T.A.R. Toscana Firenze Sez. II, Sent., 01-03-2011, n. 389 Impresa agricola

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

L’A.A.L.S. di D.S. & C. S.n.c. espone di essere titolare di un immobile sito in località La Sterza, nel Comune di Chianni, adibito a terreno agricolo, in riferimento al quale presentava, il 10 marzo 2007, apposita D.I.A. (n. 9/2007) per la realizzazione di opere di reinterro e riporto di terreno. Ad essa seguiva nel giugno 2008 una successiva integrazione, con cui l’Azienda comunicava che per il reinterro sarebbe stato utilizzato materiale inerte proveniente dal lavaggio dei materiali di cava (limo) prodotto dalla B. S.r.l. nell’impianto di Peccioli, rendendo altresì noto che la Provincia di Pisa, con apposito parere, aveva escluso tale materiale dal campo di applicazione della normativa sui rifiuti, qualificandolo come "sottoprodotto".

In dettaglio, il predetto limo veniva prodotto dalla B. S.r.l. e da questa venduto alla P. S.r.l., che ha poi provveduto a stenderlo sull’appezzamento sito in località La Sterza.

L’A.R.P.A.T. (Agenzia regionale per la protezione ambientale della Toscana) eseguiva dapprima un sopralluogo sui terreni interessati e poi ulteriori attività istruttorie, al fine di accertare la reale natura ed il reale utilizzo dei fanghi in parola, giungendo a concludere che si trattasse di veri e propri rifiuti e che mancassero gli elementi per poterli, invece, qualificare come sottoprodotti. Ritenendo, perciò, che ci si trovasse di fronte ad un caso di gestione non autorizzata di rifiuti, proponeva al Comune di Chianni di disporre la sospensione dei lavori. La proposta veniva accolta dal Comune, che adottava, infatti, il provvedimento n. 1 del 17 gennaio 2009, con cui ingiungeva al sig. S.D., titolare dell’Azienda esponente, l’immediata sospensione dei lavori. Poiché, tuttavia, a tale ingiunzione non facevano seguito i provvedimenti definitivi entro quarantacinque giorni dall’ordine di sospensione dei lavori, l’ingiunzione stessa perdeva la sua efficacia, ai sensi dell’art. 27, comma 3, del d.P.R. n. 380/2001,

In data 8 ottobre 2009 l’A.R.P.A.T. – Dipartimento provinciale Pisa, inviava al Comune di Chianni la nota prot. n. 77494 del 6 ottobre 2009, proponendo che i materiali usati per il reinterro, in quanto rifiuti, fossero assoggettati a rimozione e smaltimento/recupero. Recependo la proposta, il Sindaco di Chianni ha emanato, ai sensi dell’art. 192 del d.lgs. n. 152/2006, l’ordinanza n. 1 dell’8 gennaio 2010, con cui ha ingiunto al sig. S.D., quale titolare dell’Azienda esponente, la rimozione e lo smaltimento/recupero dei predetti rifiuti ed ha irrogato a carico del medesimo la sanzione di Euro 155,00, ai sensi dell’art. 255 del d.lgs. n. 152/2006.

Avverso l’indicata ordinanza sindacale, nonché l’ordinanzaingiunzione n. 1/2009 (richiamata nelle premesse della precedente) e gli altri atti presupposti specificati in epigrafe, sono insorti l’Azienda esponente, nonché, in proprio, il sig. S.D., impugnandoli con il ricorso del pari indicato in epigrafe e chiedendone l’annullamento, previa concessione di misure cautelari anche inaudita altera parte.

A supporto del gravame, hanno dedotto le seguenti doglianze:

– violazione e falsa applicazione degli artt. 7 e 8 della l. n. 241/1990, nonché dell’art. 192, comma 3, del d.lgs. n. 152/2006, ed eccesso di potere per difetto dei presupposti, travisamento dei fatti, difetto di istruttoria, giacché la P.A. non avrebbe comunicato l’avvio del procedimento, così impedendo ai soggetti interessati di parteciparvi;

– violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della l. n. 241/1990 e dell’art. 97 Cost., nonché eccesso di potere per difetto dei presupposti, travisamento dei fatti, difetto di istruttoria, erroneità, illogicità e contraddittorietà manifeste, difetto di motivazione, violazione del principio dell’affidamento, per non avere il Sindaco precisato le ragioni che lo hanno spinto a disattendere il parere della Provincia di Pisa, secondo cui i materiali utilizzati non sarebbero rifiuti, ma sottoprodotti;

– violazione e falsa applicazione degli artt. 185, comma 1, lett. b), n. 4, e 192 del d.lgs. n. 152/2006, e dell’art. 3 della l. n. 241/1990, eccesso di potere per difetto dei presupposti, travisamento dei fatti, difetto di istruttoria, erroneità, illogicità e contraddittorietà manifeste, difetto di motivazione, perché l’ordinanza sindacale non considererebbe le modalità di produzione del limo utilizzato dall’Azienda Agricola per il reinterro (tali da farlo escludere dalla disciplina della Parte IV del d.lgs. n. 152 cit.), e non spiegherebbe le ragioni per cui è stato classificato come rifiuto;

