Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 10-02-2011) 04-03-2011, n. 8742 Misure cautelari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Tribunale della Libertà di Catanzaro, con ordinanza in data 8/7/2010, annullava l’ordinanza di custodia cautelare in carcere, emessa dal G.IP. Di Catanzaro il 17/6/2010, nei confronti, tra gli altri, di M.V., in ordine al delitto di cui all’art. 416 bis c.p. (capo a) e sostituiva la misura cautelare degli arresti domiciliari a quella della custodia in carcere quanto ai residui delitti contestati (concorso nel delitto di cui al D.L. n. 306 del 1992, art. 12 quinquies, capi b) e c) con esclusione della circostanza aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7.

L’originaria imputazione di cui all’art. 416 bis c.p., commi 1-5, era stata formulata nei confronti di Lo.Bi.Gi., L.B. C., Po.Fi., Ma.Ni.Ro., P. F.A., Ma.Do., Mo.Sa., M.V., Ma.An., Fr.Fr., To.Do., Gi.Fr., M.F., Pa.Ra., per aver partecipato ad un’associazione di tipo mafioso, avendo la disponibilità di armi, finalizzata alla commissione di estorsioni e altri delitti contro il patrimonio e all’acquisizione e gestione di attività economiche – in particolare del mercato delle affissioni pubblicitarie e dei servizi funerari di trasporto in ambulanza e dei pubblici appalti – organizzata e diretta da L.B.C., all’interno della quale Ma.Ni. e Ma.An. svolgevano mansioni di organizzazione e direzione dell’attività degli altri associati, mentre Po. e Gi.Fr. mettevano a disposizione del sodalizio le imprese agli stessi intestati al fine di consentire all’associazione di perseguire le sue finalità.

Il Tribunale escludeva che dal compendio accusatorio fossero individuabili gli elementi costitutivi del delitto associativo di tipo mafioso ed osservava che dal materiale indiziario emergeva che, a partire dai primi mesi dell’anno 2007, in costanza della detenzione di L.B.C. (capo della cosca Lo Bianco) si era verificato il radicamento sul territorio di soggetti criminali che agivano al di fuori del contesto associativo egemone dei L.B. e, in una ultima fase, progettavano la costituzione di un gruppo autonomo sotto l’egida di Ma.An., contrapposto alla cosca Lo Bianco.

Secondo l’ipotesi accusatoria, dagli esiti dell’attività di captazione telefonica ed ambientale svolta dagli inquirenti, sarebbe emerso che L.B.C. e Ma.An., rispettivamente promotore e partecipe dell’associazione mafiosa Lo Bianco (riconosciuta con sentenza della Corte d’Appello di Catanzaro del 3/6/2010), nonchè Ma.Ni. avrebbero promosso ed organizzato un gruppo criminale finalizzato alla realizzazione di estorsioni e di reati contro il patrimonio, nonchè al controllo delle attività economiche nel settore delle affissioni pubblicitarie, servizi funerari, trasporto in ambulanza, pubblici appalti.

Il Tribunale rilevava che tale ipotesi accusatoria non trovava conferma nel compendio indiziario, osservando, in primo luogo che non erano emerse prove di contatti di natura illecita fra L.B. C. e gli altri soggetti affiliati ed, in secondo luogo, che dalle singole vicende prese in considerazione nell’ordinanza del Gip emergeva soltanto che gli indagati si erano aggregati per commettere episodicamente dei reati, sebbene fosse serpeggiata l’idea di costituire un gruppo autonomo che potesse sostituire l’egemonia della cosca Lo Bianco.

In particolare, con riferimento alla vicenda estorsiva in danno dell’imprenditore C.A. per la quale erano stati tratti in arresto (il (OMISSIS)2007) P.F.A. e Ma.Do. il Tribunale osservava che dalle numerose conversazioni intercettate in carcere emergeva una diatriba fra le famiglie dei detenuti e gli altri soggetti che erano rimasti indenni dall’azione giudiziaria ai quali venivano rivolte pressanti richieste di denaro, soprattutto da Pa.Ra., padre di P. F.A. nei confronti di Ma.Ni..

