Cons. Stato Sez. IV, Sent., 02-03-2011, n. 1359 Costruzioni abusive

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il dottor Q.L. ha impugnato, chiedendone la riforma, la sentenza con la quale il T.A.R. del Veneto ha respinto il ricorso da lui proposto avverso il provvedimento con il quale il Comune di Verona ha applicato nei suoi confronti la sanzione amministrativa di cui all’art. 15 della legge 29 giugno 1939, nr. 1497, in relazione a opere abusive da lui realizzate (e successivamente sanate) in zona sottoposta a vincolo paesaggistico.

A sostegno dell’impugnazione, l’appellante ha dedotto:

1) violazione e/o erronea applicazione dell’art. 21, comma 10, e dell’art. 26 della legge 6 dicembre 1971, nr. 1034, come introdotti dalla legge 21 luglio 2000, nr. 205 (in relazione all’insussistenza dei presupposti per la definizione del giudizio con sentenza in forma semplificata);

2) inapplicabilità della sanzione per intervenuta concessione in sanatoria e ciò anche in relazione alla natura risarcitoria della somma richiesta con il provvedimento impugnato (avendo l’autorità preposta al vincolo, nella fattispecie, dichiarato il "non danno");

3) prescrizione dell’azione sanzionatoria per decorso del termine quinquennale ai sensi dell’art. 28 della legge 24 novembre 1981, nr. 689 (dovendosi intendere il termine quinquennale di prescrizione come decorrente dall’8 aprile 1998, data del rilascio della concessione in sanatoria, ed essendo pertanto esso termine spirato alla data di adozione dell’atto impugnato);

4) violazione e/o falsa applicazione dell’art. 164 del decreto legislativo 29 ottobre 1999, nr. 490 (ex art. 15 della legge nr. 1497 del 1939) in relazione all’omessa valutazione del riordino ambientale effettuato in forma specifica dal ricorrente; eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione in relazione all’omessa valutazione di questa attività di riordino ambientale;

5) violazione e/o falsa applicazione dell’art. 164 del d.lgs. nr. 490 del 1999 in relazione all’omessa quantificazione della sanzione con riferimento al solo profitto; contraddittorietà intrinseca dell’ordinanza nr. 662 del 2003 di determinazione della sanzione e contraddittorietà della stessa ordinanza con altri atti dell’Amministrazione riferiti allo stesso procedimento (comunicazione di avvio del procedimento nr. 49552 del 13 giugno 2000), nella quale si prospettava al ricorrente che si sarebbe proceduto alla stima del solo profitto; difetto di motivazione e di istruttoria;

6) eccesso di potere per contraddittorietà con precedenti atti inerenti allo stesso oggetto emanati da Amministrazione competente al momento della valutazione; difetto di istruttoria e difetto, contraddittorietà e/o perplessità e/o illogicità nella motivazione; consumazione del potere per avviato procedimento amministrativo da parte di altra Amministrazione; invalidità derivata (con riferimento alla declaratoria di tardività dell’impugnazione del decreto nr. 442 del 1997 di determinazione del danno ambientale).

Il Comune di Verona, costituitosi, ha analiticamente replicato alle doglianze di parte appellante, concludendo per la reiezione del gravame e per la conferma della sentenza impugnata.

All’udienza del 25 gennaio 2011, la causa è stata trattenuta in decisione.
Motivi della decisione

1. L’odierno appellante, dottor Q.L., al principio degli anni novanta ha realizzato lavori su una stradina sita in un terreno di sua proprietà ricadente nel Comune di Verona, per i quali è stato assoggettato a provvedimenti sanzionatori, avendo l’Amministrazione comunale ritenuto che l’intervento necessitasse di concessione edilizia e di autorizzazione paesaggistica ex art. 7 della legge 29 giugno 1939, nr. 1497.

Nel 1994, egli ha presentato istanza di sanatoria, conseguendo dapprima il nulla osta da parte della Provincia di Verona (all’epoca autorità preposta al vincolo) e quindi la concessione in sanatoria, all’esito dell’esecuzione di lavori di "riordino ambientale".

Successivamente, l’Amministrazione comunale ha provveduto alla determinazione della sanzione pecuniaria di cui all’art. 15 della legge nr. 1497 del 1939 (con provvedimento nr. 442 del 1997) e quindi alla sua concreta applicazione con atto nr. 662 del 2003, oggetto di impugnazione dinanzi al T.A.R. del Veneto.

2. Tanto premesso, l’appello proposto avverso la sentenza con la quale il T.A.R. ha respinto il predetto ricorso si appalesa infondato, e va conseguentemente respinto.

3. Innanzi tutto, va respinto il primo mezzo, col quale si assume la mancanza nella specie dei presupposti per la definizione del giudizio con sentenza in forma semplificata.