– violazione e falsa applicazione dell’art. 183, comma 1, lett. a) e lett. p), e dell’art. 192 del d.lgs. n. 152/2006, nonché dell’art. 3 della l. n. 241/1990, ed eccesso di potere per difetto dei presupposti, travisamento dei fatti, difetto di istruttoria, erroneità, illogicità e contraddittorietà manifeste, difetto di motivazione, perché il limo oggetto dell’ordine di rimozione costituirebbe non già rifiuto, bensì sottoprodotto, trattandosi di materiale che soddisferebbe la definizione di "sottoprodotto" contenuta nell’art. 183, comma 1, lett. p), del d.lgs. n. 152 cit. (come, per l’appunto, ritenuto dalla Provincia di Pisa);

– violazione e falsa applicazione dell’art. 262 del d.lgs. n. 152/2006, difetto assoluto di attribuzione, incompetenza assoluta, nullità, perché l’ordinanza gravata sarebbe nulla nella parte in cui impone il pagamento della sanzione amministrativa pecuniaria di Euro 155,00, trattandosi di una sanzione la cui irrogazione competerebbe esclusivamente alla Provincia.

I ricorrenti hanno chiesto, altresì, la condanna del Comune di Chianni al risarcimento dei danni, che hanno stimato in Euro 56.224 per l’attività di rimozione del limo ed Euro 92.954,40 a titolo di costo per lo smaltimento in discarica.

La domanda di concessione di misure cautelari inaudita altera parte, formulata dai ricorrenti, è stata respinta con decreto presidenziale n. 196/2010 del 12 marzo 2010.

Si è costituita in giudizio l’A.R.P.A.T., depositando in vista della discussione dell’istanza cautelare una memoria con documentazione allegata e concludendo per l’infondatezza delle doglianze ed il conseguente rigetto del gravame, previa reiezione dell’istanza di sospensione.

Né il Comune di Chianni, né la Provincia di Pisa, sebbene ritualmente evocati, si sono costituiti in giudizio.

I ricorrenti hanno depositato note d’udienza, insistendo per l’accoglimento dell’istanza cautelare.

Nella Camera di consiglio del 1° aprile 2010 il Collegio, valutata positivamente nella comparazione dei contrapposti interessi la gravità e l’irreparabilità del pregiudizio discendente dalla rimozione del materiale in contestazione già sparso sul terreno, ha parzialmente accolto l’istanza cautelare, solo ai fini della sospensione dell’obbligo di rimozione, smaltimento e recupero dei fanghi provenienti da trattamento depurativo già sparsi, rimanendo escluso dalla misura cautelare concessa ogni ulteriore spandimento dei fanghi stessi.

In vista dell’udienza di merito i ricorrenti hanno depositata una memoria, con ulteriori documenti, insistendo per l’annullamento degli atti impugnati e la condanna dell’Amministrazione comunale al risarcimento dei danni. Anche l’A.R.P.A.T. ha depositato una memoria in cui, dopo aver riepilogato i fatti, ha insistito per l’integrale reiezione del ricorso. Le parti hanno inoltre depositato memorie di replica.

All’udienza pubblica del 4 gennaio 2011 la causa è stata trattenuta in decisione.
Motivi della decisione

Con il ricorso in epigrafe viene impugnata, unitamente agli atti presupposti e connessi, l’ordinanza del Sindaco di Chianni che ha ingiunto al titolare dell’Azienda Agricola ricorrente la rimozione dei rifiuti consistenti nel limo sparso (a fini di reinterro) sull’appezzamento agricolo di proprietà della predetta Azienda.

Viene anzitutto dedotta, con il primo motivo, la censura di violazione dell’art. 7 della l. n. 241/1990, per non avere la P.A. comunicato l’avvio del procedimento preordinato all’adozione dell’ordinanza sindacale di rimozione dei rifiuti, impedendo agli interessati di parteciparvi.

La censura è fondata.

Invero, è pacifico in giurisprudenza che ai procedimenti preordinati all’emanazione dell’ordinanza di rimozione e smaltimento dei rifiuti ai sensi dell’art. 192 del d.lgs. n. 152/2006 si debba applicare la disciplina sulla comunicazione di avvio del procedimento ex art. 7 della l. n. 241/1990, in quanto adempimento obbligatorio, rispetto al quale risulta recessivo, nella specifica materia, l’art. 21octies della l. n. 241 cit., con conseguente illegittimità dell’ordinanza non preceduta dalla comunicazione stessa (cfr., ex multis, C.d.S., Sez. V, 25 agosto 2008, n. 4061; T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. IV, 2 settembre 2009, n. 4598; T.A.R. Campania, Salerno, Sez. II, 7 maggio 2009, n. 1826).

Sulla questione si è pronunciata, recentemente, anche questa Sezione (cfr.T.A.R. Toscana, Sez. II, 6 maggio 2009, n. 772), che, sebbene non abbia escluso in via di principio l’applicabilità alla materia in esame dell’art. 21octies, comma 2, cit., ha, però, insistito sulla rilevanza dell’avviso ex art. 7 cit. nei procedimenti preordinati all’emanazione dell’ordinanza di rimozione di rifiuti, per l’apporto che può essere fornito dagli interessati, sotto più profili: l’accertamento delle effettive responsabilità per l’abusivo deposito di rifiuti (cfr. T.A.R. Emilia Romagna, Parma, Sez. I, 31 gennaio 2008, n. 64); il contraddittorio tra l’Amministrazione procedente e tutti i soggetti a vario titolo coinvolti, prescritto dallo stesso art. 192 del d.lgs. n. 152/2006, lì dove dispone, al comma 3, che i controlli da effettuare sui rifiuti siano svolti in contraddittorio con i privati interessati; la possibilità che la partecipazione del privato rechi un contributo sull’accertamento dei presupposti di fatto necessari per l’emanazione del provvedimento (il che giustificherebbe la doverosità della comunicazione ex art. 7 della l. n. 241 cit. anche ove si volesse sostenere il carattere vincolato dell’ordinanza in esame: T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. II, 24 marzo 2005, n. 692).

