Cass. civ. Sez. I, Sent., 04-05-2011, n. 9744 sindaco elezioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

sorbito il ricorso incidentale condizionato.
Svolgimento del processo

Con ricorso del 4 agosto 2009 la Prefettura – Ufficio territoriale del Governo – di Campobasso e il Ministero dell’interno hanno chiesto al tribunale di Campobasso di dichiarare G.V. decaduta dalla carica di sindaco del comune di Montemitro, ai sensi del D.Lgs n. 267 del 2000, art. 63, 1 comma, n. 2, per essere titolare dell’impresa Edilcostruzioni, appaltatrice di opere affidate dal comune, e ai sensi dell’art. 61, 2 comma del citato D.Lgs., per essere coniuge dell’amministratore unico della Immobiliare Aurora, affidataria di appalti concessi dallo stesso ente locale.

All’esito del giudizio, nel quale sono intervenuti G. F., P.I., P.L. e S.S., cittadini elettori e consiglieri comunali, il tribunale, con sentenza del 19 ottobre 2009, ha dichiarato la decadenza di G. V. e tale decisione è stata confermata dalla corte d’appello di Campobasso con sentenza del 29 gennaio 2010.

Per quanto ancora rileva in questa sede, la corte territoriale ha affermato che: a) era irrilevante la circostanza che la G. in data 20 agosto 2009, anteriore alla notificazione della richiesta di dichiarazione di decadenza, si fosse cancellata dal registro delle imprese e avesse richiesto la cancellazione della partita IVA, perchè, da un lato, l’art. 2495 c.c., nella nuova formulazione introdotta dal D.Lgs. n. 6 del 2003, art. 4, secondo cui la cancellazione della società dal registro delle imprese ne comporta ipso jure l’estinzione, non è applicabile all’imprenditore individuale, e, dall’altro, la cancellazione dal registro delle imprese, che ha funzione di pubblicità notizia, non comporta l’estinzione dei rapporti di appalto; b) sulla avvenuta rimozione delle cause di incompatibilità relativamente a tre contratti di appalto per i quali i lavori non avevano avuto inizio ed era intervenuta rinuncia da parte della G. e del coniuge, si era formato il giudicato interno; c) non sussisteva la causa d’incompatibilità relativamente all’appalto per la costruzione di parcheggi pubblici e a quello per la ristrutturazione e manutenzione di una scuola elementare, di importo, rispettivamente, di Euro 64.532, 00 e di Euro 19.785,72, perchè ben prima dell’elezione era stato emesso certificato di regolare esecuzione dei lavori (equipollente del certificato di collaudo per i lavori fino a Euro 500.000 ai sensi del D.Lgs. n. 163 del 2006, art. 141, comma 3) espressamente approvato dal responsabile del procedimento (quanto al primo contratto) e (quanto al secondo contratto) da intendersi tacitamente approvato per non essere intervenuta approvazione espressa nel biennio successivo dalla emissione; d) sussisteva la condizione d’incompatibilità relativamente al contratto di subappalto stipulato tra la G. e l’appaltatrice Albanese Perforazioni s.r.l., avente ad oggetto lavori di riqualificazione del centro storico, non ostante che i lavori affidati alla subappaltatrice fossero stati ultimati e pagati dall’impresa subappaltante, essendo ancora in corso il rapporto di appalto tra il comune e l’appaltatrice perchè, come affermato da Cass. n. 11.959 del 2003, la causa di incompatibilità di cui al D.Lgs. n. 267, art. 63, comma 1, n. 2, si applica anche al subappaltatore e permane fino a che non sia esaurito con l’approvazione del collaudo il rapporto di appalto.

Avverso la sentenza della corte d’appello di Campobasso la G. ha proposto ricorso per cassazione affidato a un unico complesso motivo, illustrato con memoria, al quale resistono con separati controricorsi la Prefettura di Campobasso e gli elettori intervenuti, i quali hanno anche presentato ricorso incidentale condizionato affidato a due motivi.
Motivi della decisione

1. L’eccezione di tardività del ricorso sollevata dai controricorrenti G.F. e altri, sulla base dell’affermazione secondo la quale la notificazione a mezzo posta eseguita direttamente dal difensore ai sensi della L. n. 53 del 1994, art. 1, si perfezionerebbe alla data della ricezione del plico da parte del destinatario è infondata.

