T.A.R. Sicilia Catania Sez. III, Sent., 01-03-2011, n. 512 Procedimento e provvedimento disciplinari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il ricorrente, finanziere scelto, contesta il provvedimento in epigrafe concernente il rigetto del ricorso gerarchico dallo stesso proposto avverso la sanzione disciplinare (di gg. 7 di consegna semplice), nonché gli atti connessi ed occorrendo lo specchio valutativo del servizio svolto nel periodo dal 22.5.2009 al 20.12.2009.

Detta sanzione (irrogata il 13.10.2009) è scaturita dal fatto che in un albergo a Lampedusa, alla presenza dell’albergatore e di altre persone, il ricorrente avrebbe lanciato un getto d’acqua su di un superiore.

L’interessato deduce in diritto:

1) Violazione del combinato disposto dell’art. 10, lettera b) della legge n. 241/90 e degli artt. 1, comma 2, secondo periodo e 5, comma 2, del D.M. (Finanze) 19 ottobre 1994, n. 678. Violazione delle norme sul procedimento amministrativo. Eccesso di potere per erroneità nei presupposti, difetto di motivazione e manifesta ingiustizia. Violazione del giusto procedimento.

Lamenta, in sostanza, l’esiguo tempo (5 gg.) concessogli per approntare le proprie giustificazioni in relazione al fatto addebitatogli.

2) Violazione del comma 5 dell’art. 59 del regolamento di disciplina militare approvato con D.P.R. n. 545/1986. Eccesso di potere per erroneità nei presupposti.

Assume che la contestazione di addebito sarebbe indeterminata e ciò in violazione della norma citata, stante anche la mancata specificazione, a livello normativo, dell’infrazione ascrittagli, come sarebbe comprovato dal generico richiamo, nella detta contestazione di addebito, di ben cinque distinte norme del regolamento disciplinare: gli artt. 2, 10, 14, 16 e 36.

3) Violazione dell’art. 5 della legge 382/78. Eccesso di potere per travisamento di fatti, erroneità nei presupposti, illogicità manifesta;

In ogni caso, il ricorrente ritiene che l’evento ascrittogli non rientrerebbe in nessuna delle ipotesi contemplate dal regolamento di disciplina.

4) Violazione degli artt. 60 e 64 R.D.M. criteri per la commisurazione della sanzione. Eccesso di potere per difetto di motivazione, illogicità, disparità di trattamento e contraddittorietà.

Palese sarebbe, infine, la violazione degli articoli citati, che dettano i criteri per una giusta e proporzionata commisurazione della sanzione; dal che discenderebbe anche l’eccesso di potere sotto i profili considerati.

Si è costituita in giudizio, per resistere al ricorso, l’Amministrazione intimata, che con rituale memoria difensiva contesta le addotte censure e ne chiede la reiezione con ogni conseguente statuizione sulle spese.

Alla camera di consiglio del 25.1.2010, fissata per l’esame dell’istanza cautelare, il ricorrente ha rinunciato a tale istanza.

L’Amministrazione, in data 10.5.2010, ha depositato documenti ed un articolato ed ampio controricorso volto a dimostrare la legittimità degli atti impugnati, in relazione ai principi della materia, come ripetutamente enucleati dal Consiglio di Stato e anche dalla Corte Costituzionale (sent. 356/1995). Eccepisce, inoltre, la tardività dell’impugnativa dello "specchio valutativo", mod. H, perché notificato all’interessato il 14.1.2010.

Con memoria depositata in data 8.1.2011, in vista dell’udienza di trattazione, il ricorrente ha ribadito le proprie difese, insistendo per l’accoglimento del gravame; assumendo, in definitiva, che:

– vi sarebbe stata nella specie un’assoluta indeterminatezza circa la violazione contestata;

– non si sarebbe tenuto conto della pura "causalità" (recte: casualità) del fatto, accaduto in luoghi non militari e fuori dall’orario di servizio;

– la sanzione in argomento sarebbe del tutto inadeguata rispetto all’insussistenza di un qualche "disvalore nell’operato del ricorrente".

