Cass. civ. Sez. I, Sent., 05-05-2011, n. 9986 Diritti politici e civili Danno non patrimoniale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con decreto del 6 giugno – 6 luglio 2008 la Corte d’Appello di Napoli rigettava la domanda di e qua riparazione in misura di Euro 15.000,00 richiesti per la non ragionevole durata del processo promosso da D. R.A. con ricorso del 6 dicembre 1991 dinanzi al Tribunale Amministrativo Regionale della Campania per ottenere il riconoscimento del suo inquadramento dalla data dell’assunzione nei Centri di Formazione Professionale o, in via subordinata, dalla data di entrata in vigore della L.R. n. 32 del 1984, o infine, dalla data di effettiva assunzione presso la Regione Campania, ricorso tuttora pendente. Osservava la Corte che la istante non aveva mai assunto alcuna iniziativa per ottenere la definizione del procedimento e ciò valeva a escludere uno stato di disagio tale da integrare un pregiudizio non patrimoniale suscettibile di indennizzo.

Contro il decreto ricorre per cassazione D.R.A. con quattro motivi.

Resiste con controricorso il Ministero dell’Economia e delle Finanze.
Motivi della decisione

Con i quattro motivi di ricorso, che per la loro stretta connessione sono suscettibili di trattazione unitaria, la D.R. censura sotto vari profili di violazione di legge e vizio di motivazione il decreto impugnato per aver posto a fondamento della sua statuizione di rigetto la consapevolezza dell’infondatezza della pretesa dedotta nel giudizio presupposto desumendola dal comportamento inerte espresso dalla mancata presentazione di istanze di prelievo o di prosecuzione del giudizio, e ciò in assenza di specifiche eccezioni, deduzioni e prove parte dell’Amministrazione resistente.

Le censure sono fondate e meritano accoglimento seppur con le precisazioni che seguono.

In materia un primo orientamento giurisprudenziale sostiene che la presenza di circostanze atte ad escludere il pregiudizio non patrimoniale – come, ad esempio, la proposizione di una lite temeraria, la artata resistenza in giudizio al solo fine di perseguire il riconoscimento dell’equa riparazione, ovvero la piena consapevolezza dell’infondatezza o dell’inammissibilità della pretesa fatte valere in giudizio – costituiscono deroga al principio generale secondo cui tale pregiudizio si verifica normalmente come conseguenza della violazione della regola della durata ragionevole del processo e debbono perciò essere eccepite e provate dall’Amministrazione convenuta (Cass. 29 marzo 2006, n. 7139).

Tale orientamento non incontra tuttavia assoluto consenso poichè si è rilevato che l’abuso del processo, che esclude ogni indennizzo, non costituisce oggetto di una eccezione in senso proprio, come fatto impeditivo della pretesa dedotta in giudizio, ma può essere posto dal giudice a fondamento della sua pronuncia di rigetto tutte le volte che gli elementi rilevanti ai fini della prova delle circostanze anzidette siano stati ritualmente acquisiti al processo o attengano al notorio, poichè essi entrano a far parte del materiale probatorio che il giudice può liberamente valutare, fornendo comunque al riguardo corretta e congrua motivazione (Cass. 9 aprile 2010, n. 8513).

Ne consegue che al comportamento inerte della D.R. nel giudizio dinanzi al giudice amministrativo non può essere attribuita valenza di indubitabile espressione della assoluta consapevolezza dell’infondatezza o dell’inammissibilità della pretesa azionata poichè, com’è noto, il termine di durata del processo amministrativo va calcolato facendo riferimento al periodo intercorso sin dall’instaurazione del procedimento senza che una tale decorrenza del termine ragionevole di durata della causa possa subire ostacoli o slittamenti in relazione alla mancata proposizione dell’istanza di prelievo o alla ritardata presentazione di essa poichè – come è stato precisato – la previsione di strumenti sollecitatori non sospende nè differisce il dovere dello Stato di pronunciare sulla domanda in caso di mancato esercizio degli stessi, nè implica il trasferimento sul ricorrente della responsabilità per il superamento del termine ragionevole per la definizione del giudizio, salva restando la valutazione del comportamento della parte al solo fine dell’apprezzamento dell’entità del lamentato pregiudizio (SS. UU. 23 dicembre 2005, n. 28507, e successiva giurisprudenza conforme).

Ciò chiarito, poichè non è contestata la durata del processo presupposto e non sono perciò necessari ulteriori accertamenti di fatto, può passarsi alla determinazione dell’importo spettante alla ricorrente a titolo di equa riparazione, tenuto conto del fatto che nei giudizi dinanzi ai giudici amministrativi e contabili esso viene liquidato, in conformità dei parametri adottati dalla giurisprudenza della Corte europea, in misura di Euro 500,00 per ogni anno di durata del processo presupposto (Cass. 18 giungo 2010, n. 14754, e successiva giurisprudenza conforme) e pertanto, in adesione a tale orientamento, l’equa riparazione spettante alla ricorrente deve essere liquidata nella somma di Euro 7.650,00, con gli interessi dalla domanda.

Le spese giudiziali del doppio grado seguono la soccombenza previa compensazione nella misura della metà in considerazione dell’accoglimento solo parziale della domanda.
P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa il decreto impugnato e, pronunziando nel merito, condanna il Ministero dell’Economia e delle Finanze al pagamento della somma di Euro 7.650,00 con gli interessi dalla domanda, nonchè al pagamento delle spese giudiziali del doppio grado che, previa compensazione nella misura della metà, liquida per la restante metà in complessivi Euro 725,00, di cui Euro 300,00 per diritti e 400,00 per onorari per il giudizio di merito e in ulteriori complessivi Euro 550,00, di cui Euro 500,00 per onorari, per il giudizio di cassazione.

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