Come è stato già affermato (Cass. n. 17748/2009, 15081/2004) il principio, desumibile dalla giurisprudenza costituzionale (sentenze nn. n. 477 del 2002, n. 28 e 97 del 2004, n. 154 del 2005), della scissione fra il momento di perfezionamento della notificazione per il notificante, coincidente con quello della consegna dell’atto da notificare all’ufficiale giudiziario, e per il destinatario, ha carattere generale e trova pertanto applicazione anche nell’ipotesi in cui la notifica a mezzo posta venga eseguita, anzichè dall’ufficiale giudiziario, dal difensore ai sensi della L. n. 53 del 1994, art. 1, essendo irrilevante la diversità soggettiva dell’autore della notificazione, con l’unica differenza che alla data di consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario va in tal caso sostituita la data di spedizione del piego raccomandato, da comprovare mediante il riscontro documentale dell’avvenuta esecuzione delle formalità richieste presso l’ufficio postale, non estendendosi il potere di certificazione, attribuito al difensore dall’art. 83 c.p.c., alla data dell’avvenuta spedizione, e non essendo una regola diversa desumibile dal sistema della L. n. 53 del 1994.

Poichè, nella specie, la sentenza della corte d’appello di Campobasso è stata notificata il 2 febbraio 2010 e il piego raccomandato indirizzato ai controricorrenti, dalla ricevuta di ricezione prodotta, risulta consegnato dal difensore della ricorrente all’ufficio postale il 22 febbraio 2010, il ricorso è stato tempestivamente notificato, essendo irrilevanti le successive date di ricezione da parte dei destinatari.

2. E’ invece fondata l’eccezione di tardività del controricorso del Ministero dell’interno e della Prefettura – Ufficio territoriale del Governo – di Campobasso.

Infatti, poichè il D.P.R. n. 570 del 1960, art. 82 ter, dispone che nel giudizio di cassazione in materia, elettorale tutti i termini sono ridotti alla metà, il termine per la notifica del controricorso previsto dall’art. 370 c.p.c., comma 1, è di dieci giorni dalla scadenza del termine stabilito dall’art. 369 c.p.c., comma 1, per il deposito del ricorso, che, a sua volta è di dieci giorni dall’ultima notificazione del ricorso stesso alle parti contro le quali è proposto.

Nella specie la notifica del ricorso si è perfezionata, per il notificante, il 24 febbraio 2010 mediante consegna all’Avvocatura generale dello Stato del piego raccomandato e pertanto il termine per la notifica del controricorso era quello del 16 marzo 2010, mentre il controricorso è stato notificato alla ricorrente il 2 aprile 2010. 3. Deducendo la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 267 del 2000, artt. 50, 54, 63, 107 e 109, dell’art. 2495 c.c., del D.Lgs n. 163 del 2006, art. 118 e della L. n. 142 del 1990, art. 51, la ricorrente formula le seguenti censure:

a) l’interpretazione del D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 63, seguita dalla corte d’appello si pone in contrasto con l’art. 51 Cost., in quanto se l’eletto non può rimuovere la causa di incompatibilità la stessa finisce per avere un trattamento giuridico identico alle cause di ineleggibilità che invece sono di stretta interpretazione;

b) la qualità di imprenditore è venuta meno alla data del 20 agosto 1989, a seguito della cancellazione della Edilcostruzioni dal registro delle imprese e alla cancellazione della partita IVA, in applicazione del principio affermato dall’art. 2945 c.c.; la diversa tesi seguita dalla corte territoriale provoca un’ingiustificata disparità di trattamento tra l’imprenditore individuale e i soci di società di capitali, di società di persone e dei consorzi con attività esterne ai quali si applica la muova disciplina della cancellazione dal registro delle imprese;