Si ribadisce, comunque, che "l’evento ascritto al C. ("gavettone") non rientra in nessuna delle ipotesi contemplate da detta disposizione; invero il ricorrente non svolgeva attività di servizio, non era in luogo militare o comunque destinato al servizio, non indossava l’uniforme, non si qualificava, in relazione ai compiti di servizio, come militare in divisa o che si qualifica come tale".

Alla pubblica udienza del 9 febbraio 2011, presenti i difensori delle parti – che si sono riportati agli scritti difensivi insistendo nelle relative conclusioni – la causa è stata posta in decisione.
Motivi della decisione

Occorre premettere che, ai sensi dell’art. 10 della L. 23 aprile 1959 n. 189 ("Ordinamento del corpo della Guardia di finanza") ai militari del Corpo della guardia di finanza "si applicano il regolamento di disciplina militare per l’Esercito e la legge penale militare".

Le disposizioni relative alla disciplina militare (valevoli anche per il Corpo della Guardia di finanza) si rinvengono nel D.P.R. 18 luglio 1986, n. 545 ("Approvazione del regolamento di disciplina militare, ai sensi dell’art. 5, primo comma, della L. 11 luglio 1978, n. 382").

In relazione a tale fonte, bisogna tenere presente la diversità concettuale e giuridica (e quindi la diversità di presupposti e di effetti) esistente tra sanzioni disciplinari "di stato" e sanzioni disciplinari "di corpo" (art. 13 L. 11 luglio 1978 n. 382): le prime riferibili alla violazioni della disciplina militare cui consegue un effetto esterno alla stessa organizzazione militare, le seconde (meno gravi; tra cui la consegna semplice) inerenti alla medesima disciplina, ma con effetti che si esauriscono all’interno dell’organizzazione stessa.

Circa l’ambito di sindacabilità dei fatti contestati ai militari in sede disciplinare e alla scelta della relativa sanzione, la giurisprudenza amministrativa ha da tempo chiarito che:

– trattasi di determinazioni ampiamente discrezionali sottratte al giudizio di legittimità, salvi macroscopici casi di contraddittorietà e/o di evidente sproporzione tra i fatti contestati e la sanzione inflitta (cfr. T.A.R. Lazio Roma, sez. I, 03 giugno 2008, n. 5401);

– nel procedimento disciplinare a carico di pubblici dipendenti, compresi i militari, l’amministrazione è titolare di ampia discrezionalità in ordine alla valutazione dei fatti addebitati al dipendente, alla gravità delle infrazioni accertate e alle conseguenti sanzioni da infliggere, con la conseguenza che il provvedimento sanzionatorio sfugge al sindacato del giudice amministrativo, non essendo consentito a quest’ultimo di sostituire le proprie valutazioni a quelle dell’amministrazione, salvo il caso di riscontrato travisamento dei fatti e di manifesta illogicità (cfr. Consiglio Stato, sez. IV, 14 febbraio 2008, n. 512; T.A.R. Sicilia Catania, sez. III, 22 giugno 2007, n. 1091; Consiglio Stato, sez. IV, 31 maggio 2007, n. 2830);

– in ragione del fatto che la punizione della "consegna" inflitta ad un militare rientra tra le sanzioni c.d. di corpo, tradizionalmente distinte da quelle c.d. di stato per una minore incidenza sullo "status" giuridico del dipendente e, di conseguenza, per un regime formale e procedurale più semplice e meno rigoroso, l’atto con il quale venga applicata ad un militare una sanzione disciplinare di corpo – tanto più se non di rigore – non necessita di motivazione dettagliata ed argomentata con confutazione di ciascuno degli argomenti difensivi esposti dal militare (cfr. T.A.R. Lazio Roma, sez. I, 24 gennaio 2007, n. 450);

– nel procedimento disciplinare nei confronti del militare della guardia di finanza, il giudizio si svolge con una larga discrezionalità da parte dell’amministrazione in ordine al convincimento sulla gravità delle infrazioni addebitate e sulla conseguente sanzione da irrogare, sicché, in sede di impugnativa del provvedimento disciplinare, il giudice amministrativo non può sostituirsi agli organi dell’amministrazione nella valutazione dei fatti contestati all’inquisito e nel convincimento cui tali organi siano pervenuti, salvo che tale valutazione contenga un palese travisamento dei fatti, ovvero il convincimento non risulti formato sulla base di un processo logico e coerente (cfr. Consiglio Stato, sez. IV, 21 agosto 2006, n. 4841).