Ad opinione del Tribunale le pretese di assistenza economica dei detenuti non nascevano dalla loro affiliazione ad una associazione di stampo mafioso facente capo al clan Lo Bianco, quanto piuttosto erano legittimate dal fatto che Ma.Ni. e Lo.Bi.Gi. erano coinvolti nell’estorsione e, pertanto, dovevano prestare aiuto ai loro complici tratti in arresto.

Osserva il Tribunale che da una conversazione intercorsa l’11 luglio 2008 fra Pa.Ra. e Lo.Bi.Pa. (figlio del boss L. B.C.) si evinceva che la vicenda estorsiva era un affare esclusivo di Ma. e non della famiglia Lo Bianco, in quanto il figlio del boss, nel tentativo di intromettersi era stato letteralmente zittito dal Ma. (sono fatti miei).

Pertanto il Tribunale reputava che Ma.Ni., approfittando della debolezza del vecchio ( L.B.C.) avesse organizzato una autonoma attività delinquenziale nella quale concorreva P. F.A..

Quest’ultimo aveva compiuto numerose imprese criminali, associato ad altri soggetti, con i quali spartiva i proventi, senza, tuttavia, che emergessero gli estremi di un vincolo associativo.

Osservava il Tribunale che gli elementi indiziari in atti dimostravano che, negli anni 2007/2008, dopo l’arresto del boss e dei sodali della cosca Lo Bianco, un gruppo di criminali ( Ma.

N., Lo.Bi.Gi., M.V., Mo.

S., P.F.A., Ma.Do. ed il fratello M.F.) scorazzava in libertà per il territorio vibonese, ponendo in essere, singolarmente ed in concorso, condotte illecite.

In tale periodo di anarchia criminale si collocavano la vicenda estorsiva, il pestaggio degli operai, le estorsioni che il P. poneva in essere con il Mo., le imprecisate assunzioni imposte ai titolari del Supermercato (OMISSIS), nonchè la costituzione di società fittiziamente intestate a terzi.

Precisava, inoltre, il Tribunale che, pur non sussistendo dubbi che le attività economiche realizzate attraverso l’interposizione fittizia fossero illecite, tuttavia non sussistevano elementi per affermare che esse fossero gestite da Ma.Ni. e M. A. per ricondurle alla cosca Lo Bianco.

Rilevava, peraltro, il Tribunale che, dopo la sua scarcerazione dagli arresti domiciliari, il 10 giugno 2009, Ma.An. aveva avuto continue frequentazioni con P.F.A., Mo.Sa., M.V., i quali si erano attivati per fornirgli copertura sintomatica di attività sommerse, come l’acquisto di schede telefoniche intestate a L.B.M. e la bonifica della vettura.

Concludeva, quindi, il Tribunale osservando che dagli atti emergeva che M., nonostante si fosse circondato di soggetti dei quali era conosciuto il radicamento criminale sul territorio vibonese, non aveva creato alcuna organizzazione criminale stabile, nè nel proprio interesse, nè nell’interesse di L.B.C., precisando, tuttavia che la disponibilità di tali soggetti ( M.V., P.F.A. e Mo.Sa.) l’apprestamento di molte cautele per eludere i controlli delle forze dell’ordine, nonchè il carisma di M., che contava sull’appoggio di microcriminali come i Ma. lasciavano intravedere rapporti criminali in consolidazione che, verosimilmente, preludevano ad una organizzazione criminale stabile.

Avverso tale ordinanza propone ricorso il P.M. deducendo la mancanza e manifesta illogicità della motivazione risultante dal testo del provvedimento impugnato e da altri atti specificamente indicati.

Il P.M. ricorrente eccepisce l’intrinseca contraddittorietà della conclusioni a cui è pervenuto il Tribunale il quale, dando per scontata l’aggregazione intorno a Ma.An. di un gruppo di criminali che si proponeva di perpetrare azioni delittuose e che altre ne aveva già realizzate, di grande visibilità, non fa altro che delineare un fenomeno che non risulta qualificabile in termini diversi dalla "associazione criminale".

