Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 10-02-2011) 04-03-2011, n. 8711

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 15 aprile 2010, la Corte d’Appello di Catania, 2A sezione penale, confermava la sentenza del GIP del Tribunale in sede appellata da C.G., con la quale questi era stato dichiarato colpevole del reato di cui alla L. n. 459 del 1991, art. 12 quinquies per avere, in concorso con altri, attribuito fittiziamente a Ca.Vi. la titolarità di quote della società Dorata di Sicilia s.r.l. al fine di eludere le disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione patrimoniali, commettendo il fatto per agevolare l’attività dell’associazione mafiosa denominata Santapaola, e condannato alla pena di tre anni di reclusione.

La Corte territoriale, rammentate le vicende della citata società e gli interessi per essa di gruppi mafiosi fra i quali anche quello dei Santapaola, soffermava l’attenzione sulle conversazioni intercettate intrattenute tra Ca.Vi. (prestanome di C. G. e U.N.) con R.S. e S. E. sulle sorti di tale società per dedurne la fittizietà dell’intestazione al Ca. e quindi la prova della sussistenza del delitto contestato, posto che C. era stato sottoposto, in data antecedente all’attribuzione fittizia, alla misura di prevenzione di PS con obbligo di soggiorno per la durata di quattro anni, siccome indiziato di appartenenza ad associazione mafiosa.

Ne discendeva anche la prova della sussistenza della contestata aggravante.

Contro tale decisione ha proposto tempestivo ricorso l’imputato, a mezzo del difensore, che ne ha chiesto l’annullamento per i seguenti motivi: – violazione ed inosservanza del D.L. n. 152 del 1991, art. 7 nonchè mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, perchè non è individuabile alcun passaggio argomentativo che abbia i giustificato il convincimento della sussistenza di tale aggravante, nonostante con l’atto di appello si fosse espressamente criticata la sentenza del Tribunale per non aver chiarito in favore di chi egli avrebbe agito, non essendo certo sufficiente la vicinanza del ricorrente ad alcuni esponenti del clan Santapaola, la consapevole i finalità agevolativa risultando indimostrata ed anzi smentita dal contenuto delle stesse conversazioni riportate in sentenza. A ulteriore riprova dell’ottica strettamente individuale che ha animato C. vi è l’interessamento palesato dal fratello dell’imputato, C. P., tanto più che la stessa sentenza da atto che il ricorrente effettuò l’operazione fraudolenta per il timore di essere assoggettato a misure di prevenzione patrimoniale.
Motivi della decisione

Correttamente la sentenza impugnata richiama il canone ermeneutico secondo il quale in tema di reati di criminalità organizzata, la circostanza aggravante di cui al D.L. 13 maggio 1991, n. 152, art. 7, convertito nella L. n. 203 del 1991, può qualificare anche la condotta di chi, senza essere organicamente inserito in un’associazione mafiosa, offra un contributo al perseguimento dei suoi fini, a condizione che tale comportamento risulti assistito, sulla base di idonei dati indiziari o sintomatici, da una cosciente ed univoca finalizzazione agevolatrice del sodalizio criminale.

Cass. Sez. 6, 13.11.2008-21.1.2009 n. 2696).

E’ proprio l’univocità della finalizzazione agevolatrice che non trova giustificazione nel contesto della motivazione censurata, vero essendo che l’unico elemento indiziante richiamato in motivazione è costituito dalla vicinanza del ricorrente al clan Santapaola (vicinanza che peraltro è stata la ragione per la quale è stato sottoposta alla misura di prevenzione personale, misura di prevenzione che è alla base dell’intestazione fittizia).

Va invero ribadito il principio di diritto secondo il quale "non basta il mero collegamento dei soggetti accusati con contesti di criminalità organizzata occorrendo invece, affinchè possa ritenersi la sussistenza della finalità agevolatrice dell’organizzazione criminale, la dimostrazione dell’esistenza di tale finalità" (cfr.

Cass. Sez. 6, 26.4-6.7.2007 n. 26326).

La sentenza deve in conseguenza essere annullata, limitatamente all’aggravante di cui al D.L. n. 152 del 1991, art. 7, con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Catania, che, nella pienezza dei poteri propri del giudice di merito, colmi il vuoto motivazionale evidenziato attenendosi all’indicato principio di diritto.
P.Q.M.

Annulla l’impugnata sentenza limitatamente all’aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7, con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Catania per nuovo giudizio sul punto.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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