In punto di fatto, poi, occorre precisare che l’episodio addebitato al ricorrente, come esaustivamente descritto nella contestazione di addebito del 1.10.2009 (in atti), è quello di "aver lanciato dal balcone della propria camera d’albergo un violento getto d’acqua verso un superiore, bagnando nel contempo anche i suppellettili e la pavimentazione della struttura alberghiera, ledendo così la dignità del sottufficiale in presenza di persone civili estranee al Corpo" (v. anche il rapporto di servizio del 30.9.2009 del detto sottufficiale).

Fatte queste premesse di ordine generale, il ricorso non può essere accolto.

Col primo motivo, il ricorrente lamenta violazione del giusto procedimento in merito all’esiguo tempo concessogli per approntare le proprie giustificazioni circa il fatto addebitatogli. Si duole in particolare della violazione del combinato disposto dell’art. 10, lettera b) della legge n. 241/90 e degli artt. 1, comma 2, secondo periodo, e 5, comma 2, del D.M. (delle Finanze) 19 ottobre 1994, n. 678.

L’argomento non è condivisibile, dato che lo stesso ricorrente riconosce l’obbligo per la PA di attivare celermente il procedimento disciplinare, e quindi la necessità di inviare la contestazione di addebito e di formalizzare il procedimento senza ritardo (e ciò alla stregua degli artt. 58 e 59 del D.P.R. 545/1986, per cui "il procedimento disciplinare deve essere instaurato senza ritardo…)".

E d’altronde, a fugare il rischio (paventato, ma solo in astratto, dall’odierno ricorrente) di un qualche eventuale pregiudizio al diritto di partecipazione e di difesa dell’incolpato, è sufficiente osservare che nulla impedisce a quest’ultimo, una volta ricevuta la contestazione di addebito, di richiedere alla P.A. un ulteriore e più lungo termine a difesa (come pure evidenzia giustamente l’Amministraizone resistente a pag. 17 del controricorso di cui in narrativa nella quale si stigmatizza anche il fatto che il ricorrente ha comunque potuto produrre "numerose memorie difensive"- ibidem pag. 11).

In ogni caso, il profilo in esame è da ritenersi inammissibile, in quanto a suo tempo non dedotto in sede gerarchica (cfr., ex multis, Consiglio Stato, sez. IV, 5 settembre 2008, n. 4231; da ultimo T.A.R. Lazio Roma, sez. III, 9 dicembre 2010, n. 35802).

Col secondo ed il terzo motivo (che per connessione vanno esaminati congiuntamente), il ricorrente si suole della indeterminatezza della contestazione, stante anche la mancata specificazione normativa dell’infrazione ascrittagli, ed il generico richiamo, in sede di contestazione, di ben cinque norme di detto regolamento: gli artt. 2, 10, 14, 16 e 36.

In ogni caso, assume che l’evento ascrittogli (un c.d. "gavettone" nei confronti di un superiore, posto in essere fuori dall’ambiente militare e dall’orario di servizio) non rientrerebbe in nessuna delle ipotesi contemplate dal regolamento di disciplina.

Tali argomenti, pur abilmente prospettati, non appaiono convincenti.

Per un verso, infatti, basta leggere gli atti di causa per constatare che, sia la contestazione di addebito, sia la sanzione irrogata descrivono perfettamente il fatto addebitato al C.; per altro verso, la denunciata indeterminatezza ed il richiamo – nella contestazione disciplinare – alle cinque distinte norme del regolamento, sopra riportate, deriva dal fatto che l’evento in argomento non è, nella sua concreta materialità, effettivamente descritto dalla normativa in parola; ma il fatto posto a base della sanzione impugnata, configura, per le sue modalità e la sua intrinseca "deprecabilità", una palese violazione di numerosi principi che dovrebbero regolare il comportamento di chi indossa l’uniforme; principi che, appunto, sono compendiati in tutte le norme sopra riferite (come puntualmente controdedotto dall’Amministrazione negli scritti difensivi prima citati).

