Cass. civ. Sez. I, Sent., 04-05-2011, n. 9765 Indennità di espropriazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

A.L., A.G., A.A., proprietari di un fondo sito nel Comune di Fasano esteso mq. 11.300 ed espropriato dal Comune, convennero l’Ente innanzi alla Corte di Lecce per l’accertamento dei giusto valore dell’area. La Corte di Lecce con sentenza 4.11.1989, ritenuta la prevalente natura edificatoria del terreno ed affermata quella agricola per parte marginale, determinò l’indennizzo dovuto (sulla base del parametro di L. 12.500 a mq e di L. 4.000 a mq., rispettivamente per la quota edificatoria e per quella agricola) nella complessiva somma di L. 68.820.950. La Corte di Cassazione con sentenza del 21.7.1995 – poi seguita da sentenza 6.11.1998 di accoglimento di ricorso ex art. 391 bis c.p.c. – accolse il ricorso degli espropriati e rinviò, sia per la riqualificazione della affermata natura agricola del suolo sia per l’applicazione necessaria dello jus superveniens ( D.L. n. 333, art. 5 bis, convertito in L. n. 359 del 1992), alla stessa Corte. La Corte di Lecce in sede di rinvio, con sentenza 6.12.2004, ha: 1) affermato alla stregua della previsione di PEEP la natura edificatoria dell’intera area, 2) ribadito che il parametro di valore a mq dell’area dovesse essere quello, già stimato dal CTU, di L. 12.000 a mq. e disatteso le censure afferenti la incompletezza della indagine di mercato su transazioni di terreni consimili e su stime di terreni presi a tertium comparationis, 3) sviluppato il calcolo dell’indennità sulla base del disposto dell’art. 5 bis ed affermato che, essendo il valore risultante (L. 74.772.450) superiore alla somma erogata, tra deposito provvisorio e liquidazione ad opera della sentenza cassata (L. 68.820.950), poteva emettersi sentenza di accoglimento e condanna 4) pertanto riconosciuto come dovuta la somma di L. 78.772.450 per ad Euro 38.616 oltre interessi e spese.

Per la cassazione di tale sentenza i sigg.ri A.L., A.G. ed A.A., hanno proposto ricorso in data 17.6.2005 articolando due motivi, ai quali il Comune non ha opposto difese.

Il difensore dei ricorrenti ha depositato memoria finale.

Con il primo motivo i ricorrenti denunziano violazione dell’art. 2909 c.c. e vizio di motivazione: ad avviso dei ricorrenti la Corte, indebitamente attestando il divieto di reformatio in pejus sulla somma complessivamente dovuta, aveva omesso di considerare che per l’omessa impugnazione in sede di legittimità si era formato giudicato sul parametro indennitario di L. 12.500 a mq accertato con la decisione del 1989 della Corte di Appello e che tal parametro di sarebbe dovuto applicare interamente all’intera area.

Con il secondo motivo si denunzia quindi difetto di motivazione in relazione alla disattesa richiesta di rinnovazione della CTU, con la quale si chiedeva di appuntare l’indagine sui prezzi di mercato delle aree limitrofe o consimili e non sui valori di esproprio, di tenere conto di altre CTU prodotte in diversi giudizi, di considerare solo dati omologhi per estensione ed ubicazione di terreni, di considerare non solo la nuova perizia ma anche quella acquisita nella fase del giudizio concluso con la sentenza cassata.
Motivi della decisione

Ritiene il Collegio che, pur essendo infondate le censure esposte nei due motivi dianzi sintetizzati, nondimeno per effetto dello jus superveniens debba, provvedendosi sul ricorso, cassare la sentenza impugnata.

Si esaminano quindi i due motivi del ricorso.

Primo motivo: esso contiene doglianze prive di alcuna plausibilità e consistenza non scorgendosi come possa ritenersi coperto da giudicato non il valore complessivo della liquidazione della indennità (che pervero neanche passa in giudicato, ma è solo non riformabile in pejus ove l’impugnazione non sia stata proposta dalla parte interessata, come rammentato da Cass. n. 15835 del 2010) ma addirittura la determinazione unitaria del valore dell’area fatta dal primo giudice (nella specie indicata in L. 12.500 a mq.). Il ricorso pare ignorare che non sono suscettibili di essere coperti dalla menzionata preclusione nè i criteri di esproprio nè i parametri o valori unitari accertati dalla sentenza di merito che li abbia posti a base del calcolo dell’indennizzo, sì che, dato corso allo jus superveniens, la sua applicazione non trova alcun ostacolo nella predetta scelta od individuazione da parte di quel giudice. In tal senso si richiamano, in termini, Cass. n. 24064 del 2008 e, in linea generale, Cass. n. 22521 del 2010 e n. 3434 del 2011.

