Cass. civ. Sez. I, Sent., 04-05-2011, n. 9752 Fascicolo di parte, Rimessione al primo giudice Occupazione d’urgenza

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Il Tribunale di Bari, con sentenza non definitiva del 5 marzo 2004 dichiarava che il Comune di Bitonto aveva occupato un terreno di P.S. e C.V. per la costruzione di un asilo nido realizzato dopo la scadenza dei termini di efficacia della dichiarazione di p.u. dell’opera e che il decreto di espropriazione era stato emesso in carenza di potere il 23 maggio 1995, perciò condannando l’amministrazione occupante al risarcimento del danno da accertarsi nel prosieguo del giudizio.

In parziale accoglimento dell’appello del Comune, la Corte di appello di Bari, con sentenza definitiva del 24 gennaio 2006, ha dichiarato l’amministrazione espropriante responsabile della c.d. occupazione espropriativa del fondo poichè tanto la dichiarazione di p.u., quanto l’occupazione temporanea d’urgenza erano scadute nel gennaio 1993 ed entro la medesima data ne era stata compiuta l’irreversibile trasformazione. Ha dichiarato inammissibile l’appello adesivo dipendente di C.L..

Per la cassazione della sentenza P.S. e G., M., O. e C.L. hanno proposto ricorso per 6 motivi; cui resiste il Comune di Bitonto con controricorso con il quale ha formulato a sua volta ricorso incidentale per due motivi.
Motivi della decisione

2. I ricorsi vanno anzitutto riuniti ai sensi dell’art. 335 cod. proc. civ., perchè proposti contro la medesima sentenza.

Con il sesto motivo di quello principale,da esaminare con precedenza per evidenti ragioni logico-giuridiche, C.L. si duole della declaratoria di inammissibilità del suo intervento in appello, perchè erroneamente qualificato adesivo dipendente, senza considerare che quale erede di C.V., pretermessa in questo giudizio,avrebbe avuto diritto a proporre l’opposizione di terzo di cui all’art. 404 cod. proc. civ..

Il motivo è infondato.

La censura della C., intervenuta nel giudizio di appello,è anzitutto ammissibile perchè la legittimazione a proporre ricorso per cassazione e a resistervi spetta per il solo fatto di aver partecipato al giudizio di merito conclusosi con la decisione impugnata, indipendentemente dalla titolarità del rapporto giuridico sostanziale dedotto in giudizio;e perchè, quindi, anche l’interveniente volontario in sede di appello assume in tale giudizio la qualità di parte formale, sicchè è legittimato a proporre ricorso per cassazione, tanto nell’ipotesi in cui le sue istanze siano state respinte nel merito, quanto in quella in cui sia stata negata dalla sentenza di secondo grado l’ammissibilità del suo intervento, ed egli impugni siffatta pronuncia censurando la legittimità della relativa declaratoria (Cass. 17504/2003;

7541/2002; sez. un. 1592/1979).

Nel merito è tuttavia infondata, perchè l’intervento, come accertato dai giudici di appello s è verificato dopo l’udienza di precisazione delle conclusioni;e perchè dunque la C. non aveva potuto che limitarsi a chiedere la conferma della sentenza impugnata e quindi a sostenere le ragioni degli eredi C. cui detta pronuncia era stata favorevole, come in effetti era avvenuto. Laddove ai sensi dell’art. 344 cod. proc. civ., l’intervento in appello è ammissibile soltanto quando l’interventore sia legittimato a proporre opposizione di terzo ai sensi dell’art. 404 cod. proc. civ., ossia nel caso in cui egli rivendichi, nei confronti di entrambe le parti, la titolarità di un diritto autonomo la cui tutela sia incompatibile con la situazione accertata o costituita dalla sentenza di primo grado; e non anche quando, come nella specie, l’intervento sia qualificabile come adesivo, perchè volto a sostenere le ragioni della parte appellata per porsi al riparo da un pregiudizio mediato dipendente dal rapporto che lega il suo diritto a quello di quest’ultima.