c) è erroneo affermare che il subappaltatore "ha parte" in appalti del comune sia perchè, in punto di fatto, i lavori subappaltati sono stati ultimati e pagati ben prima dell’elezione, sia perchè, in punto di diritto, il rapporto di subappalto intercorre esclusivamente tra subappaltante e subappaltatore ed è autonomo da quello di appalto tra appaltatore e stazione appaltante e tale autonomia sussiste anche nella fase del collaudo dei lavori appaltati;

l’equiparazione del subappalto all’appalto comporta un’illegittima interpretazione estensiva delle cause d’incompatibilità in violazione dell’art. 51 Cost. e, nel caso di imprese individuali il sacrificio di situazioni soggettive costituzionalmente tutelate dagli artt. 41 e 42 Cost.;

d) la fattispecie concreta è diversa da quella decisa con la sentenza n. 11959 del 2003 perchè: a) l’art. 353 della legge sui lavori pubblici (che garantisce al subappaltatore la preferenza nella concessione del sequestro delle somme dovute dalla stazione appaltante all’appaltatore) è stato abrogato dal D.Lgs. n. 163 del 2006, art. 256, comma 4, e, comunque, presuppone il collaudo dell’opera; b) nella specie, l’amministrazione comunale non si è avvalsa della facoltà di pagare direttamente il compenso al subappaltatore, come previsto dalla L. n. 55 del 1990, art. 18, comma 3 bis; e) in considerazione dell’effettivo l’importo dei lavori, inferiore a 500.000, il collaudo è sostituito dal certificato di regolare esecuzione dei lavori emesso dal direttore dei lavori e confermato dal responsabile del procedimento e pertanto non è possibile alcuna interferenza del sindaco; d) il rapporto di subappalto si è concluso da tempo con l’ultimazione dei lavori e pertanto il subappaltatore non può "avere parte" nell’appalto nell’interesse del comune; e) avendo radicalmente rimosso la causa d’incompatibilità con la cessazione dell’attività d’impresa nessuna altra forma di cessazione è ipotizzabile;

e) in virtù del principio generale della separazione delle funzioni politiche da quelle tecniche, principio stabilito da norme primarie e quindi non derogabile ad opera di statuti e regolamenti comunali, spettano al sindaco solo poteri di indirizzo e controllo, mentre sono riservati agli organi tecnici i poteri di gestione, come risulta dal D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 50, comma 2, nè sussiste nella specie la possibilità di esercitare i poteri di cui all’art. 54, comma 4, dello stesso D.Lgs. o di revoca degli incarichi dirigenziali (art. 109) per ragioni personali e ritorsive, poichè la norma prevede tassative condizioni per l’esercizio del potere discrezionale di cui si tratta;

f) comunque ove venisse in discussione una delibera che riguardasse gli interessi propri il sindaco avrebbe l’obbligo di astensione, nel caso di deliberazioni che coinvolgano interessi personali del sindaco.

Le censure non sono fondate.

3.1. L’art. 2495 c.c., aggiunto dal D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, art. 4, emanato in adempimento della delega contenuta nell’art. 8, primo comma lettera a) della L. n. 366 del 2001 (che dava mandato al legislatore delegato di "disciplinare gli effetti della cancellazione della società dal registro delle imprese") dispone che "1. Approvato il bilancio finale di liquidazione, i liquidatori devono chiedere la cancellazione della società dal registro delle imprese. 2. Ferma restando l’estinzione della società, dopo la cancellazione i creditori sociali non soddisfatti possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci, fino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione, e nei confronti dei liquidatori, se il mancato pagamento è dipeso da colpa di questi. La domanda, se proposta entro un anno dalla cancellazione, può essere notificata presso l’ultima sede della società".