Sul punto, va richiamata la consolidata giurisprudenza che considera tale censura – con la quale, in sostanza, si lamenta l’insussistenza della situazione di manifesta fondatezza o infondatezza del ricorso – infondata, atteso che essa si risolve nel lamentare un difetto di motivazione della sentenza impugnata che non rileva nel giudizio d’appello, giacché l’effetto devolutivo di quest’ultimo consente al giudice di appello di provvedere sulle domande, eventualmente integrando la motivazione mancante (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 29 dicembre 2009, nr. 9007; Cons. Stato, sez. V, 19 dicembre 2009, nr. 7259).

4.1. Con una prima subcensura del secondo motivo, parte appellante richiama la pregressa giurisprudenza della Sezione secondo cui l’applicabilità della sanzione pecuniaria di cui all’art. 15 della legge nr. 1497 del 1939 anche dopo il rilascio della concessione in sanatoria vale solo per le fattispecie successive all’entrata in vigore della legge 23 dicembre 1996, nr. 662, il cui art. 2, comma 46, ha chiarito per la prima volta, ai fini che qui interessano, la distinzione tra illecito edilizio e violazione paesaggistica (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 30 giugno 2003, nr. 3931).

Ciò premesso, l’istante assume che tale principio comporterebbe l’illegittimità degli atti qui impugnati, essendo la vicenda anteriore all’entrata in vigore della predetta legge nr. 662 del 1996.

La doglianza è innanzi tutto inammissibile, essendo stata articolata per la prima volta in appello, e contrastando quindi col divieto di nova di cui all’art. 104, cod. proc. amm.

Al di là di ciò, la censura è anche infondata, atteso che il riferimento alle "fattispecie" anteriori all’entrata in vigore della legge nr. 662 del 1996, nell’indirizzo sopra richiamato, va inteso con richiamo non già alla data di realizzazione dell’abuso, ma a quella del rilascio della concessione in sanatoria: infatti, la regola enunciata dalla Sezione concerne gli effetti sull’irrogabilità della sanzione amministrativa della concessione in sanatoria, di modo che è ovvio che la data rilevante ai fini della sua applicazione è – appunto – quella della sanatoria.

Orbene, nel caso che occupa la concessione edilizia risulta incontestatamente rilasciata nel 1998, in epoca quindi ben successiva a quella costituente il discrimine temporale per l’applicabilità della sanzione pecuniaria di cui all’art. 15 della legge nr. 1497 del 1939.

4.2. Priva di pregio è anche l’ulteriore subcensura con la quale, muovendo da una concezione risarcitoria della sanzione de qua, l’appellante assume la non debenza della stessa alla luce del giudizio di "non danno" ambientale e paesaggistico espresso dalla Provincia di Verona nel ricordato nulla osta rilasciato ai fini della sanatoria.

Al contrario, è ormai jus receptum che l’indennità prevista dall’art. 15, l. 29 giugno 1939, nr. 1497, è una sanzione amministrativa, e non una forma di risarcimento del danno e, come tale, si concreta in un atto dovuto, che prescinde dalla sussistenza effettiva di un danno ambientale; quest’ultimo, unitamente al profitto conseguito, rileva solo come parametro alternativo per la commisurazione del quantum della sanzione, che deve avvenire in via sostanzialmente equitativa ed essere ricollegata ad una stima tecnica di carattere generale, insuscettibile di una dimostrazione articolata ed analitica, sfuggendo il danno paesistico, per la sua intrinseca natura, ad una indagine dettagliata e minuta (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 14 aprile 2010, nr. 2083; id., 12 marzo 2009, nr. 1464; id., 25 novembre 2003, nr. 7765).

5. Più serio è il terzo motivo d’appello, col quale è nuovamente sollevata la questione della prescrizione della sanzione amministrativa in questione per intervenuto decorso del termine quinquennale di cui all’art. 28 della legge 24 novembre 1981, nr. 689.

Al riguardo, peraltro, la Sezione è dell’avviso che le conclusioni del primo giudice, nel senso del mancato verificarsi della prescrizione, siano da confermare ancorché sulla base di diversa motivazione.

Ed invero, va preliminarmente richiamato il prevalente orientamento per cui, premessa la sicura applicabilità alle sanzioni in materia urbanistica della prescrizione di cui all’art. 28 citato, nonché la necessità che il dies a quo del termine prescrizionale sia individuato alla data di cessazione della permanenza dell’illecito paesaggistico, laddove risulti che il responsabile della violazione non si è limitato a munirsi del parere endoprocedimentale in materia paesaggistica, ma abbia concluso positivamente la procedura di condono, il provvedimento di concessione in sanatoria non può non determinare la cessazione delle permanenza anche dell’illecito paesaggistico (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 12 marzo 2009, nr. 1464; Cons. Stato, sez. II, 9 aprile 2008, nr. 708/05; Cons. Stato, sez. IV, 11 aprile 2007, nr. 1585; Cons. Stato, sez. V, 13 luglio 2006, nr. 4420; C.g.a.r.s., 2 marzo 2006, nr. 79).