Nè giova alla ricorrente rilevare che il suo intervento era dovuto alla sua qualità (peraltro contestata dal Comune di coerede pretermesso di C.V., deceduto nel corso del giudizio di primo grado: in quanto questa Corte con una decisione assai lontana nel tempo (sent. 3211/1958) ebbe ad affermare che la norma dell’art. 102 cod. proc. civ., non vieta che al giudizio di appello partecipi per volontario intervento un soggetto che avrebbe dovuto partecipare al giudizio di prima istanza, quando questi accetti ciò che in prime cure, senza il suo intervento,fu operato e deciso eliminando così con la propria manifestazione di volontà la relativa irregolarità processuale, la quale perciò non ha causato alla C. alcun pregiudizio in relazione al suo diritto di difesa.

Siffatto principio risulta particolarmente attuale, sicchè deve essere ribadito al lume dei precetti contenuti nell’art. 111 Cost., comma 2 e art. 6 Conv. Edu secondo i quali il rispetto del diritto fondamentale ad una durata ragionevole del processo impone al giudice(ai sensi degli artt. 175 e 127 cod. proc. civ., di evitare ed impedire comportamenti che siano di ostacolo ad una sollecita definizione della controversia, fra i quali rientrano certamente quelli che si traducono in un inutile dispendio di attività processuali e formalità superflue perchè non giustificate dalla struttura dialettica del processo ed in particolare dal rispetto effettivo del principio del contraddittorio (Cass. sez. un. 18480/2010; 26373/2008).

3. Con il primo motivo del ricorso principale, i C., deducendo violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 4, censurano la sentenza impugnata per avere concluso il giudizio ed emesso la decisione senza acquisire il fascicolo di ufficio, come stabilito dall’art. 347 cod. proc. civ., contenente la relazione di c.t.u. e la documentazione allegata dalla quale risulta che il collaudo è avvenuto nel 1998 e che i lavori sono rimasti sospesi dal 1987 al 1996: perciò non consentendo di ritenere certa la irreversibile trasformazione del fondo prima della scadenza del periodo di occupazione temporanea.

Con il secondo motivo, deducendo violazione della L. n. 2359 del 1865, art. 13, censurano la sentenza impugnata per aver qualificato acquisitiva o espropriativa l’occupazione posta in essere dal Comune senza considerare che i termini apposti nella originaria dichiarazione di p.u. erano inutilmente scaduti nel 1990: perciò a nulla rilevando le proroghe che avevano interessato l’occupazione temporanea del fondo, perchè da tale momento prive del loro indefettibile presupposto, con la conseguenza che si era verificata la c.d. occupazione usurpativa, portata a compimento dopo la decadenza della dichiarazione suddetta.

Con il terzo,deducendo violazione della L. n. 865 del 1971, art. 20, si dolgono che la decisione abbia ritenuto automaticamente prorogata l’occupazione senza considerare che pur in presenza delle disposizioni della L. n. 47 del 1988 e L. n. 158 del 1991, occorreva comunque uno specifico provvedimento dell’amministrazione che dichiarasse di volersi avvalere della proroga, ne fissasse la durata e ne esponesse le ragioni.

Con il quarto, deducendo violazione di quest’ultima normativa, ne censurano l’applicazione all’occupazione in oggetto per mancanza del principale presupposto costituito dal fatto che doveva trattarsi di occupazione già prorogata ai sensi della L. n. 42 del 1985 (invece successiva alla immissione nel possesso del terreno).

Con il quinto denunciano numerosi vizi di motivazione sia in ordine alla scadenza della dichiarazione di p.u., comunque antecedente alla adozione del decreto di espropriazione, nonchè alla irreversibile trasformazione del fondo nell’opera pubblica, sia in ordine alla prova di quest’ultima sostanzialmente tratta esclusivamente dalla dichiarazione dei proprietari, e senza tener conto delle risultanze della consulenza tecnica, nonchè della documentazione allegata in ordine alla ultimazione dei lavori ed al collaudo dell’opera.