Secondo motivo: le censure esposte, a fronte di motivazione attenta e logica della sentenza impugnata, appaiono non ammissibili. Il complesso motivo narra in sei pagine delle censure rivolte alla CTU N. – là dove essa avrebbe preso a parametro del criterio sintetico comparativo non atti di compravendita ma atti di esproprio – sia in sede di osservazioni critiche immediate sia in sede di difese conclusionali; quindi il motivo si duole della risposta data dalla Corte per essere detta risposta elusiva della questione posta (non potendosi ad avviso dei ricorrenti ritenere congruo il criterio comparativo adottato sol perchè sarebbero mancate "altre transazioni immobiliari" e dovendosi in tal caso almeno ripiegare sul criterio analitico). Dissente poi il motivo dalle ragioni per te quali la Corte di merito ebbe a ritenere nel concreto inutilizzabile un atto preso dai deducenti a tertium comparationis e del pari non rilevante una transazione del 1994. Orbene, il complesso delle censure non riesce ad evidenziare alcuna illogicità di argomentazione ma soltanto una diversa valutazione, non condivisa dalla parte ricorrente con la conseguenza per la quale tutte le censure appaiono non consentiti tentativi di rivalutazione dei fatti accertati.

Nondimeno, e come anche di recente ribadito (Cass. 25567 del 2010), la presenza di censure sulla liquidazione dell’indennità, sia con riguardo al criterio sia in relazione al quantum dell’indennizzo, rende contestata da parte dell’espropriato detta statuizione e consente, provvedendo sul ricorso, di dare ingresso al nuovo criterio di indennizzo emergente dopo la sentenza 348/2007 della Corte Costituzionale (per le espropriazioni anteriori alla entrata in vigore della nuova disciplina ex D.P.R. n. 327 del 2001, ancora il valore venale pieno di cui alla L. n. 2359 del 1865, art. 39), come più volte ribadito da questa Corte (Cass. n. 22409 del 2008 – n. 28431 del 2008 – n. 11004 del 2010).

Va quindi cassata l’impugnata sentenza e ben può procedersi alla decisione nel merito ex art. 384 c.p.c, essendo stati accertati i fatti di rilievo e non residuando margini di alcuna loro valutazione.

Pertanto, per l’area edificabile espropriata di mq. 11.300 andrà calcolato l’indennizzo al valore unitario di L. 12.000 a mq. ed al totale andrà assommato il valore pieno del manufatto ablato, pari a L. 5.107.950, con un totale di Euro 72.664 dovuti dal Comune di Fasano. Di tal somma va disposto il deposito nelle forme di legge (segnatamente di quella eccedente le somme depositate a suo tempo all’esito dei gradi del giudizio di merito) in una con gli interessi legali dal dovuto al saldo (da computarsi sui saldi dovuti e per la differenza rispetto alle somme già versate per interessi, e delle quali da atto la sentenza qui cassata). Quanto alle spese di lite, se vanno confermate le statuizioni della sentenza impugnata con riguardo ai decorsi giudizi, e del pari se va condivisa la regolamentazione delle spese di CTU, appare equo disporre la compensazione delle spese del giudizio qui concluso, posto che la cassazione della sentenza discende non già dalla fondatezza dei motivi ma della mera sopravvenienza della normativa indicata.
P.Q.M.

Pronunciando sul ricorso, cassa la sentenza impugnata e decidendo ex art. 384 c.p.c., determina l’indennità di espropriazione dovuta dal Comune di Fasano in Euro 72.664 della quale dispone il deposito nelle forme di legge in una con gli interessi legali dal dovuto al saldo nei sensi di cui in motivazione. Condanna il Comune al pagamento di 1/2 delle spese dei pregressi giudizi, compensato il residuo 1/2, che determina per l’intero, secondo la specifica della sentenza cassata, in Euro 12.708,96. Condanna il Comune a sostenere il 75% delle liquidate spese di CTU (restando a carico dei ricorrenti il residuo).

Compensa per intero le spese del concluso giudizio di legittimità.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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