Come le sezioni unite (Cass. n. 4060 del 2010) hanno avuto modo di affermare di recente, risolvendo un contrasto di giurisprudenza insorto all’interno delle sezioni semplici, la norma, che ha portata innovativa, non interpretativa della disciplina previgente e trova applicazione anche alle cancellazioni iscritte prima della data di entrata in vigore della riforma con effetto dal 1 gennaio 2004, comporta che l’iscrizione della cancellazione delle società di capitali e delle cooperative (e dei consorzi con attività esterna:

Cass. n. 19347/2007) dal registro delle imprese, avendo natura costitutiva come l’iscrizione dell’atto costitutivo, estingue le società stesse, anche se sopravvivono rapporti giuridici dell’ente.

Per le società di persone, esclusa l’efficacia costitutiva della cancellazione iscritta nel registro, logicamente e giuridicamente incompatibile con l’esclusione di analoga l’efficacia dell’iscrizione dell’atto costitutivo, una lettura costituzionalmente orientata delle norme relative a tale tipo di società e ragioni logiche e di sistema, inducono a ritenere che la pubblicità della cessazione dell’attività dell’impresa collettiva, pur avendo natura dichiarativa e comportando solo l’opponibilità dal 1 gennaio 2004 ai creditori che agiscano contro i soci ai sensi degli artt. 2312 e 2324 c.c., fa sorgere una presunzione del venir meno della capacità e legittimazione di esse, anche se perdurino rapporti o azioni in cui le stesse sono parti.

La nuova disciplina, tuttavia, non è estensibile alle vicende estintive della qualità di imprenditore individuale. Mentre, infatti, con l’estinzione dell’impresa collettiva viene meno la duplicità dei centri di imputazione dei rapporti giuridici, individuati, da un lato, nelle persone fisiche che partecipano all’attività imprenditoriale (e sulle quali, dopo l’estinzione, ricadono, nei limiti della loro partecipazione, gli effetti della precedente attività sociale) e, dall’altro, nel soggetto collettivo (dotato di personalità giuridica o di sola autonomia patrimoniale), l’imprenditore individuale non è altro dalla persona fisica che compie l’attività imprenditoriale. Dunque, a tutela dei terzi che debbono avere la possibilità di conoscere da quale momento e fino a quale momento possono contare sul patrimonio dell’ente e quando invece possono aggredire il patrimonio dei soci, l’inizio e la fine dell’impresa collettiva è subordinata al perfezionamento delle formalità di iscrizione nel registro delle imprese (anche se tale iscrizione ha natura costitutiva per le società di capitali e dichiarativa per quelle di persone). Tale esigenza non sussiste rispetto all’imprenditore individuale che non costituisce un centro di imputazione di rapporti giuridici diverso dalla persona fisica. In tal caso l’inizio e la fine della qualità di imprenditore non è subordinato alla realizzazione di formalità, ma all’effettivo svolgimento o al reale venir meno dell’attività imprenditoriale.

La diversità delle situazioni giuridiche facenti capo alle imprese collettive rispetto a quelle degli imprenditori individuali rendono manifestamente infondato ogni sospetto di illegittimità costituzionale per disparità di trattamento.

Peraltro, la diversità della disciplina della cessazione della qualità di imprenditore individuale, ispirata al principio di effettività, rispetto a quella degli imprenditori collettivi, fondata sul principio della formalità, se può rendere meno agevole la prova della fine dell’attività dell’impresa individuale non impedisce certo alla persona fisica di porre fine a tale attività, mediante cessione a terzi dei rapporti giuridici d’impresa o semplicemente astenendosi dal compiere attività imprenditoriale. E’ quindi erroneo il presupposto sul quale si basa la ricorrente per sollevare dubbi sulla costituzionalità dell’esclusione dell’applicazione dell’art. 2495 c.c., all’imprenditore individuale, in relazione all’art. 51 cost., sul rilievo che l’interpretazione accolta renderebbe assolutamente impossibile rimuovere la causa d’incompatibilità, con la conseguenza che si realizzerebbe una sostanziale equiparazione di una causa d’incompatibilità alle cause di ineleggibilità che, invece, sono di stretta interpretazione.

