Cass. civ. Sez. II, Sent., 04-05-2011, n. 9785 Parti comuni dell’edificio

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 25 febbraio 2003 il Tribunale di Messina respinse la domanda con cui N.G., proprietario di un’unità immobiliare nel complesso residenziale (OMISSIS), aveva chiesto che I.S. e C.R. fossero condannati a eliminare un ballatoio esterno, realizzato in un loro appartamento dello stabile condominiale.

Adita in via principale da N.G., in via incidentale da I.S. e C.R., la Corte d’appello di Messina, con sentenza del 17 dicembre 2004, ha riformato la decisione di primo grado, condannando gli originari convenuti alla riduzione in pristino.

Contro tale sentenza hanno proposto ricorso per cassazione C. R., I.D. e I.F., tutti quali eredi di I.S. e la prima anche in proprio, in base a cinque motivi, poi illustrati anche con memoria. N.G. si è costituito con controricorso.
Motivi della decisione

Con il primo motivo di ricorso C.R., I.D. e I.F. lamentano che la Corte d’appello erroneamente e ingiustificatamente ha disconosciuto che il regolamento contrattuale del condominio "(OMISSIS)", nel vietare "alcuna opera esterna che modifichi la composizione architettonica e i relativi dettagli" dello stabile, non reca alcuna espressa deroga al disposto dell’art. 1102 c.c., nella cui previsione rientra la realizzazione del manufatto in questione.

La doglianza va disattesa, poichè si risolve in una mera assiomatica negazione di quanto è stato motivatamente ritenuto con la sentenza impugnata, in cui si è segnalato il carattere assoluto della clausola di cui si tratta, che incondizionatamente inibisce, anche nelle porzioni immobiliari di proprietà esclusiva, tutte le modificazioni dell’aspetto esterno dell’edificio, comprese quelle che altrimenti sarebbero consentite alla stregua della norma richiamata dai ricorrenti.

Con il secondo motivo di impugnazione si sostiene che la costruzione del ballatoio oggetto della causa, in realtà, non ha affatto comportato alterazioni della composizione architettonica del fabbricato: alterazioni che infatti sono state escluse da un perito incaricato dall’amministratore, in una relazione poi approvata con deliberazione assembleare.

Neppure questo assunto può essere accolto, in quanto correttamente il giudice a quo ha compiuto una propria autonoma valutazione dell’operato di I.S. e C.R., osservando che quella dell’assemblea non poteva considerarsi vincolante, poichè le previsioni di un regolamento di natura contrattuale non sono modificabili nè derogabili se non con decisione unanime e totalitaria, mentre invece la deliberazione di adesione alle conclusioni del perito era stata adottata senza la partecipazione di tutti i condomini.

Con il terzo motivo di impugnazione i ricorrenti deducono che il divieto di cui si tratta, come espressamente è detto nel regolamento, è posto nell’interesse della generalità dei condomini ed esclusivamente l’amministratore è abilitato a reagire alle eventuali sue violazioni.

Anche questa censura è infondata, poichè un regolamento condominiale contrattuale, stante la sua natura negoziale, instaura per definizione rapporti intercorrenti direttamente tra i proprietari delle varie unità immobiliari, imponendo loro vincoli e obblighi a vantaggio di ognuno degli altri. La legittimazione attribuita all’amministratore non esclude pertanto quella concorrente dei singoli condomini.

Il quarto motivo di ricorso è privo di autonoma valenza, in quanto vi vengono soltanto ribadite le argomentazioni svolte nel secondo e nel terzo.

Con il quinto motivo C.R., I.D. e I. R. sostengono che la domanda dell’attore avrebbe dovuto essere dichiarata inammissibile per difetto di interesse, essendo stata l’opera in contestazione realizzata su una parete interna prospiciente il cortile condominiale, sicchè non reca danno a N.G., il cui appartamento si affaccia verso il lato opposto, non altera il decoro architettonico dell’edificio, non impedisce agli altri condomini l’uso delle parti comuni.

Anche questa censura va disattesa. Si è già detto dell’irrilevanza dell’eventuale mancata violazione dell’art. 1102 c.c., a fronte del divieto regolamentare, che si estende a tutte le modificazioni dell’aspetto esterno del fabbricato, indipendentemente dal pregiudizio che in ipotesi gli arrechi. Quanto poi all’ubicazione delle unità immobiliari delle parti, va rilevato che la questione non può avere ingresso in questa sede, poichè non è stata affrontata nella sentenza impugnata, nè i ricorrenti hanno dedotto e dimostrato, come era loro onere, di averla prospettata nel giudizio a quo.

Il ricorso viene pertanto rigettato, con conseguente condanna dei ricorrenti – in solido, dato il comune loro interesse nella causa – a rimborsare al resistente le spese del giudizio di cassazione, che si liquidano in 200,00 Euro, oltre a 1.500,00 Euro per onorari, con gli accessori di legge.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna i ricorrenti in solido a rimborsare al resistente le spese del giudizio di cassazione, liquidate in 200,00 Euro, oltre a 1.500,00 Euro per onorari, con gli accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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