Cass. civ. Sez. I, Sent., 04-05-2011, n. 9750 deduzione della prova

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

rso.
Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 1 7 dicembre 2003, il Tribunale di Varese, nel pronunciare la separazione personale tra i coniugi T. C. e E.D., condannò quest’ultima, per quanto ancora rileva in questa sede, a restituire al primo la somma di Euro 36.152,00. 2. – La sentenza, impugnata dalla E., è stata confermata sul punto dalla Corte d’Appello di Milano, che, con sentenza del 9 aprile 2010, ha dato atto dell’attendibilità e della sostanziale conformità delle deposizioni rese dai testi escussi in primo grado, dalle quali emergeva che la predetta somma, ricavata dalla vendita di un terreno di famiglia ad opera del T., era stata da quest’ultimo depositata su conti correnti intestati alla moglie, sui quali era abilitato ad operare in virtù di procura conferitagli dalla stessa. Al riguardo, ha escluso l’ammissibilità della documentazione prodotta dalla E. nel giudizio di appello, trattandosi di prova costituenda che avrebbe potuto essere prodotta in primo grado.

3. – Avverso la predetta sentenza la E. propone ricorso per cassazione, articolato in sei motivi, illustrati con memoria. Il T. resiste con controricorso.
Motivi della decisione

1. – Con il primo motivo d’impugnazione, la ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione degli artt. 112 e 184 cod. proc. civ., sostenendo che la decisione è fondata su testimonianze che non avrebbero potuto essere ammesse, in quanto i relativi capitoli erano stati dedotti dalla difesa del T. soltanto nella memoria di replica a quella istruttoria depositata dalla difesa di essa ricorrente, tale inammissibilità, oltre a poter essere rilevata d’ufficio, era stata oggetto di specifica eccezione, non presa in considerazione nè dal Tribunale nè dalla Corte d’Appello, 1.1. – Il motivo è fondato.

Nel presente giudizio, instaurato in epoca successiva al 30 aprile 1995 ma anteriore al 1 marzo 2006, trova infatti applicazione la disciplina delle deduzioni istruttorie di cui all’art. 184 cod. proc. civ., nel testo introdotto dalla L. 26 novembre 1990, n. 353, ai sensi del quale il giudice istruttore, in alternativa all’ammissione dei mezzi di prova nella stessa udienza fissata per la trattazione della causa, può rinviare ad altra udienza, su istanza di parte, assegnando un termine per l’indicazione di nuovi mezzi di prova, nonchè altro termine per l’eventuale indicazione di prova contraria.

Il comma 2 della norma in esame, qualificando espressamente come perditori i termini in questione, ne sottrae l’osservanza alla disponibilità delle parti, consentendo al giudice di rilevarne d’ufficio la violazione, e rendendo quindi inapplicabile il principio secondo cui il vizio deve ritenersi sanato qualora la controparte non abbia tempestivamente sollevato la relativa eccezione (cfr. Cass., Sez. 1^, 12 febbraio 2010, n. 3319: Cass., Sez. 5^, 20 novembre 2006, n. 24606; 19 marzo 2004, n. 5539).

Ciò non esclude, nel caso in cui l’inosservanza del termine non sia rilevata dal giudice di primo grado, l’applicabilità de principio secondo cui il vizio in esame, avente natura di errar in procedendo, si converte in motivo d’impugnazione della sentenza, da farsi valere con le forme e nei termini previsti per l’appello, non rientrando la nullità tra quelle che possono essere rilevate in ogni stato e grado del processo, con la conseguenza che resta sanata ove la parte interessata non l’abbia fatta valere come motivo di gravame (cfr.

Cass., Sez. 1^, 9 aprile 2008, n. 9169; 15 febbraio 2007, n. 3607).

Nella specie, peraltro, come si desume dal ricorso in appello, il cui esame è consentito in questa sede dalla natura processuale del vizio lamentato, la tardiva articolazione della prova in ordine alle circostanze dalle quali il Tribunale ha desunto l’appartenenza al T. della somma da lui chiesta in restituzione era stata espressamente fatta valere con il primo motivo d’impugnazione, nel quale la E., oltre a contestare l’attendibilità delle testimonianze assunte in primo grado, aveva affermato che i capitoli di prova aventi ad oggetto la provenienza della predetta somma ed il versamento della stessa da parte del T. sul conto corrente intestato al coniugo erano stati dedotti dall’appellato non già nella memoria istruttoria depositata il 28 luglio 2000, ma in quella di replica depositata il 30 settembre 2000. In ordine a tale censura. che non presupponeva l’avvenuta proposizione dell’eccezione nel corso del giudizio di primo grado, la Corte territoriale ha omesso di pronunciare, limitandosi a ribadire l’attendibilità delle deposizioni rese dai testi, senza procedere alla verifica dell’osservanza del termine perentorio prescritto per la deduzione della prova, in relazione ai fatti costitutivi posti a fondamento della domanda di restituzione ed a quelli estintivi, modificati o impeditivi fatti valere in contrario.