3.2. Pronunciandosi in una fattispecie di elezione a sindaco di un soggetto subappaltatore di lavori per conto dello stesso comune, ultimati e pagati prima dell’elezione, senza che tuttavia fosse ancora stato approvato il collaudo questa Corte (Cass. n. 11959/2003) ha affermato che il D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 63, comma 1, n. 2, stabilendo che non può ricoprire la carica di sindaco colui il quale, come "titolare, amministratore, dipendente con poteri di rappresentanza o coordinamento" "ha parte, direttamente o indirettamente", in appalti nell’interesse del comune, deve essere interpretato nel senso che la causa di incompatibilità si riferisce anche all’eletto che abbia prestato la propria attività come subappaltatore nell’ambito di un contratto di appalto stipulato dal comune. Tale orientamento merita di essere seguito in quanto nessuna delle ragioni contrarie sostenuta dalla ricorrente appare convincente.

Ai fini dell’applicazione della disciplina dell’incompatibilità prevista dall’art. 63, comma 1, non è rilevante l’indubbia autonomia e distinzione strutturale dei contratti di appalto e di subappalto perchè tale caratteristica, non esclude la coincidenza, totale o parziale, degli oggetti e la natura secondaria e derivata del subappalto, dai quali sorge quella comunanza di interessi "particolari" tra appaltatore e subappaltatore, configgente con l’interesse generale dell’ente territoriale e quindi con l’imparziale esercizio della carica elettiva, conflitto potenziale che la norma intende evitare. Il subappaltatore, infatti, è assoggettato ai controlli dell’amministrazione appaltante, sia prima che dopo la necessaria autorizzazione del subappalto, e, anche dopo la consegna dei lavori e perfino dopo aver riscosso il compenso ha "interesse" all’esito positivo del procedimento di collaudo (si concluda esso con l’approvazione del relativo certificato o con quella del certificato di regolare esecuzione delle operare: Cass. n. 7063/1992), perchè in caso di collaudo sfavorevole è assoggettato all’azione di regresso dell’appaltatore ai sensi dell’art. 1670 c.c.. Inoltre non è escluso, almeno potenzialmente, un rapporto diretto tra stazione appaltante e subappaltatore, se si tengono presenti, da un lato, la facoltà attribuita al subappaltatore dall’art. 353 della legge sui lavori pubblici (in tema si sequestro delle somme dovute dall’amministrazione all’appaltatore), applicabile al contratto di cui si tratta ratione temporis, e dall’altro, della facoltà dell’amministrazione di pagare direttamente i lavori al subappaltatore ( L. n. 55 del 1990, art. 3 bis). Nè è rilevante che in concreto tali facoltà siano state esercitate, trattandosi di valutare l’esistenza di un conflitto d’interessi potenziale e non reale.

Per contro il sindaco non è estraneo alle vicende delle procedure di collaudo perchè il principio della separazione delle competenze degli organi elettivi rispetto a quelle degli organi tecnico- amministrativi degli enti locali (principio da ultimo ribadito dal D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 107, comma 1), non esclude che, fermi i poteri di gestione dei secondi, spettino ai primi poteri di indirizzo e controllo dell’attività amministrativa. In particolare il D.Lgs. n. 267 del 2000, recante il testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, prevede che il sindaco sovrintenda al funzionamento dei servizi e degli uffici e all’esecuzione degli atti (art. 50, comma 2), quale ufficiale del Governo, può adottare provvedimenti contingibili e urgenti anche in materia di gestione (art. 54) e che può revocare l’incarico dirigenziale in caso di inosservanza delle proprie direttive (art. 109, comma 1). Pertanto il sindaco non è estraneo, attraverso la scelta dei dirigenti amministrativi, le direttive impartite e i controlli, sia pure in modo indiretto, nè alla nomina dei collaudatori nè all’approvazione del collaudo o del certificato di regolare esecuzione delle opere.

Infine, come si è già ad altro fine osservato, non appare decisivo il rilievo che nella fattispecie non risultino in concreto esercitati i poteri di cui al D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 54 o che l’art. 109 individui, peraltro con formulazione ("inosservanza delle direttive") molto generale il presupposto per l’esercizio del potere di revoca del dirigente, perchè ciò che rileva, ai fini dell’applicazione della disciplina dell’incompatibilità non è il conflitto d’interessi reale, ma quello virtuale.