Obietta che nel concorso di persone nel reato continuato l’aggregazione delle volontà delittuose avviene in relazione a specifici reati programmati, cosicchè l’esistenza di una volontà di più soggetti, tesa alla commissione di reati futuri ed indeterminati, ed, in particolare, l’osservazione che costoro avessero intrapreso l’esercizio di attività economiche con lo scudo di soggetti formalmente incensurati allo scopo di mascherare tratti di illegalità della loro futura attività, dimostra l’esistenza di un programma futuro ed indifferenziato, teso alla commissione di reati che, sicuramente fuoriesce dall’ambito meramente concorsuale.

Più specificamente il P.M. ricorrente osserva che le conclusioni raggiunte dal Tribunale del riesame si pongono in contraddizione con la valutazione che lo stesso Collegio ha effettuato delle emergenze processuali.

In particolare il P.M. osserva che è pacifico che il gruppo Lo Bianco è stato riconosciuto come un sodalizio mafioso da una sentenza, ancora non definitiva, emessa dalla Corte d’Appello di Catanzaro.

Del pari scontata, nella ricostruzione del Tribunale è la commissione da parte di P.F.A., Lo.Bi.

G., Mo.Sa., Ma.Ni. del tentativo di estorsione commesso in data 22/12/2007 in danno dell’imprenditore C.A., per il quale il Ma. ed il P. erano stati tratti in arresto.

E tuttavia di fronte alla prova che il P. ed il Ma. abbiano prima preteso e poi ottenuto assistenza economica dal Ma., dal Mo. e dal L.B., il Tribunale contraddittoriamente ha ritenuto che tale prestazione non abbia trovato il suo fondamento nell’esistenza di un rapporto associativo, bensì nella responsabilità di questi ultimi a titoto di concorso nella stessa estorsione per la quale i due giovani erano stati arrestati.

Il P.M. ricorrente si duole che il Tribunale abbia tratto elementi per escludere l’affectio societatis da una conversazione intercettata (il 28 marzo 2009) di Pa.Ra., padre di P.F. A., nella quale costui esprime la convinzione dell’estraneità del figlio a qualunque rapporto di affiliazione criminale, senza tener nel debito conto una intercettazione del figlio (15 marzo 2008) nel quale costui riferiva esplicitamente di sè stesso come di "un diavolo nel gruppo".

Il Tribunale non avrebbe spiegato per quale motivo l’opinione di un congiunto dell’indagato sulla sua appartenenza o meno ad un determinato sodalizio criminale dovrebbe prevalere su quanto riferito dallo stesso indagato.

Il Tribunale inoltre avrebbe fatto una lettura illogica di specifici elementi indiziari, reputando irrilevante la spendita del nome di L.B.C. per la consumazione dell’estorsione ai danni di C.A. ed effettuando una interpretazione sbagliata della conversazione intercorsa l’11 luglio 2008 fra Pa.

R. e Lo.Bi.Pa. e di altre conversazioni intercettate.

Ulteriori contraddittorietà della motivazione emergerebbero nell’analisi del ruolo di Ma.An., avendo il Tribunale ignorato gli esiti di specifiche intercettazioni (relative a rapporti fra Ma.Do. e Ma.An.) dalle quali emerge che costui, nonostante il suo stato di detenzione, proseguiva nel suo ruolo di riferimento dell’agire degli altri consociati.

Anche la ricostruzione della vicenda relativa al dentista F. E. sarebbe frutto di una errata lettura della conversazione intercettata il 18/2/2010 nell’autovettura dei fratelli Ga..

Il P.M. ricorrente, inoltre si duole che il provvedimento del Tribunale sarebbe caratterizzato da una grave omissione nella lettura degli elementi di prova circa l’utilizzo del metodo mafioso per l’assoggettamento di alcune imprese operanti nel settore della pubblicità e degli appalti di pubblici servizi.

In definitiva il P.M. rileva tre gravi contraddizioni nel percorso logico del provvedimento impugnato.

In primo luogo il Tribunale esclude che il gruppo capeggiato da Ma.Ni., di cui individua come componenti P.F. A., Mo.Sa., Lo.Bi.Gi. sia riconducibile a L.B.C..

Al fine di giustificare tale conclusione il Collegio, nonostante il rapporto di affinità fra il L.B. ed il Ma. (che ne è genero) attribuisce decisività ad una serie di conversazioni dalle quali si evince il desiderio del Ma. di rendersi autonomo dal suocero, omettendo di confrontare tale conclusione con il fatto che il gruppo spendeva il nome del capo per commettere estorsioni.

