce agli operatori gli ordini di modulazione: anche in tale evenienza infatti i titolari degli impianti sono tenuti a limitare la produzione di energia elettrica affinché venga assicurata la sicurezza del sistema.

A diverse conclusioni non può pervenirsi facendo leva sul termine "fermate" utilizzato dalla norma il quale, a dire delle ricorrenti, lascerebbe intendere che il decreto si riferisca solo all’ipotesi di completo arresto degli impianti. Invero è opinione del Collegio che la disposizione in esame intenda disciplinare tutte le ipotesi in cui, per ottemperare agli ordini impartiti dalle competenti autorità al fine di salvaguardare esigenze di sicurezza, l’operatore sia costretto ad immettere in rete meno energia di quanto le sue potenzialità produttive gli consentirebbero; e dunque intenda disciplinare non solo i casi di arresto totale di tutti gli impianti dell’operatore, ma anche quelli di parziale arresto.

Una lettura difforme sarebbe illogica, posto che, se la norma dovesse interpretarsi nel senso proposto dalle ricorrenti, si dovrebbe concludere che il decreto ministeriale non avrebbe approntato alcuna forma di ristoro per le ipotesi in cui esigenze di sicurezza impongano non già il fermo totale di tutti gli impianti dell’operatore, ma solo quello parziale.

Da ciò discende che l’Autorità non ha dettato alcuna disciplina innovativa sul punto, limitandosi la stessa, con il proprio provvedimento, a ribadire quanto già previsto nel decreto ministeriale. Per tale ragione non può ipotizzarsi né una invasione di campo lesiva delle prerogative ministeriali, né l’estensione della disciplina ad ipotesi non pertinenti.

Il motivo in esame non può pertanto essere accolto.

Per le motivazioni illustrate il ricorso va dichiarato in parte inammissibile ed in parte va respinto.

La particolarità della vicenda fattuale induce il Collegio a disporre la compensazione delle spese di giudizio.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Terza) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, in parte lo dichiara inammissibile ed in parte lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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