Andando ad applicare i suesposti principi al caso di specie, si osserva come l’impugnata ordinanza del Sindaco di Chianni n. 1 dell’8 gennaio 2010 non rechi alcuna menzione di esser stata preceduta dalla comunicazione ex art. 7 della l. n. 241/1990; nemmeno è stato prodotto in giudizio alcun atto di valore o significato equipollente da nessuna delle parti. Donde la fondatezza dei rilievi mossi sul punto dai ricorrenti, anche perché, alla luce di quanto si dirà oltre, non vi è spazio per l’applicazione alla fattispecie in esame dell’art. 21octies, comma 2, della citata l. n. 241.

Va precisato che, a giustificazione dell’omissione della comunicazione ex art. 7 cit., non si possono nemmeno invocare ragioni di urgenza e/o particolari esigenze di celerità del procedimento, peraltro non specificate nell’ordinanza gravata, atteso il considerevole lasso di tempo intercorso tra l’inizio dei lavori di spandimento del materiale contestato e l’adozione dell’ordinanza stessa. Ciò, anche se si voglia considerare come dies a quo la data del ricevimento, da parte del Comune di Chianni, delle notizie sull’utilizzo del limo nei lavori di reinterro, a seguito della presentazione, il 19 giugno 2008, dell’integrazione all’originaria D.I.A. n. 9/2007 ad opera dell’Azienda Agricola ricorrente: invero, tra tale data e quella di emanazione dell’ordine di rimozione dei rifiuti (8 gennaio 2010) è trascorso, comunque, circa un anno e mezzo. E la conclusione si impone tanto più, in quanto dopo l’ordine di sospensione dei lavori (in data 17 gennaio 2009) non è stato emesso dal Comune di Chianni nessun provvedimento, tantomeno in base alla disciplina prevista in materia edilizia dal d.P.R. n. 380/2001, facendo sì che il suindicato ordine perdesse la sua efficacia decorso inutilmente il termine ex art. 27, comma 3, del d.P.R. n. 380 cit..

In difetto di costituzione del Comune di Chianni, è la difesa dell’A.R.P.A.T. a contestare la censura di violazione dell’art. 7 cit., sostenendo che, nella vicenda in esame, la comunicazione prescritta da detta norma esisterebbe, dovendo rinvenirsi nel medesimo ordine di sospensione dei lavori emanato con l’ingiunzione n. 1 del 17 gennaio 2009, che aveva previsto la possibilità di visionare gli atti e di presentare memorie scritte e documenti "pertinenti all’oggetto del procedimento" entro venti giorni dalla notificazione dell’ingiunzione. In ogni caso, il sopralluogo dei tecnici dell’A.R.P.A.T. presso l’appezzamento interessato, eseguito il 16 ottobre 2008, avrebbe avuto luogo in presenza dei titolari dell’Azienda Agricola, i quali avrebbero anche formulato osservazioni (cfr. doc. 5 dell’A.R.P.A.T.) e, successivamente, fatto pervenire all’Agenzia Regionale tutta la documentazione ritenuta utile per l’istruttoria del procedimento.