In secondo luogo il Tribunale descrive il rapporto fra gli indagati in termini di "aggregazione per commettere episodicamente reati" accompagnata dalla idea di "costituire un gruppo che potesse sostituire l’egemonia della cosca Lo Bianco", senza rendersi conto della apoditticità di tale conclusione.

In terzo luogo il Tribunale non ha tenuto conto alcuno del materiale probatorio, riportato nel paragrafo 3.1 della ordinanza cautelare, dimostrante come gli indagati fossero coinvolti nella gestione di imprese che avevano realizzato un pesante condizionamento dell’economia vibonese attraverso metodologie mafiose.

Di conseguenza il P.M. chiede l’annullamento del provvedimento impugnato, osservando che il ripristino dell’aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7 impedirebbe la concessione della misura gradata degli arresti domiciliari.
Motivi della decisione

1) Il ricorso del Pubblico Ministero è incentrato sulla omessa rilevazione, da parte del Tribunale del riesame, della sussistenza degli elementi che consentano di configurare la vigenza del sodalizio criminale nei confronti di tutti gli indagati, compreso M. V., nei cui confronti è stata, invece, confermata l’ordinanza del G.I.P. con riferimento alle ipotesi accusatorie sub e) e c) ( D.L. n. 306 del 1992, art. 12 quinques, capi b) e c)), essendo emersi, dalle intercettazioni, gravi elementi indiziari idonei a far ritenere che l’intestazione della ditta P.S. in capo al G. fosse solo fittizia, risultando invece il potere di gestione a favore di Mo.Sa. e M.V., anche con riferimento ai quale è stata disposta la misura cautelare degli arresti domiciliari.

In base alla impostazione generale della ordinanza impugnata, con riferimento ai singoli episodi esaminati, pur evidenziandosi il notevole spessore criminale degli indagati, il Tribunale esprime incertezza sulla circostanza che le condotte delittuose fossero originate dall’appartenenza alla cosca dei Lo Bianco e che fossero espressione della forza intimidatoria di tale gruppo e non, invece, di autonome iniziative degli indagati, come desumibile dalla natura strettamente personale dell’intimidazione, evidenziando anche il dissidio latente fra L.B.C. e l’"antico sodale" Ma.An., escludendo che le attività dei sottogruppi fossero riconducibili alla cosca madre, rilevando come la dissociazione del Ma.An. fosse comprovata dalle stesse dichiarazioni del L.B. che lo qualifica, nelle intercettazioni, con disprezzo "(OMISSIS)".

In particolare, il Tribunale ritiene che appare una "superfetazione" la tesi di fondo dell’ordinanza del G.I.P. che l’egemonia dei L. B. non consentisse spazi di autonomia criminale ad altri gruppi che, ove esistenti dovevano essere considerato una sorta di propaggine con conseguente imputazione della loro attività alla cosca madre, evidenziando fin dai primi mesi dell’anno 2007, in costanza della detenzione di L.B.C., la comparsa sul territorio di soggetti criminali che agivano al di fuori del contesto associativo egemone dei L.B..

I giudici del riesame evidenziano come dall’attività di intercettazione e dal compendio indiziario non si traggono elementi certi da cui poter desumere la natura associativa dei rapporti tra L.B.C. e gli indagati idonei a dimostrare che il boss, fin dall’epoca in cui era detenuto in carcere per associazione mafiosa, avesse promosso e gestito, anche per conto di fiduciari, l’organizzazione di stampo mafioso di cui al capo d’imputazione del presente giudizio, ritenendo che, pur essendo accertato che intorno al M., agli inizi dell’anno 2009, si siano aggregati soggetti di notevole spessore criminoso, in possesso di armi e con lo scudo di soggetti formalmente incensurati allo scopo di mascherare l’illegalità della futura attività economica, tuttavia non era imputabile allo stesso indagato la creazione di alcuna organizzazione criminale stabile, nè nel proprio interesse nè a favore di L. B.C..

Inoltre, dal tenore della conversazione intercettata il 25 giugno 2009, si evince che il M. non aveva alcuna autonomia criminale e che il L.B. aveva una tale disistima del M. da essere incompatibile con l’affidamento al medesimo delle sorti della cosca, non essendo emersi rapporti criminali da far ritenere sussistente una organizzazione criminale stabile, essendo il quadro indiziario costituito essenzialmente da rapporti di frequentazione e di disponibilità ad "ambasciate", tra il M. e altri sodali.