Per converso, il Comune di Bitonto, con il primo motivo del ricorso incidentale, deducendo violazione delle medesime disposizioni legislative si duole che la sentenza non abbia applicato interamente le proroghe legali dell’occupazione temporanea,che includendo anche quella concessa dalla L. n. 42 del 1985 ne prolungava la scadenza al 17 giugno 1995, successivo all’adozione del decreto ablativo, che quindi aveva ritualmente concluso il procedimento ablativo; e neppure la L. n. 166 del 2002 la quale aveva specificato che anche la dichiarazione di p.u. doveva intendersi prorogato, di un periodo eguale a quello interessante l’occupazione d’urgenza.

Con il secondo,deducendo violazione della L.R. Puglia 6 del 1973, censura la sentenza per non aver considerato che l’art. 10 di detta legge per il procedimento relativo alla dichiarazione di p.u. rinviava alle norme della L. n. 865 del 1971, che a sua volta rinviano a quelle sui piani di zona, comportanti l’apposizione per legge dei termini per il compimento delle espropriazioni e dei lavori,comunque non inferiori a 18 anni, con la conseguenza che anche per tale ragione la dichiarazione di p.u. non poteva essere scaduta allorquando era stato conseguito il decreto ablativo.

4. i ricorsi sono infondati, pur se va corretta ai sensi dell’art. 384 cod. proc. civ., la motivazione con cui la Corte di appello è pervenuta a ravvisare nella fattispecie un’ipotesi di espropriazione illegittima c.d. appropriativa del terreno C..

E’ invero pacifico tra le parti che il Comune di Bitonto vi ha realizzato per effetto del progetto approvato dal Consiglio comunale il 19 gennaio 1983, e poi riapprovato il 25 marzo 1985, un asilo nido ai sensi della L.R. n. 6 del 1973, il cui art. 10 disponeva che "Per l’acquisizione delle aree o degli immobili la dichiarazione di p.u. dell’opera, l’urgenza o l’indifferibilità e la determinazione dell’indennità di espropriazione, si applicano le norme di cui alla L. 22 ottobre 1971, n. 865".

Come è dunque accaduto per la maggior parte delle Regioni d’Italia (pur se non dotate di competenza esclusiva in ordine alle espropriazioni per p.u., ma soltanto del potere di emettere la dichiarazione di p.u. per la realizzazione di lavori pubblici locali) anche la Regione Puglia subito dopo la menzionata legge statale, ha dichiarato di recepirne il procedimento relativo alla dichiarazione di p.u. ed alla determinazione delle indennità,quale regolato dall’art. 9, e segg. della legge statale; che per quanto riguarda la dichiarazione è disciplinata come più volte affermato da questa Corte e dalla Corte Costituzionale, dalle disposizioni dell’art. 11 della legge integrate, per quanto riguarda la fissazione dei termini per il compimento delle espropriazione e dei lavori, dalla normativa generale stabilita negli artt. 13 e 14 della legge fondamentale n. 2359 del 1865.

Nessun rinvio è invece contenuto nella legge regionale alle disposizioni della L. n. 167 del 1962 sulla realizzazione dei piani per l’edilizia economica e popolare che per la peculiarità e vastità delle opere da eseguire, nell’art. 9, e segg., contiene una disciplina specifica circa l’apposizione dei termini suddetti e la loro durata: così come avviene per le aree destinate ad insediamenti produttivi per le quali tale espresso rinvio è contenuto nella L. n. 865, art. 22, comma 4. Per cui del tutto correttamente, la Corte di appello ha ritenuto che per la costruzione dell’asilo nido, non rientrante peraltro in alcuna di dette tipologie di opere, trovasse applicazione la normativa generale della L. n. 2359 del 1865, art. 13 e che il termine originario di sette anni per il compimento dei lavori e delle espropriazioni stabilito dalla stessa amministrazione venisse in origine a scadere il 19 gennaio 1990 (non, essendo stato prorogato o sostituito nella Delib. 25 marzo 1985).