Ad avviso del Collegio, si tratta, tuttavia, di obiezioni non pertinenti e, comunque, infondate, atteso che, come correttamente osservato dai ricorrenti, l’ordinanzaingiunzione n. 1 del 17 gennaio 2009 concerne il distinto procedimento edilizio relativo ai lavori di reinterro di cui alla D.I.A. n. 9/2007, tanto è vero che reca contestazione delle modalità esecutive dell’intervento de quo rispetto a quanto indicato nella predetta D.I.A.: non ha rilievo il fatto che l’ordinanzaingiunzione menzioni altresì la violazione "delle norme ambientali di cui al d.lgs. n. 152/2006", essendo essa comunque emanata ai sensi dell’art. 27 del d.P.R. n. 380/2001. Nessuna equipollenza può stabilirsi tra il procedimento ex art. 27 del d.P.R. n. 380 cit. e quello (cui invece attiene l’ordinanza sindacale n. 1/2010) ex art. 192 del d.lgs. n. 152/2006, considerata la diversità dei rispettivi oggetti (vigilanza urbanisticoedilizia e repressione delle violazioni edilizie, nel primo caso; repressione dell’illecito ambientale consistente nell’abbandono e/o deposito incontrollato di rifiuti, nel secondo), nonché le evidenti differenze sul piano procedimentale, della competenza ad adottare il provvedimento finale, ecc.. Ciò, tanto più, in quanto nel caso di specie – come già ricordato – all’ordinanza di sospensione dei lavori non ha fatto seguito l’adozione, nei successivi quarantacinque giorni, di alcun provvedimento definitivo, sicché l’ordinanza stessa ha perso la sua efficacia (art. 27, comma 3, del d.P.R. n. 380/2001): ma una volta venuta meno l’efficacia di detto provvedimento, non si comprende a che cosa i ricorrenti avrebbero dovuto replicare, presentando memorie e documenti. L’inidoneità dell’ordinanzaingiunzione del 17 gennaio 2009 a costituire comunicazione di avvio del – diverso – procedimento ex art. 192 cit., poi, travolge anche le obiezioni mosse dalla difesa dell’A.R.P.A.T. circa l’esecuzione il 16 ottobre 2008 del sopralluogo sui terreni interessati alla presenza, ed in contraddittorio, con i titolari dell’Azienda Agricola, attesa l’anteriorità di tale sopralluogo rispetto alla predetta ordinanzaingiunzione e quindi la difficoltà di riferirlo al procedimento edilizio, piuttosto che a quello ambientale. Né va trascurato che nel periodo di riferimento (autunno del 2008) l’A.R.P.A.T. stava sì eseguendo accertamenti sul limo impiegato, ma presso la società produttrice (B. S.r.l.), tanto è vero che la produzione della documentazione richiamata dalla difesa dell’Agenzia Regionale è ascrivibile alla citata B. S.r.l. (cfr. docc. 8 e 9 allegati al ricorso) e non ai ricorrenti, come erroneamente sostenuto dalla medesima difesa. Ne discende che, al fine di considerare adempiuto dal Comune di Chianni l’obbligo ex art. 7 della l. n. 241 cit. nei riguardi degli odierni ricorrenti, nessuna rilevanza può attribuirsi all’istruttoria ed alle relative produzioni documentali attinenti al (distinto) procedimento in contraddittorio con la B. S.r.l.: donde, anche per questa via, la fondatezza della doglianza in esame.

Va condiviso anche il secondo motivo, con cui l’ordinanza sindacale viene censurata per non avere essa spiegato i motivi che hanno portato l’Amministrazione comunale a disattendere il parere della Provincia di Pisa: parere, in base al quale il limo utilizzato per l’intervento di reinterro non sarebbe un rifiuto, ma un "sottoprodotto".

Anche questa volta, è la difesa dell’A.R.P.A.T. ad affermare la legittimità dell’ordinanza sindacale, contestando la fondatezza della censura sul rilievo dell’esistenza di una specifica indicazione delle ragioni che hanno condotto l’Amministrazione comunale a disattendere il citato parere provinciale: in particolare, siffatta indicazione sarebbe contenuta nell’ordinanzaingiunzione n. 1 del 17 gennaio 2009, lì dove si richiama nelle premesse (tra i "visti") il parere in discorso, prendendo atto che esso avrebbe individuato in maniera generica il materiale impiegato per il reinterro quale sottoprodotto, senza una specifica analisi dello stesso. Poiché la citata ordinanzaingiunzione viene espressamente richiamata dall’ordinanza sindacale n. 1 del 2010, ne deriverebbe, secondo l’Agenzia Regionale, la conclusione per cui non è vero che il Comune di Chianni abbia "trascurato" il parere della Provincia di Pisa, ma lo ha vagliato, pervenendo, nondimeno, ad una diversa qualificazione dei fanghi prodotti dalla B. S.r.l.. Nel merito, poi, il suddetto parere sarebbe erroneo, giacché il limo impiegato per il reinterro non deriverebbe puramente e semplicemente dal lavaggio del materiale di cava, come ha ritenuto la Provincia, ma (come si vedrà meglio più oltre) da un trattamento depurativo delle acque di dilavamento del piazzale e delle acque di lavaggio provenienti dall’impianto della B. S.r.l. (a mezzo di un reagente flocculante e poi con sedimentazione e filtropressatura). Inoltre, il parere della Provincia avrebbe riscontrato nel limo solo alcuni dei caratteri, la cui presenza è necessaria affinché possa parlarsi di "sottoprodotto" e, dunque, del tutto correttamente il Comune di Chianni lo avrebbe disatteso.

Tralasciando, per il momento, il merito del succitato parere della Provincia – che formerà oggetto di analisi in sede di disamina dei prossimi terzo e quarto motivo di ricorso – c’è da dire che comunque il rinvio operato dall’ordinanza sindacale n. 1/2010 alla precedente ordinanzaingiunzione n. 1/2009 non è sufficiente al fine di far ritenere assolto l’obbligo della motivazione circa le ragioni che hanno spinto l’Amministrazione comunale a disattendere il predetto parere. Più in dettaglio, è la medesima motivazione contenuta nell’ordinanzaingiunzione n. 1/2009 a non essere esaustiva. Invero, la citata ordinanzaingiunzione definisce "generico" il parere della Provincia e ritiene che il processo tramite cui è prodotto il limo utilizzato lo faccia qualificare come rifiuto. Non spiega, tuttavia, le ragioni per cui non è possibile configurarlo quale "sottoprodotto", secondo la classificazione che ne ha dato la Provincia, tanto è vero che tali ragioni (in specie, la mancata individuazione, nel limo impiegato, di tutte le caratteristiche prescritte dall’art. 183, comma 1, lett. p), ed ora dall’art. 184bis, del d.lgs. n. 152/2006 per i "sottoprodotti") risultano elencate unicamente nelle memorie difensive dell’Agenzia Regionale: il che costituisce, però, un’integrazione postuma della motivazione, per di più di un atto di un’altra P.A., da giudicare, alla stregua della giurisprudenza consolidata (cfr., da ultimo, T.A.R. Piemonte, Sez. I, 16 dicembre 2010, n. 4550; T.A.R. Sicilia, Palermo, Sez. III, 2 dicembre 2010, n. 14222; T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. I, 1 luglio 2010, n. 2691), inammissibile.