Dagli esiti delle conversazioni intercettate si evidenziano favori di natura non illecita che riguardano soprattutto il fabbricato in costruzione del M., mentre la richiesta di acquisto delle schede e la richiesta di bonifica in favore del M., pur evidenziando solidarietà criminale, sono episodi di per sè insufficienti a ritenere provata la costituzione di un gruppo criminale mafioso.

Anche l’arresto, avvenuto presso l’azienda agricola del M., di P., per detenzione illegale di una pistola Beretta, a giudizio del Tribunale, non può assumere il significato, attribuito dall’accusa al P., di guardaspalle del M., in quanto, nella conversazione in data 20.9.2009 (f. 271 ord.), Pa.

R. parlando dell’arresto del figlio dichiara che la pistola "se l’era tenuta addosso" perchè voleva dimostrare di non avere paura, quindi per orgoglio criminale e non per assolvere ad uno specifico compito di tutela del M..

Il Tribunale, ritiene, inoltre, non rispondente a verità la circostanza, sostenuta dall’accusa, che il M. si era accollato le spese legali relative all’arresto di P., in quanto dalla conversazione intercettata il 14 settembre 2009 (f. 270 ord.) si evince che quest’ultimo sperava nel pagamento del lavoro di rivestimento già eseguito nell’edificio in costruzione "perchè doveva portare i soldi dell’avvocato che aveva fissato il caso".

I giudici del riesame ritengono, conseguentemente, inverosimile la prospettiva che Ma.An. abbia potuto programmare l’operatività criminale di un nuovo clan all’interno della cosca Lo Bianco, rilevando come il gruppo di fedeli al Ma.An. si sia liberamente aggregato al di fuori del contesto associativo del L.B., come desunto dalla circostanza che intorno al M. si siano aggregati soggetti che erano portatori di interessi economici, sin dall’origine, antagonisti ai L.B., escludendo, la sussistenza di un’unica organizzazione criminale, facente capo al L.B., in cui possano ritenersi inseriti di attuali indagati.

2) Va premesso che la modifica normativa dell’art. 606 c.p.p., lett. e), di cui alla L. 20 febbraio 2006, n. 46, lascia inalterata la natura del controllo demandato alla Corte di Cassazione, che può essere solo di legittimità e non può estendersi ad una valutazione di merito.

Il nuovo vizio introdotto è quello che attiene alla motivazione, il cui vizio di mancanza, illogicità o contraddittorietà può ora essere desunto non solo dal testo del provvedimento impugnato, ma anche da altri atti del processo specificamente indicati.

E’ perciò possibile ora valutare il cosiddetto travisamento della prova, che si realizza allorchè si introduce nella motivazione un’informazione rilevante che non esiste nel processo oppure quando si omette la valutazione di una prova decisiva ai fini della pronunzia.

Attraverso l’indicazione specifica di atti contenenti la prova travisata od omessa si consente nel giudizio di cassazione di verificare la correttezza della motivazione.

Ciò peraltro vale nell’ipotesi di decisione di appello difforme da quella di primo grado, in quanto nell’ipotesi di doppia pronunzia conforme il limite del devolutum non può essere superato ipotizzando recuperi in sede di legittimità, salva l’ipotesi in cui il giudice d’appello, al fine di rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, richiami atti a contenuto probatorio non esaminati dal primo giudice.

Quando il giudice del riesame ritenga di modificare la decisione del primo giudice può evitare di analizzare le ragioni poste a fondamento dell’originaria pronuncia e specificare quelle che inducono invece ad un diverso giudizio, a condizione che la decisione di riforma sia sorretta da un’adeguata, completa e convincente motivazione, dando di per sè ragione, con caratteri di assoluta decisività, della diversa scelta operata e della prevalenza attribuita ad elementi prova diversi o diversamente valutati (Sez. 6^, Sentenza n. 9478 del 10/11/2009 Cc. (dep. 10/03/2010) Rv.

246401).