2. – E’ altresì fondato il sesto motivo, con cui la ricorrente lamenta la violazione e la falsa applicazione dell’art. 345 cod. proc. civ., comma 3, nonchè l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controversi) e decisivo, censurando la sentenza impugnata nella parte in cui ha dichiarato inammissibile la documentazione bancaria da lei prodotta, erroneamente qualificandola come prova costituenda e ritenendo che avrebbe potuto essere prodotta in primo grado, laddove la formazione e la produzione in giudizio si era resa necessaria soltanto a seguito dell’ammissione della prova testimoniale tardivamente dedotta dalla controparte, al fine di dimostrare la falsità delle deposizioni rese dai testi in primo grado.

2.1. Premesso infatti che i documenti, in quanto formati al di fuori del processo ed indipendentemente dallo stesso, non sono qualificabili come prove – costituende, si osserva che, secondo l’orientamento ormai consolidato di questa Corte, la loro produzione nel giudizio ordinano di appello è disciplinata, al pari della deduzione delle altre prove, dal principio dell’inammissibilità di mezzi di prova nuovi, ovverosia di quelli la cui ammissione non sia stata richiesta in precedenza. Tale inammissibilità è sancita dall’art. 345 cod. proc. civ., comma 3, nel testo introdotto dalla L. n. 353 del 1990, art. 52, il quale indica nel contempo i limiti del principio in esame, consentendo al giudice di ammettere, oltre alle nuove prove che le parti non abbiano potuto produrre prima per causa ad esse non imputabile, anche quelle da lui ritenute, nel quadro delle risultanze istruttorie già acquisite, indispensabili, perchè dotale di un’influenza causale più incisiva rispetto a quella che le prove rilevanti hanno sulla decisione finale della controversia, e sempre che tali documenti siano prodotti, a pena di decadenza, mediante specifica indicazione nell’atto introduttivo del giudizio di secondo grado, a meno che la loro formazione non sia successiva e la loro produzione non si sia resa necessaria in relazione allo sviluppo assunto dal processo (cfr. Cass., Sez. Un.. 20 aprile 2005. n. 8203;

Cass., Sez. 5^, 16 ottobre 2009, n. 21980; 9 aprile 2006, n. 9120).

La mera considerazione che la documentazione bancaria depositata dalla ricorrente in sede d’impugnazione avrebbe potuto essere prodotta nel giudizio di primo grado, addotta dalla Corte territoriale a giustificazione del rifiuto di prenderla in esame ai fini della decisione, non era pertanto sufficiente ad escludere l’ammissibilità della sua produzione nel giudizio d’appello. La non imputabilità alla parte della mancata produzione in primo grado rappresenta infatti soltanto una delle condizioni richieste, in via alternativa, ai fini dell’ammissibilità della produzione dei documenti in sede di gravame, l’altra essendo costituita dalla loro indispensabilità ai fini della decisione. L’omessa deduzione di circostanze idonee ad escludere che il mancato deposito in primo grado della documentazione bancaria fosse addebitabile all’appellante non esonerava pertanto la Corte d’Appello dal dovere di accertare se essa fosse di per sè sufficiente a condurre ad una decisione diversa da quella adottata dal Tribunale.

3. – Restano invece assorbiti i motivi dal secondo al quinto, con cui la ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., comma 1 e art. 2727 cod. civ., nonchè l’omessa o insufficiente motivazione, tonsurando Sa sentenza impugnata nella parte avente ad oggetto l’individuazione dei fatti rilevanti ai fini della prova dell’appartenenza della somma richiesta in restituzione, nonchè la valutazione delle deposizioni rese dai testi e degli elementi indiziari acquisiti agli atti del giudizio.

4. – La sentenza impugnata va pertanto cassata, con il conseguente rinvio della causa alla Corte d’Appello di Milano, che provvederà. in diversa composizione, anche alla liquidazione delle spese relative alla fase di legittimità.
P.Q.M.

La Corte accoglie il primo ed il sesto motivo del ricorso, dichiara assorbiti gli altri, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di Appello di Milano anche per la liquidazione delle spese processuali.

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