Venendo al terzo ed al quarto motivo – da esaminare congiuntamente, in quanto connessi sul piano logicogiuridico – con gli stessi i ricorrenti lamentano che:

a) i fanghi utilizzati nelle operazioni di spandimento, in quanto derivanti direttamente dall’attività di lavaggio dei materia di cava effettuata dalla B. S.r.l., non costituirebbero rifiuti e, per l’effetto, resterebbero esclusi dalla relativa disciplina,

b) i predetti fanghi rientrerebbero, invece, nella nozione di "sottoprodotto", avendo tutti i requisiti stabiliti in proposito dall’art. 183, comma 1, lett. p) (ora dall’art. 184bis) del d.lgs. n. 152/2006 ed in particolare:

b1) perché i fanghi originerebbero da un processo non destinato direttamente alla loro produzione, trattandosi di materiale secondario derivante dal ciclo di produzione degli inerti;

b2) perché ne sarebbe certo riutilizzo, la commercializzazione dei fanghi ad opera della B. S.r.l. essendo dimostrata dal listino prezzi della stessa società, prodotto dai ricorrenti sub doc. 12;

b3) perché il loro utilizzo non comporterebbe per l’ambiente e per la salute condizioni peggiorative rispetto a quelle connesse alle normali attività produttive;

b4) perché i fanghi non sarebbero sottoposti ad ulteriori trattamenti, essendo impiegato il limo nello stato in cui si presenta a seguito del procedimento di lavaggio e compattatura derivante dal processo di produzione degli inerti (frantumazione, selezione e lavaggio);

b5) perché il limo verrebbe commercializzato dal produttore, il quale ne ricaverebbe in tal modo un vantaggio economico, andando a soddisfare il fabbisogno di altri operatori economici.

La difesa dell’A.R.P.A.T. contesta le ora viste asserzioni, obiettando, nello specifico:

– rispetto al punto a), che i fanghi deriverebbero non già da una mera attività di lavaggio degli inerti collegata all’estrazione della cava, ma da un vero e proprio trattamento di depurazione delle acque reflue, come dimostrerebbe la circostanza che non sono sottoposte ad una semplice sedimentazione naturale, ma vengono trattate dapprima con un reagente chimico (cd. flocculante, cioè un reagente che, miscelato alle acque reflue da trattare, accelera l’agglomerazione delle particelle colloidali, in modo tale da realizzare con maggiore efficienza la separazione tra la fase solida – il fango – e quella liquida), quindi sottoposte a successiva sedimentazione e filtropressatura, che trasforma il refluo in pannelli di fango. Ciò, senza trascurare che il suddetto trattamento riguarda non soltanto le acque di lavaggio dell’impianto di frantumazione, selezione e lavaggio della B. S.r.l., ma anche le acque di dilavamento del piazzale, che vengono mescolate alle prime. Il reagente chimico cd. flocculante (poliacrilammide) sarebbe un reagente non naturale, il cui impiego giustificherebbe, in base all’art. 186, comma 7ter, del d.lgs. n. 152/2006, l’assoggettamento dei residui fangosi alla disciplina della Parte IV del d.lgs. n. 152 cit., sui rifiuti. Per di più, il poliacrilammide sarebbe una sostanza inserita nel marzo del 2010 dall’Agenzia Europea per le sostanze chimiche nella "Candidate list", cioè tra le sostanze che possono avere effetti molto gravi e talora irreversibili sull’uomo e sull’ambiente: detta "Candidate list" comprende, infatti, le sostanze soggette a valutazione da parte della citata Agenzia Europea, nel quadro di un procedimento che può portare la Commissione Europea a prescrivere che il relativo uso sia condizionato ad autorizzazione;