5. E’ del pari pacifico tra le parti che l’occupazione d’urgenza del fondo P. – C. è stata disposta per 5 anni con decreto sindacale 16 maggio 1985, e che l’effettiva presa di possesso dell’immobile è avvenuta con verbale del 17 giugno 1985,dal quale è dunque iniziato a decorrere il quinquennio suddetto, che doveva pertanto spirare a sua volta il 17 giugno 1990.

Nel corso dell’occupazione è tuttavia sopravvenuta dapprima la L. n. 47 del 1988, il cui art. 14 lo ha prorogato automaticamente di due anni,e successivamente la L. n. 158 del 1991 che ha concesso altra proroga di eguale durata (art. 22), con la conseguenza che il termine suddetto è venuto a scadere definitivamente il 17 giugno 1994, senza che entro tale data l’amministrazione comunale avesse conseguito il decreto di espropriazione, pronunciato soltanto tardivamente con decreto sindacale del 23 maggio 1995.

Infatti, contrariamente a quanto dedotto dal Comune di Bitonto all’occupazione in oggetto non si applicava la prima proroga obbligatoria di cui al D.L. n. 901 del 1984, art. 1, comma 5 bis, introdotto dalla Legge di conversione n. 42 del 1985, in quanto, come risulta dal testo della norma nell’interpretazione costantemente prospettata dalla giurisprudenza di legittimità, detta proroga automatica di un anno è invocabile a condizione che il termine finale di essa non sia già scaduto e che l’occupazione sia già (legittimamente) in corso alla data di pubblicazione della legge di conversione (Cass. sez. un. 729/1994); laddove quest’ultimo presupposto difetta nella fattispecie, in cui all’epoca di entrata in vigore della legge non soltanto non si era verificata l’immissione nel possesso del fondo da parte del Comune di Bitonto, ma non era stato emanato neppure il decreto autorizzativo dell’occupazione temporanea, perciò non rientrante fra i destinatari della proroga annuale disposta dalla norma in questione.

Per converso la sentenza impugnata ha correttamente ritenuto applicabile sia la successiva proroga disposta dalla L. n. 47 del 1988, art. 14 (di conversione del D.L. n. 534 del 1987), avente durata biennale, sia l’ultima in ordine di tempo,pur essa biennale, di cui alla L. 20 maggio 1991, n. 158, art. 22, che interessano tutti indistintamente i casi di occupazione d’urgenza in corso alla data di entrata in vigore di ciascuna di dette disposizioni legislative, sia che l’occupazione fosse già stata prorogata una volta in base al D.L. n. 901 del 1984, art. 1, comma 5 bis (convertito, con modificazioni, dalla L. n. 42 del 1985), sia che non lo fosse stata,ma fosse comunque in corso ai sensi della L. 22 ottobre 1971, n. 865, art. 20, a ciascuna delle date suddette (seppure non ancora prorogata).

Tanto questa Corte, quanto la Corte Costituzionale, hanno infatti più volte affermato con riguardo all’intero sistema di dette proroghe che ha avuto inizio dopo la nota declaratoria di incostituzionalità del criterio di stima delle aree edificabili di cui alla L. n. 865 del 1971, art. 16, da parte delle note decisioni 5/1980 e 223/1983 della Corte Costituzionale, i seguenti principi: A) Con gli anzidetti provvedimenti legislativi, significativamente inseriti nel quadro di una normativa concernente la proroga di termini previsti da disposizioni legislative di vario genere, a differenza di quanto disposto per la proroga di cui alla L. n. 865 del 1971, art. 20, non è stato elevato in via astratta e generale il termine massimo (quinquennale) di durata delle occupazioni di urgenza, con l’attribuzione alla pubblica amministrazione del potere di prorogare il termine delle concrete occupazioni entro i nuovi limiti temporali, ma si è inciso in maniera diretta ed immediata sulla scadenza dei periodi di occupazione temporanea come già concretamente determinati dall’autorità amministrativa, attuandone il prolungamento; B) ciascuna di dette proroghe trova dunque applicazione in ogni caso di occupazione d’urgenza in corso alla data di entrata in vigore della legge che la dispone, sia che l’occupazione fosse già stata prorogata una volta (per esempio,in base al menzionato D.L. n. 901 del 1984, art. 1, comma 5 bis, o più volte) sia che questa fosse in corso ai sensi della L. 22 ottobre 1971, n. 865, art. 20, ma non ancora prorogata (Cass. 4288/1996;