Ciò premesso, nella specie il T.A.R. ha ritenuto che il dies a quo del termine prescrizionale corrispondesse non già a quello di adozione della concessione in sanatoria, bensì a quello di notifica dello stesso all’interessato, avvenuta dopo un lasso di tempo di 15 giorni sufficiente a escludere che la prescrizione possa essere maturata; tale ricostruzione è certamente errata, in quanto se è vero – come detto – che il decorso del termine di prescrizione è ancorato alla cessazione della situazione di antigiuridicità della condotta, ne consegue con evidenza che tale evento si realizza col rilascio del titolo in sanatoria ed indipendentemente dalla sua notifica all’interessato.

Tuttavia, nel caso di specie – come rilevato dall’Amministrazione appellata – se è vero che detto termine ha iniziato a decorrere in data 8 aprile 1998 (allorché la concessione fu sottoscritta dal dirigente responsabile), risulta per tabulas che esso è stato interrotto dalla comunicazione di avvio del procedimento applicativo della sanzione, notificata all’interessato in data 2 gennaio 2002, di tal che alla data (8 aprile 2003) di adozione del provvedimento impugnato l’effetto estintivo certamente non si era prodotto.

Infatti, premesso che il comma 2 del citato art. 28 della legge nr. 689 del 1981 rinvia alle regole civilistiche in materia di interruzione della prescrizione, va ribadito che in tema di sanzioni amministrative ogni atto del procedimento previsto dalla legge per l’accertamento della violazione e per l’irrogazione della sanzione ha la funzione di far valere il diritto dell’Amministrazione alla riscossione della pena pecuniaria, in quanto, costituendo esercizio della pretesa sanzionatoria, è idoneo a costituire in mora il debitore ai sensi dell’art. 2943 c.c., con conseguente effetto interruttivo della prescrizione (cfr. Cass. civ., sez. II, 18 gennaio 2007, nr. 1081; Cass. civ., sez. I, 9 marzo 2006, nr. 5063; id., 17 marzo 2005, nr. 5798).

6. Col quarto mezzo, l’appellante in sostanza reitera la doglianza di violazione del principio di alternatività di cui al più volte citato art. 15 della legge nr. 1497 del 1939, in ragione del quale all’Amministrazione comunale sarebbe stata preclusa l’applicazione della sanzione pecuniaria dopo che l’interessato aveva proceduto al "riordino ambientale", e quindi alla restitutio in integrum dello stato dei luoghi.

Anche tale motivo è infondato, atteso che – come correttamente rilevato dal primo giudice – non risponde al vero quanto affermato dall’istante, secondo cui il predetto riordino avrebbe costituito condizione cui il Comune aveva subordinato il rilascio della sanatoria, essendosi l’Amministrazione limitata ad assentire l’intervento autonomamente proposto dall’interessato: insomma, risulta dagli atti che la sanatoria era del tutto avulsa dagli interventi di riordino, che l’odierno appellante eseguì a seguito di una propria autonoma e personale determinazione.

7. Sotto tale ultimo profilo, va peraltro rilevato come la doglianza da ultimo esaminata avrebbe potuto (e dovuto) esser fatta valere già impugnando il precedente provvedimento nr. 442 del 1997, di determinazione dell’entità della sanzione pecuniaria, nei cui confronti il primo giudice ha dichiarato la tardività dell’impugnazione.

Tale declaratoria è del tutto condivisibile, dovendo respingersi i contrari argomenti sviluppati nel sesto motivo d’appello: in particolare, non può condividersi l’assunto di parte appellante in ordine al carattere non lesivo del decreto del 1997 (essendosi la lesione consumata soltanto col successivo provvedimento del 2003, di concreta irrogazione della sanzione), essendo del tutto evidente che già con esso decreto l’Amministrazione palesò in modo inequivoco l’intento di applicare all’intervento de quo la sanzione di cui all’art. 15 della legge nr. 1497 del 1939, procedendo anche a fissarne il quantum con determinazione che senza dubbio incideva negativamente sulla sfera giuridica del destinatario.

8. Infine, merita reiezione anche il quinto motivo d’appello, col quale sono reiterate le censure svolte in primo grado nel merito della quantificazione della sanzione pecuniaria per cui è causa.

Al riguardo, va rilevato che parte appellante non riesce in alcun modo a dimostrare l’erroneità o l’incongruenza della somma come computata dal Comune, limitandosi ad argomenti ancora una volta incentrati sull’asserita assenza di danno per l’ambiente e per il paesaggio, e per i quali dunque va nuovamente richiamato quanto sopra osservato sub 4.2 in ordine alla natura della sanzione ex art. 15, l. nr. 1497/39 ed alle modalità della sua quantificazione.

9. Alla luce dei rilievi fin qui svolti, s’impone una decisione di reiezione del gravame e di integrale conferma della sentenza impugnata.

10. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate equitativamente in dispositivo.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata.

Condanna l’appellante al pagamento, in favore del Comune di Verona, delle spese del presente grado del giudizio, che liquida in euro 3000,00 oltre accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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