Il giudice d’appello può, pertanto, pervenire ad una ricostruzione del fatto difforme da quella effettuata dal giudice di primo grado, ma in tal caso, per non incorrere nel vizio di motivazione, ha l’onere di tenere conto delle valutazioni in proposito svolte da quest’ultimo e di indicare le ragioni per le quali intende discostarsene (Sez. 4^, Sentenza n. 37094 del 07/07/2008 Ud. (dep. 30/09/2008) Rv. 241024).

Alla luce di tali considerazioni deve ritenersi fondato il ricorso del P.M. nonostante la tecnica espositiva del ricorso "affastellante".

Il PM ricorrente ritiene, anche, che le modalità di svolgimento dell’attività imprenditoriale della P.S. ne evidenzino la natura mafiosa, potendo l’associazione criminale essere riconosciuta anche qualora ponga in essere condotte di acquisizione del controllo di attività economiche ovvero il perseguimento di profitti non illeciti ma, comunque, ingiusti.

Rilevava, inoltre, come la P.S. fosse una propagazione operativa dell’associazione mafiosa di cui fanno parte gli indagati per inserirsi e condizionare attivamente un preciso settore economico procurandosi ingiusti guadagni derivanti dalla fornitura di servizi pubblicitari non corrispondenti a uno standard qualitativo adeguato, ritenendo che la crescita economica di tale società non fosse una conseguenza della capacità operativa sul mercato, ma fosse stata originata dalla capacità di intimidazione derivante dall’appartenenza degli indagati al sodalizio criminale "Lo Bianco".

Il Tribunale, pur evidenziando "una realtà di elevato spessore criminale" non ritiene sussistenti gravi indizi idonei a poter configurare "come dato processuale certo la costituzione di un nuovo organismo criminale di stampo mafioso facente capo a Ma.

A. e contrapposto a quello dei Lo Bianco" anche, evidentemente, con riferimento alle condotte poste in essere da M.V., quale intestatario fittizio della P.S., mancando, elementi certi da cui desumere che l’attività economica di tale società fosse condizionata dalla capacità di intimidazione derivante dall’appartenenza degli indagati al sodalizio criminale "Lo Bianco", la cui partecipazione è stata esclusa, e non, piuttosto, da quella derivante dallo spessore criminale proprio di ciascun socio.

Il provvedimento impugnato è viziato da motivazione contraddittoria, illogica, ed apparente.

Secondo l’insegnamento di questa Corte: "l’elemento distintivo tra il delitto di associazione per delinquere e il concorso di persone nel reato continuato, è individuabile nel carattere dell’accordo criminoso, che nel concorso si concretizza in via meramente occasionale ed accidentale, essendo diretto alla commissione di uno o più reati – anche nell’ambito di un medesimo disegno criminoso – con la realizzazione dei quali si esaurisce l’accordo e cessa ogni motivo di allarme sociale, mentre nel reato associativo risulta diretto all’attuazione di un più vasto programma criminoso, per la commissione di una serie indeterminata di delitti, con la permanenza di un vincolo associativo tra i partecipanti, anche indipendentemente e al di fuori dell’effettiva commissione dei singoli reati programmati" (Cass. Sez. 5^, Sentenza n. 42635 del 04/10/2004 Ud.

(dep. 03/11/2004) Rv. 229906).

Nel caso di specie, il Tribunale per il riesame ha fondato le sue conclusioni, che riconoscono il concorso meramente occasionale ed accidentale dei soggetti indagati nella commissione di specifici reati al posto della sussistenza del vincolo associativo e di un più vasto programma criminoso per la commissione di una serie indeterminata di delitti, su un percorso argomentativo contraddittorio e palesemente illogico.

Il Tribunale, infatti, ha riconosciuto che gli elementi indiziari in atti dimostravano che, negli anni 2007/2008, dopo l’arresto del boss e dei sodali della cosca Lo Bianco, un gruppo di criminali ( Ma.

N., Lo.Bi.Gi., M.V., Mo.

S., P.F.A., Ma.Do. ed il fratello M.F.) scorazzava in libertà per il territorio vibonese, ponendo in essere, singolarmente ed in concorso, condotte illecite.