8734/1997; 16204/2004); C) ciò perchè la sequenza delle proroghe esaminate si è resa necessaria a causa della situazione di grave incertezza e di vuoto normativo – determinatisi – dopo le ricordate dichiarazioni di incostituzionalità e protrattisi per l’ultradecennale latitanza del legislatore nel dettare una nuova disciplina dell’indennizzo espropriativo: di quella stessa incertezza, cioè, ed anomalia del quadro legislativo di cui ha poi tenuto conto, ora per allora, la Corte Costituzionale, nel giustificare (in ragione di essa) la retroattività del tardivo intervento (conformativo dell’indennizzo ablatorio) di cui alla L. n. n. 359 del 1992, art. 5 bis (cfr. sentenza 1993 n. 283). D) Quella situazione richiedeva allora in relazione ai singoli decreti di occupazione urgenti interventi correttivi non certo conseguibili con il semplice ampliamento dello strumento astratto di cui alla L. n. 865 del 1971, art. 20, che furono, dunque, attuati mediante apposito apparato normativo rivolto al fine di protrarre automaticamente la validità delle occupazioni dei suoli connesse ai procedimenti espropriativi in attesa che il Parlamento procedesse all’approvazione della nuova disciplina delle indennità di esproprio (Cass. 24576/2006; 8224/2000; 7200/1999); e che, pur portando al risultato complessivo, di una lunga protrazione delle occupazioni legittime, sono stati dichiarati costituzionalmente legittimi dalla Corte Costituzionale, proprio perchè determinati da riconosciute esigenze obbiettive; per cui anche con riguardo alla L. n. 42 del 1988 e L. n. 158 del 1991 la finalità perseguita dal legislatore, è stata quella di impedire che, a seguito della scadenza dei termini di occupazione temporanea e d’urgenza, le amministrazioni esproprianti si trovassero a dover risarcire i danni per l’occupazione espropriativa. Onde ciascuna di dette proroghe anzitutto automaticamente, senza necessità di specifico provvedimento da parte della P.A., e quindi sul solo presupposto che l’occupazione sia ancora in corso al momento del sopravvenire della proroga (Cass. 8734/1997; Corte Costit.

163/1994 e 244/1993).

A fugare ogni dubbio sulla inconsistenza di interpretazioni diverse è infine intervenuta la L. n. 166 del 2002 in base al cui art. 4 tutte le proroghe disposte dalla normativa emergenziale e, quindi, anche quelle introdotte dalle menzionate disposizioni legislative del 1988 e del 1991, specificamente ricordate, devono intendersi con effetto retroattivo, riferite ai procedimenti espropriativi comunque "in corso alle scadenze previste dalle singole leggi e si intendono efficaci anche in assenza di atti dichiarativi delle amministrazioni procedenti"; e l’effetto di proroga deve infine essere esteso anche ai connessi procedimenti espropriativi, compreso il termine per l’emissione del decreto di esproprio,essendo illogica la previsione del perdurare di un regime occupatorio temporaneo senza il corrispondente slittamento dei termini utili per il completamento del procedimento ablativo (Cass. sez. un. 2630/2006; nonchè 10216/2010).

Per cui deve concludersi che per effetto delle menzionate disposizioni legislative, non soltanto l’occupazione temporanea e d’urgenza del fondo, ma anche la dichiarazione di p.u. dell’asilo nido sono state prorogate al 17 giugno 1994, epoca in cui, venuto meno il titolo che autorizzava la detenzione del fondo P. – C., se ne è realizzata l’occupazione acquisitiva a favore del Comune di Bitonto, che ha reso inutile il successivo decreto di esproprio emesso il 23 maggio 1995 perchè privo di causa ed oggetto,avendo già l’amministrazione espropriante acquistato da circa un anno la proprietà dell’immobile P. – C..

