Cass. civ. Sez. I, Sent., 05-05-2011, n. 9983 Diritti politici e civili

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso depositato il 13 ottobre 2006 M.P. riassumeva davanti alla Corte di appello di Caltanissetta il giudizio di rinvio disposto da questa Corte di Cassazione con la sentenza n. 7668 del 31 marzo 2006, con cui era stato cassato il decreto del 15 novembre 2002 della stessa Corte di appello, che – pronunciando sulla domanda del M. per il riconoscimento del diritto all’equa riparazione dei danni morali e patrimoniali cagionatigli dall’irragionevole durata di due giudizi civili da lui promossi davanti al Tribunale di Palermo, rispettivamente il 2 luglio 1979, per il risarcimento dei danni subiti a causa di un incidente stradale e, l'(OMISSIS), per la convalida del sequestro conservativo a garanzia del relativo credito, conclusi, dopo essere stati riuniti nel giudizio di appello svoltosi davanti alla Corte di Appello di Palermo, con la sentenza di questa Corte del febbraio 2001 – aveva determinato in sei anni e quattro mesi il periodo complessivo eccedente la durata ragionevole del giudizio di primo e di secondo grado e di quello di cassazione e liquidato equitativamente l’indennità per il solo danno non patrimoniale in 12.000 Euro, con ali interessi dalla domanda. Con la sentenza di cassazione erano fissati i criteri ai quali il giudice di rinvio doveva uniformarsi ai fini della determinazione del periodo di durata irragionevole del procedimento presupposto iniziato nel 1979 e concluso nel 2001.

La Corte di appello di Caltanissetta, con decreto del 21 dicembre 2007, condannava il Ministero della Giustizia al pagamento della somma di 17.000 Euro, con gli interessi legali dalla domanda, in favore del M., a titolo di indennità per il danno morale, nonchè al rimborso, in favore dello stesso, delle spese di entrambi i giudizi di merito e di quello di cassazione.

La Corte di rinvio – dopo aver indicato analiticamente le varie tappe in cui si era articolato il procedimento presupposto, che, a suo avviso aveva presentato "certamente aspetti di rilevante complessità, anche in relazione al rilevato numero di parti" – riteneva di determinare in sette anni il periodo eccedente la durata ragionevole, fissata in tre anni, per entrambi i giudizi di primo grado, durati (quello per il risarcimento del danno) dal 1980 al 1990 e (quello per la convalida del sequestro) dal 1979 al 1990; in due anni il periodo eccedente la durata ragionevole, fissata in due anni, del giudizio di appello, durato dall’inizio del 1992 al 25 novembre 1996; e in un anno il periodo eccedente la durata ragionevole, fissata in un anno, "per il giudizio di cassazione, durato dall’inizio del 1998 alla prima udienza del 9 novembre 2000";

valutando conclusivamente "in diciassette anni la durata eccessiva e irragionevole" (del procedimento presupposto), "detratti tutti i periodi in cui era stata svolta attività istruttoria e quelli coincidenti con rinvii su richiesta della parte, per entrambi i giudizi, considerato che, nella fase di appello e nel giudizio di cassazione, il processo e(ra) stato unico". Rilevato, poi, che "la prova del danno patrimoniale, a differenza di quanto accade per il danno non patrimoniale, doveva essere rigorosa doveva essere fornita dalla parte" fissava l’indennità per il danno morale in 1.000 Euro per ogni anno del periodo eccedente la durata ragionevole di ciascun grado del procedimento presupposto.

Il M. ha proposto ricorso per cassazione, deducendo tre motivi.

Il Ministero della Giustizia ha resistito con controricorso.