In particolare, appare significativo il richiamo contenuto nella decisione di rigetto del ricorso gerarchico all’art. 10, punto 2, del regolamento, laddove è previsto che il militare "… deve astenersi, anche fuori servizio, da comportamenti che possano comunque condizionare l’esercizio delle sue funzioni, ledere il prestigio dell’istituzione cui appartiene…"; nonché all’art. 36 punti 2 e 3 laddove è previsto che "egli ha il dovere di improntare il proprio contegno al rispetto delle norme che regolano la civile convivenza" e quindi "a) astenersi dal compiere azioni…. non confacenti alla dignità e al decoro".

In ogni caso, proprio l’art. 5 L. 382/1978, che il ricorrente ha ritenuto di richiamare espressamente in sede di ricorso gerarchico, demanda al regolamento di disciplina di stabilire specifiche sanzioni per i militari che si trovino in una qualsiasi delle condizioni (indipendenti l’una dall’altra) indicate alle lettere da a) a d) del medesimo art. 5; ossia per comportamenti, disdicevoli o indecorosi, tenuti da chiunque porti una divisa, anche fuori dagli ambienti militari e dall’orario di servizio.

Con il quarto ed ultimo motivo (violazione degli artt. 60 e 64 del regolamento di disciplina cit.), il ricorrente si duole di una ingiusta commisurazione della sanzione e ciò in relazione alla pura "casualità" di quanto accaduto (in luoghi non militari e fuori dall’orario di servizio).

Il motivo (in disparte quanto già detto in relazione all’ampia portata delle regole di comportamento di cui all’art. 5 L. 382/1978 e del regolamento di disciplina, artt. 10 e 36) è inammissibile, in quanto tende sostanzialmente a sindacare – specie laddove si assume l’insussistenza di "disvalore dell’operato del ricorrente" – il giudizio di (puro) merito sulla cui base l’Amministrazione ha ritenuto di irrogare la sanzione contestata; sanzione – va notato – che rientra tra i minori provvedimenti disciplinari ("sanzioni di corpo") e che, in assenza di macroscopica e palese irrazionalità, sfugge inesorabilmente al sindacato di legittimità che compete a questo Collegio.

Quanto, infine, all’impugnativa dello "specchio valutativo" di cui in epigrafe, il Collegio rileva che, non solo si appalesa fondata l’eccezione di tardività sollevata dall’Amministrazione (dato che il ricorso è stato notificato il 24.3.2010 a fonte della notifica dell’atto all’interessato il 14.1.2010); ma è altresì inammissibile per genericità, non essendo dedotta alcuna specifica censura (se non quella – a tutto concedere – implicita di invalidità derivata, che tuttavia, per quanto prima osservato, andrebbe comunque rigettata).

Per completezza, va aggiunto che esulano dal presente giudizio impugnatorio le ulteriori questioni di cui il ricorrente fa cenno nella memoria depositata in vista dell’udienza e relative:

– alla valutazione del ricorrente redatta successivamente con "rapporto informativo" per avanzamento con cui questi veniva valutato nella norma per il periodo dal 16/01/2010 al 30/03/2010";

– al non impiego del ricorrente "nelle attività di volo, anche minime" ed al correlativo asserito demansionamento;

– ad un presunto nesso di causalità che intercorrerebbe tra il detto mancato impiego ed il "procedimento disciplinare per cui è causa".

In conclusione, il ricorso deve essere respinto siccome privo di giuridico fondamento.

Sussistono giusti motivi, in relazione alla natura ed agli specifici profili della controversia, per compensare tra le parti le spese e gli onorari del giudizio.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia sezione staccata di Catania (Sezione Terza) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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