6. D’altra parte,i ricorrenti principali nella citazione introduttiva del giudizio del 24 luglio 1992 prospettarono, come si legge nella sentenza impugnata, di aver subito il decreto di occupazione dell’immobile, cui era seguita la irreversibile trasformazione prima che fosse emesso il decreto di espropriazione (infatti sopravvenuto soltanto nel 1995), e sul presupposto che ne fosse avvenuta la illegittima espropriazione chiesero la condanna dell’amministrazione comunale al risarcimento del danno corrispondente al suo valore venale (altrimenti incomprensibile ove alla data della citazione detta radicale trasformazione non fosse stata compiuta). Quest’ultimo presupposto è stato sempre riconosciuto anche dal Comune, il quale, menzionando la stessa, documentazione nonchè la relazione di c.t.u. prodotte da controparte nella fase di merito, ha ribaditola sua volta, che l’opera preventivata è stata iniziata nel 1985 e completata con la costruzione del solaio già nel 1989; ed infine che dopo la sospensione la perizia di variante ha interessato soltanto la sussistenza di rifiniture perciò non influendo sulla già avvenuta irreversibile trasformazione del terreno P. – C. nell’asilo nido. La quale non può essere confusa, come hanno fatto i ricorrenti principali con il completamento dell’opera o addirittura con il collaudo, del tutto estranei al meccanismo dell’istituto,in quanto successivi alla avvenuta nuova destinazione del bene, che già in tale momento perde la consistenza ed individualità originarie per trovarsi inserito nel nuovo e non più scindibile contesto (Cass., 1302/1993; 7920/1990; 4295/1990). Al lume di queste premesse i primi due motivi del ricorso risultano inammissibili per più profili: a) perchè avendo i ricorrenti prospettato la sussistenza di un’occupazione espropriativa avente quale presupposto la dichiarazione di p.u. valida ed operante al momento dell’acquisizione del bene, la sentenza impugnata di primo grado non poteva sostituire di ufficio tale azione con quella spettante al proprietario del fondo per la sua occupazione radicalmente illegittima a causa della mancanza di dichiarazione di p.u., rientrante fra i comuni fatti illeciti di natura permanente in cui il proprietario, per converso, conserva e mantiene il proprio diritto dominicale sull’immobile, nonchè in via primaria,quello di chiederne la restituzione; sicchè del tutto correttamente la Corte di appello ha rimediato all’errore commesso dai primi giudici, pur se con una motivazione impropria che ha fatto riferimento soltanto alla data di irreversibile trasformazione del fondo quale prospettata dai proprietari; b) perchè questi ultimi non hanno indicato quale sarebbe stata la data effettiva di trasformazione del fondo, confondendola per un verso con quella di ultimazione dei lavori (o del loro collaudo), e rinviando per altro verso ad imprecisate, indagini del c.t.u. non riportate nel ricorso: senza considerare che la censura postulava la specificazione – se necessario anche mediante la trascrizione integrale nel ricorso – della risultanza che essi assumono decisiva e non valutata o insufficientemente valutata dal giudice di merito, perchè solo tale specificazione consente alla Corte di Cassazione – alla quale è precluso, salva la denunzia di "error in procedendo", l’esame diretto dei fatti di causa – di delibare la decisività della risultanza non valutata; c) perchè a tale omissione non può, pertanto, porsi rimedio invocando l’asserito obbligo della Corte di appello di acquisire il fascicolo di ufficio contenente la relazione della c.t.u., anche perchè nell’ipotesi di sentenza non definitiva (quale era nel caso quella del Tribunale), l’art. 123 disp. att. cod. proc. civ., rimette al potere discrezionale del giudice dell’impugnazione, perciò insindacabile in sede di legittimità, l’acquisizione del fascicolo di ufficio di primo grado soltanto "ove lo ritenga necessario". Tutti gli altri motivi sono infondati.

7. La soccombenza reciproca induce il Collegio a dichiarare interamente compensate tra le parti le spese processuali.
P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi e li rigetta. Dichiara interamente compensate tra le parti le spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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