Ha quindi precisato che in tale periodo di anarchia criminale si collocavano la vicenda estorsiva (ai danni dell’imprenditore C.A.), il pestaggio degli operai, le estorsioni che il P. poneva in essere con il Mo., le imprecisate assunzioni imposte ai titolari del Supermercato (OMISSIS), nonchè la costituzione di società fittiziamente intestate a terzi, aggiungendo che non sussistono dubbi che le attività economiche realizzate attraverso l’interposizione fittizia fossero illecite.

Ha quindi ulteriormente riconosciuto che, dopo la sua scarcerazione dagli arresti domiciliari (giugno 2009) Ma.An. aveva avuto continue frequentazioni con P.F.A., Mo.Sa., M.V., i quali si erano attivati per fornirgli copertura sintomatica di attività sommerse, come l’acquisto di schede telefoniche intestate a terzi e la bonifica della vettura ed ha preso atto che nello stesso periodo si verificavano alcuni atti intimidatori nei confronti di Pu.

N. e del dentista F.E. riferibili ai fratelli Ma.Do. e M.F., soggetti da mettere in relazione con Ma.An..

Tanto premesso, il Tribunale conclude il suo percorso argomentativo con un postulato contraddittorio rispetto alla premesse, assumendo che i fatti descritti lasciano intendere intensi rapporti criminosi fra il Ma.An. ed il gruppo di criminali che scorazzavano nel Vibonese che preludono ad una organizzazione criminale in itinere, non ancora costituita.

Tale conclusione appare palesemente illogica in quanto contrasta con gli elementi di cui il Collegio ha preso conoscenza che testimoniano una intensa attività criminale che, proprio in quanto tale, non si adatta alla tesi del concorso episodico ed occasionale in specifici reati.

La forma libera che caratterizza il reato di associazione per delinquere di stampo mafioso, e dunque la mancanza di tipizzazione della relativa condotta, consentono al giudice di merito di cogliere, nel processo di metamorfosi della mafia nel tessuto sociale ed economico, i contenuti dell’appartenenza anche in nuove e più evolute forme comportamentali di adattamento o di mimetizzazione, rispetto alla classica iconografia del mafioso (cfr. Sez. 5^, Sentenza n. 17380 del 18/01/2005 Ud. (dep. 06/05/2005) Rv. 231781).

Le conclusioni assunte dal Tribunale per il riesame, peraltro, sono viziate da motivazione apparente con riferimento agli elementi probatori che emergono dall’O.C.C. in quanto il Collegio non ha tenuto conto alcuno di tale materiale probatorio, nulla osservando rispetto a quelle intercettazioni che dimostrano – in ipotesi – un modus operandi degli indagati coinvolti nella gestione delle imprese volto a realizzare un condizionamento dell’economia vibonese attraverso metodologie mafiose.

Nel caso di specie, infatti, il Tribunale si è limitato a proporre un’interpretazione semplificante dell’intimidazione subita da ma.do., titolare della PU., senza trame le logiche conseguenze circa le modalità operative degli indagati nella gestione della ditta P.S. e senza prendere minimamente in considerazione gli esiti delle altre intercettazioni relative alle modalità intimidatorie nel procacciamento e nel rapporto con i clienti.

In questo contesto il giudizio sull’episodicità od occasionalità dei reati commessi in concorso da alcuni degli indagati risulta viziato anche dalla pretermissione dell’esame degli elementi scaturenti dalla condotta nella gestione delle imprese, in quanto l’eventuale utilizzo di modalità mafiose nella gestione delle attività economiche fittiziamente intestate a dei prestanome, rimanda all’esistenza di un programma futuro ed indifferenziato, teso alla commissione di reati, incompatibile con la tesi del concorso di persone in specifici reati.

Di conseguenza il provvedimento impugnato deve essere annullato con rinvio al Tribunale di Catanzaro, in diversa composizione, per nuovo esame.

L’annullamento con riferimento al capo a) della imputazione travolge anche la valutazione sulla inesistenza dell’aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7 nonchè la disposta sostituzione della misura cautelare degli arresti domiciliari a quella della custodia in carcere, dovendo il Tribunale operare una nuova valutazione al riguardo.
P.Q.M.

Annulla il provvedimento impugnato, limitatamente al capo a), all’aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7 e alle esigenze cautelari con rinvio al Tribunale di Catanzaro per nuovo esame.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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