– rispetto al punto b), che nel caso di specie mancherebbero i requisiti per poter considerare il limo quale "sottoprodotto", ai sensi dell’art. 183, comma 1, lett. p) del(la preesistente versione del) d.lgs. n. 152/2006. Nello specifico, mancherebbe certamente il requisito previsto dal punto 2 della lett. p) (ed attualmente previsto dalla lett. b) dell’art. 184bis, comma 1, dello stesso decreto legislativo), in quanto non vi sarebbe nessuna prova della certezza dell’impiego dei fanghi sin dalla fase della loro produzione, giacché nel momento in cui il limo veniva consegnato alla società P. S.r.l. per essere trasportato in località La Sterza non sarebbe stata né certa, né programmata la sua utilizzazione. Ciò a seguito della mancanza sia di un accordo scritto tra la B. S.r.l. e l’Azienda Agricola ricorrente circa l’impiego dei fanghi, sia di un accordo tra la stessa Azienda Agricola e la P. S.r.l., laddove, invece, la disciplina in esame imporrebbe che la certezza dell’impiego risulti da puntuali verifiche e da attestazioni dei soggetti interessati alla cessione ed al riutilizzo e tale conclusione sarebbe ancora valida alla luce della normativa di cui al d.lgs. n. 152/2006, più restrittiva della precedente. Peraltro, mancherebbe anche il requisito previsto dal punto 1 della lett. p), cit. (ora dalla lett. a) dell’art. 184bis, comma 1, cit.), giacché il trattamento delle acque di lavaggio provenienti dall’impianto e delle acque di dilavamento provenienti dal piazzale prospiciente l’impianto stesso sarebbe assimilabile ad una vera e propria depurazione e quindi potrebbe plausibilmente dubitarsi che i fanghi conseguenti al lavaggio non siano, in realtà, il risultato di un processo produttivo destinato direttamente alla loro produzione: la definizione normativa di "sottoprodotto" richiede, invece, che la sostanza origini da un processo produttivo di cui sia parte integrante, ma il cui scopo primario non sia la produzione di tale sostanza. Infine, mancherebbe il requisito previsto dal punto 5 della lett. p), e cioè che l’oggetto o sostanza abbia un valore economico, giacché, da un lato, il guadagno che la B. S.r.l. avrebbe ottenuto dalla vendita del limo (Euro 7 per ogni trasporto di mc. 14 di limo, venduto a Euro 0,50 al metro cubo, come da fatture depositate in atti) sarebbe troppo basso, dall’altro lato, la prova del guadagno avrebbe dovuto essere fornita nel corso dell’istruttoria procedimentale, ma nessuna delle suindicate fatture sarebbe stata trasmessa all’Agenzia Regionale.

Così sintetizzate le posizioni delle parti sulle questioni in esame, il Collegio ritiene che per tutte tali questioni le doglianze mosse dalle ricorrenti siano fondate e meritevoli di condivisione, e che siano, invece, da respingere le eccezioni al riguardo sollevate dalla difesa dell’A.R.P.A.T..

Ed invero:

– quanto al punto a), non convincono le argomentazioni volte a dimostrare che i fanghi utilizzati dai ricorrenti per lo spandimento costituiscano rifiuti e siano, dunque, sottoposti alla relativa disciplina. In particolare, non convince l’asserzione per cui i fanghi sarebbero rifiuti in quanto derivanti non da un’attività di lavaggio di inerti collegata all’estrazione della cava, ma da una lavorazione successiva (svolta fuori della cava) dei materiali estratti, mediante l’uso del reagente chimico e con operazioni di sedimentazione e filtropressatura. Le predette attività ed operazioni, infatti, non dimostrano che i fanghi siano l’oggetto principale dei processi di lavaggio del materiale di cava e di chiarificazione delle acque in vista del loro riutilizzo, dovendosi, piuttosto, considerarli una conseguenza indiretta di tali processi.

In proposito si osserva che i ricorrenti hanno descritto con precisione – con termini sostanzialmente confermati dalla relazione dell’A.R.PA.T. – Dipartimento Provinciale di Pisa del 31 dicembre 2008 (doc. 1 depositato dall’Agenzia Regionale il 31 marzo 2010) – il processo produttivo che si effettua nell’impianto della B. S.r.l. e da cui scaturisce anche il limo impiegato dall’Azienda Agricola ricorrente per il reinterro dell’appezzamento di sua proprietà. Detto processo si articola:

– nella frantumazione degli inerti e nella selezione degli stessi, una volta frantumati, in pietrischi e sabbie;

– nella vagliatura dei pietrischi e nell’invio delle sabbie all’idrociclone per il lavaggio (attraverso il prelievo di acqua da una vasca/cisterna dove sono convogliate le acque prelevate dal fiume Era e le acque da riutilizzare dopo le operazioni di chiarificazione) ed il successivo stoccaggio;

– nel lavaggio/depurazione delle acque, al fine – come detto – del loro riutilizzo, mediante l’utilizzo di un reagente chimico flocculante che serve a chiarificare l’acqua, e nella loro reimmissione nella vasca/cisterna, per un nuovo utilizzo nel ciclo di lavaggio degli inerti;

– nella separazione dei fanghi provenienti, appunto, dal lavaggio delle acque (il limo), che vengono poi compattati con una filtropressa, che li disidrata in modo da formare pannelli di fango pressato, asciutti, trasportabili e pronti per il riutilizzo o la cessione.