3.3. La Corte (sentenza n. 11959/203) ha anche già esaminata e respinta la tesi, sostenuta dalla ricorrente, secondo la quale il conflitto d’interessi sarebbe superato dalla disciplina relativa al dovere di astensione degli amministratori locali dettata dal D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 78, comma 2, osservando, con argomentazione che deve essere condivisa, che "posto che tale disposizione stabilisce, tra l’altro, che gli amministratori locali "devono astenersi dal prender parte alla discussione ed alla votazione di delibere riguardanti interessi propri o di loro parenti o affini sino al quarto grado", è del tutto evidente che, mentre il conflitto di interessi quivi previsto attiene a specifiche situazioni di incompatibilità che possono eventualmente verificarsi nel corso dello svolgimento delle funzioni pubbliche connesse all’esercizio della carica elettiva (cfr., ad es. e da ultimo, Cons. St., sez. 4^, n. 2826 del 2003), quello disciplinato dalla disposizione D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 67, comma 1, in esame riguarda una situazione di potenziale incompatibilità di interessi che esiste già al momento della elezione e che, quindi, se non tempestivamente rimossa, viene considerata dal legislatore come ragione di inquinamento originario rispetto allo stesso esercizio imparziale della carica". 3.4. Infine, deve affermarsi che non è fondata la tesi secondo cui, per quel che riguarda il subappaltatore, la "pendenza" dell’appalto potrebbe, in concreto, risolversi in una protrazione "sine die" della causa di incompatibilità in esame con conseguente illegittima trasformazione in una sostanziale causa d’ineleggibilità non prevista dalla legge. Come è stato già osservato (Cass. n. 11959/2003), infatti, "dal momento che colui che aspira all’esercizio della carica elettiva di amministratore locale deve sapere che questo si traduce nella cura imparziale della "res publica" e che il legislatore prefigura chiaramente la causa di incompatibilità di interessi in esame – l’ordinamento appresta idonei strumenti per la tempestiva rimozione della causa stessa… Può aggiungersi…che l’eventuale "impossibilità" di rimuovere, al momento di una determinata elezione, la causa di incompatibilità in esame (si pensi, ad es., al caso del titolare di impresa individuale, il quale dovrebbe necessariamente rinunciare alla sua posizione ed alla sua attività di imprenditore) non costituisce ragione sufficiente a considerarla "tamquam non esset": infatti – ribadito che il legislatore intende impedire l’esercizio della carica elettiva di amministratore locale al soggetto che, in quanto partecipe all’appalto, è considerato, secondo previsione tipica, in conflitto di interessi con l’ente locale – siffatta causa di incompatibilità non dura indefinitamente, ma, appunto, fintantochè non si esaurisca la partecipazione all’appalto e, quindi, il potenziale conflitto di interessi". 3.5. Il ricorso, in conclusione, deve essere rigettato.

Resta assorbito il ricorso incidentale condizionato proposta da G.F. e altri con il quale si censura l’affermazione relativa alla esistenza di un giudicato interno sulla esclusione dell’incompatibilità derivante da altri rapporti d’appalto e si sostiene che sarebbe insufficientemente motivato l’accertamento della avvenuta conclusione dei lavori di costruzione di una scuola.

4. Nulla sulle spese nei rapporti tra ricorrente e Ministero dell’interno e Prefettura di Campobasso, attesa l’inammissibilità del controricorso, mentre le spese seguono la soccombenza nei rapporti della ricorrente con G.F. e gli altri.
P.Q.M.

la Corte, riuniti i ricorsi, rigetta il ricorso principale e dichiara assorbito il ricorso incidentale condizionato; condanna la ricorrente al pagamento delle spese, in favore dei controricorrenti G. F., P.L. e S.S., con Euro 4.700,00 (di cui Euro 200,00 per esborsi).

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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