In questa prospettiva, risultano condivisibili le tesi dei ricorrenti, che insistono sull’unicità del ciclo produttivo, il cui oggetto principale sarebbe, dunque, la produzione degli inerti. Ma anche qualora si volesse seguire l’opposta tesi dell’A.R.P.A.T., per affermare che il lavaggio delle acque è un vero e proprio trattamento di depurazione delle acque reflue, le conclusioni non cambierebbero, poiché lo scopo principale (l’oggetto diretto) di tale operazione non è la produzione del limo – che, piuttosto, ne costituisce una conseguenza indiretta ed ulteriore – ma il lavaggio e la chiarificazione dell’acqua al fine del suo reimpiego. Ciò è dimostrato dall’utilizzazione del reagente chimico che, attraverso la cd. flocculazione, consente di separare la fase solida da quella liquida, operazione necessaria per il successivo riutilizzo dell’acqua stessa nel ciclo produttivo diretto alla produzione di ghiaia e sabbia. Né, in contrario, basta obiettare che, insieme alle acque provenienti dall’impianto, sono convogliate nelle operazioni di lavaggio le acque di dilavamento del piazzale prospiciente l’impianto. Come si sottolinea nella succitata relazione dell’Agenzia Regionale del 31 dicembre 2008, il lavaggio delle acque serve a consentirne il riciclo, evitando così lo scarico delle medesime: è evidente il vantaggio economico di una tale operazione per la B. S.r.l., anche a prescindere della produzione e dalla vendita del limo, che ne rappresenta un beneficio ulteriore. Il fatto che il trattamento avvenga fuori cava non sposta, ad avviso del Collegio, i termini del problema: invero, il ragionamento svolto a tal riguardo dalla difesa dell’A.R.P.A.T. (cfr. pp. 910 della memoria per la Camera di consiglio del 1° aprile 2010) circa l’applicabilità al caso in esame della Parte IV del d.lgs. n. 152/2006, in quanto si tratterebbe di rifiuti gestiti fuori dal sito, ignora l’eccezione dettata dall’art. 185, comma 1, n. 4) del d.lgs. n. 152 cit. (nel testo vigente al tempo dell’adozione dell’ordinanza sindacale) – eccezione che è riportata dal più volte citato parere della Provincia di Pisa – secondo cui non rientrano nell’ambito applicativo della Parte IV del d.lgs. n. 152 cit., tra l’altro, i rifiuti risultanti dallo sfruttamento delle cave. Per di più, come meglio si vedrà oltre, nella vicenda de qua non deve parlarsi di rifiuti, ma di "sottoprodotti", secondo la nozione che ne dà l’attuale art. 184bis del d.lgs. n. 152/2006.

Nemmeno convince il richiamo all’art 186, comma 7ter, del d.lgs. n. 152 cit. (sempre nel testo in vigore al tempo dell’adozione dell’ordinanza sindacale), invocato per sostenere, con ragionamento a contrario, che laddove nella lavorazione si utilizzino reagenti non naturali, i relativi residui sono da considerare rifiuti, assoggettati alla disciplina prescritta per questi ultimi dalla predetta Parte IV del d.lgs. n. 152/2006: infatti, è proprio la difesa dell’Agenzia Regionale (cfr. pp. 1415 della memoria depositata per l’udienza pubblica) a riconoscere la differenza tra la fattispecie regolata dall’art 186, comma 7ter, cit. (concernente i residui dell’attività di lavorazione – non già di mera estrazione – di pietre e marmi) e quella qui in esame. Né si può sostenere l’esistenza di un principio generale, per il quale l’impiego di un reagente non naturale comporterebbe sic et simpliciter l’assoggettamento alla disciplina sui rifiuti, atteso che, nel caso di specie – come già detto e come meglio si vedrà tra poco – è proprio l’utilizzo del cd. flocculante che, favorendo la separazione tra elemento liquido e solido, fa sì che dal processo di lavaggio e di chiarificazione delle acque origini un "sottoprodotto" (e cioè i fanghi) e non dei rifiuti.

Per quanto concerne, infine, le osservazioni sulla tossicità del reagente impiegato, si tratta con ogni evidenza di argomento inammissibile, in quanto costituente integrazione postuma della motivazione dei provvedimenti impugnati (in particolare dell’ordinanza sindacale n. 1/2010). Peraltro, anche nel merito l’argomento è infondato, poiché, come correttamente replicano i ricorrenti, l’inserimento del cd. flocculante nella "Candidate list" prelude ad una valutazione ad opera dell’Agenzia Europea per le sostanze chimiche circa gli effetti di detta sostanza sull’uomo e sull’ambiente, al fine di renderne l’uso condizionato ad autorizzazione: valutazione che, tuttavia, ad oggi non risulta ancora eseguita, né tantomeno era stata eseguita al tempo dell’adozione dell’ordinanza sindacale gravata;

– quanto al punto b), deve ritenersi che nel caso di specie esistano tutti gli elementi per considerare i fanghi derivanti dal processo di lavaggio e chiarificazione delle acque come "sottoprodotti", ai sensi dell’art. 183, comma 1, lett. p) della preesistente versione del d.lgs. n. 152/2006 ed ora dell’art. 184bis, comma 1, del medesimo decreto legislativo. Infatti, si è già dimostrata, più sopra, la sussistenza del primo requisito, cioè il derivare la sostanza da un processo produttivo, il cui scopo primario non è la produzione della sostanza stessa: nel caso in esame – si ribadisce – la produzione del limo non può giudicarsi lo scopo primario delle attività di cui si discute. Per quanto riguarda il requisito della certezza dell’impiego dei fanghi sin dalla fase della loro produzione, le osservazioni della relazione dell’A.R.P.A.T. del 31 dicembre 2008, poi riprese dalla difesa dell’Agenzia, si appalesano alquanto pretestuose, atteso che la sussistenza di un accordo tra le parti al fine dell’utilizzo dei fanghi, dietro pagamento di un corrispettivo, per le operazioni di reinterro, già desumibile per facta concludentia dal comportamento delle parti medesime, risulta indubbiamente comprovata dalla documentazione versata in atti dai ricorrenti (v., in specie, le fatture prodotte sub docc. 12, 15 e 16): documentazione che dimostra, altresì, la presenza dell’ulteriore requisito del valore economico del materiale (il limo) utilizzato. Sul punto, le obiezioni della difesa dell’Agenzia circa l’inadeguatezza del guadagno della B. S.r.l. si riducono ad inconsistenti petizioni di principio, non avendo tale difesa dimostrato, o anche solo allegato, la sussistenza di prezzi di mercato diversi per il predetto materiale. Palesemente infondata è, poi, l’obiezione basata sulla mancata presentazione delle fatture in sede procedimentale alla stessa A.R.P.A.T., poiché così ragionando l’Agenzia dimentica che nel caso di specie – come si è già visto – è stata omessa la comunicazione di avvio del procedimento e quindi non si vede come i ricorrenti avrebbero potuto trasmetterle copia delle fatture in discorso.

Sul punto, non convincono le osservazioni esposte dall’Agenzia nella memoria di replica, perché:

1) non è vero che dalla relazione dei tecnici dell’A.R.P.A.T. del 31 dicembre 2008 si desuma che il limo derivasse da un processo produttivo direttamente destinato alla sua produzione;

2) la programmazione di un impiego certo ed integrale del materiale sin dalla fase della produzione di questo è individuabile quantomeno dal 20 maggio 2008 e cioè dalla data in cui la B. S.r.l. si è rivolta alla Provincia di Pisa per chiedere un parere circa la qualificazione o meno del limo come "sottoprodotto", invece che come rifiuto, perché è evidente come detta richiesta fosse preordinata al possibile futuro utilizzo economico del materiale, tanto che immediatamente dopo il positivo parere della Provincia di Pisa veniva presentata dall’Azienda Agricola ricorrente l’integrazione alla D.I.A. n. 9/2007, con cui si dava comunicazione dell’utilizzo dei fanghi per il reinterro (cfr. docc. 5 e 7 dei ricorrenti).

Quanto, poi, al contenuto della relazione tecnica allegata alla nota dell’A.R.P.A.T. del 12 novembre 2010, osserva il Collegio che tale relazione non porta a modificare le conclusioni sin qui raggiunte, limitandosi essa a riproporre le argomentazioni già esaminate e superate poc’anzi. Anche in questo caso risultano, in particolare, pretestuose tutte le argomentazioni in ordine all’assenza di una prova documentale dell’utilizzo certo ed inequivocabile dei fanghi nelle opere di reinterro, che trascurano la surriferita stretta connessione logicotemporale tra la richiesta del parere alla Provincia di Pisa da parte della B. S.r.l. e l’integrazione alla D.I.A. n. 9/2007 ad opera dei ricorrenti.

Da ultimo, si precisa che la difesa dell’Agenzia Regionale aveva eccepito, nella memoria presentata per la discussione dell’istanza cautelare, altresì la mancanza del requisito previsto dal punto 3 della lett. p) dell’art. 183 cit., per assenza di idonea certificazione circa il rispetto, da parte dei materiali impiegati, dei limiti dettati dall’all. 5, Tab. B, al d.lgs. n. 152/2006: peraltro, l’eccezione non è stata più riproposta nelle successive memorie e deve, perciò, ritenersi rinunciata, anche alla stregua della documentazione (perizia giurata) depositata dai ricorrenti il 24 novembre 2010.

Da tutto quanto sopra detto si evince, pertanto, la fondatezza sia del terzo, sia del quarto motivo di ricorso: ciò – unitamente alla fondatezza del primo e del secondo motivo – non può che condurre ad una pronuncia di integrale annullamento dell’ordinanza del Sindaco di Chianni, adottata ex art. 192 del d.lgs. n. 152/2006. Diventa, dunque, superfluo l’esame del quinto ed ultimo motivo di gravame, con il quale viene contestata l’irrogazione della sanzione amministrativa pecuniaria ex art. 255 del d.lgs. n. 152 cit. a carico del ricorrente sig. D.S., del pari contenuta nella citata ordinanza sindacale. Infatti, l’annullamento di tale ordinanza non può che travolgere anche l’irrogazione della predetta sanzione, che consegue strettamente alla qualificazione come rifiuti dei fanghi utilizzati per l’intervento di reinterro: qualificazione della quale si è sopra dimostrata l’illegittimità ed il cui venir meno fa venir meno anche la sanzione che vi si ricollega. Si può, quindi, procedere all’assorbimento del quinto motivo, prescindendo dall’analisi degli eventuali profili di difetto di giurisdizione che lo connotano, vista – si ribadisce – la superfluità di detta analisi.

In definitiva, il ricorso deve essere accolto, in ragione della fondatezza dei primi quattro motivi e con assorbimento del quinto. Per conseguenza, si deve pronunciare l’annullamento dell’ordinanza sindacale n. 1/2010 e degli atti presupposti specificati in epigrafe (incluso l’ordine di sospensione dei lavori, per quanto richiamato dall’ordinanza sindacale).

Va, invece, respinta la domanda di risarcimento dei danni, atteso che, come correttamente eccepisce la difesa dell’A.R.P.A.T., l’accoglimento dell’istanza di sospensione del provvedimento sindacale impugnato ha impedito il verificarsi, a carico dei ricorrenti, dell’esborso economico che i medesimi avevano lamentato quale danno ingiusto.

Sussistono giusti motivi per disporre la compensazione delle spese, in virtù della complessità delle questioni affrontate.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana (Sezione Seconda), così definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto annulla gli atti impugnati, respingendo, invece, la domanda di risarcimento dei danni.

Compensa le spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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