Il ricorrente ha presentato anche una memoria.
Motivi della decisione

Con il primo motivo – denunciando la violazione e la falsa applicazione della legge n. 89 del 2001 e dell’art. 6, par. 1, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 5, la contraddittorietà e la mancanza di motivazione su un punto decisivo della controversia e "l’errore nella determinazione del periodo eccedente la ragionevole durata – il ricorrente si duole che la Corte del merito abbia fissato la durata del giudizio di primo grado in dieci anni (dal 1980 al 1990), mentre lo stesso giudizio ha durato effettivamente undici anni (dal 2 luglio 1979 al 2 luglio 1990), per cui il periodo della sua durata ragionevole sarebbe dovuto essere determinato in ottone non in sette,anni; e abbia affermato che il giudizio relativo ai due appelli, proposti con atti separati, aveva avuto la stessa durata, mentre uno di essi era stato introdotto il 14 novembre 1990 e l’altro il 2 luglio 1991, per cui la durata irragionevole del primo era stata di tre anni e quattro mesi e non di due anni.

Il motivo è inammissibile. Non tanto perchè – come eccepito dal Ministero resistente – siano stati dedotti, con un’unica censura, il vizio di violazione e falsa applicazione di legge e quello di difetto di motivazione giacchè è evidente che il ricorrente, malgrado l’imprecisa formulazione dell’epigrafe della censura, ha inteso dedurre soltanto la contraddittorietà e l’omissione della motivazione, come è confermato sia dal riferimento al vizio previsto dal n. 5, e non anche dal n. 3, dell’art. 360 cod. proc. civ., sia dal testo del quesito conclusivo), quanto perchè la Corte del merito, pur essendo indiscutibilmente incorsa nei due errori denunciati dal ricorrente, ha determinato il periodo complessivo di irragionevole durata del procedimento presupposto in diciassette anni, invece dei quindici anni e quattro mesi (undici anni per il giudizio di primo grado + tre anni e quattro mesi per il giudizio di appello + un anno per il giudizio di cassazione) che avrebbe dovuto stabilire se non avesse commesso gli errori denunciati, con il conseguente difetto di interesse nel ricorrente a proporre il motivo, non potendo derivargli dal suo accoglimento alcun vantaggio pratico.

Il secondo motivo – con il quale il ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione della L. n. 89 del 2001 e dell’art. 6, par.

1, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 3, per avere la Corte del merito considerato, agli effetti della determinazione del periodo eccedente la durata ragionevole, come un unico procedimento, sia per il giudizio di appello che per quello di cassazione, i due procedimenti originari riuniti solo dopo l’udienza di discussione del giudizio di appello relativo alla convalida del sequestro conservativo – è manifestamente infondato, avendo avuto i detti procedimenti, tra loro strettamente connessi, uno svolgimento parallelo nel giudizio di appello e del tutto unitario in quello di cassazione, sicchè la loro durata è stata correttamente valutata come unitaria dai giudici di merito, i quali hanno, peraltro, tenuto conto di entrambi i procedimenti quando hanno ravvisato nel procedimento presupposto, considerato come un procedimento unitario includente sia la domanda risarcitoria sia quella di convalida di sequestro conservativo, "aspetti di particolare) complessità".

Anche il terzo motivo – con il quale, denunciando la violazione e la falsa applicazione della L. n. 89 del 2001 e dell’art. 6, par. 1, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 5, l’omessa motivazione su un punto decisivo della controversia e "l’errore di calcolo nella determinazione dell’eccedenza", il ricorrente si duole che la Corte nel merito non abbia fornito alcuna motivazione sulla determinazione dell’indennità per ciascun anno di ritardo nella somma di 1.000, anzichè di 1.500 Euro, e non abbia tenuto conto della duplicità dei procedimenti presupposti ai fini della determinazione del numero degli anni eccedenti la durata ragionevole dei due procedimenti presupposti – è privo di ogni fondamento.

In ordine alla prima censura basta rilevare che la determinazione della misura dell’indennità per ciascun anno di ritardo rientra nella discrezionalità del giudice di merito, sempre che non siano stati disattesi i parametri fissati dalla Corte europea di giustizia ai quali il giudice nazionale è tenuto ad uniformarsi, e non può, quindi, formare oggetto di alcuna censura in sede di legittimità, sempre che – come è avvenuto nel caso in esame – quel giudice abbia dimostrato di aver valutato tutti gli aspetti, compresa la durata complessiva del ritardo, del procedimento presupposto.

Quanto all’altra censura – che si risolve in una sostanziale reiterazione di quella prospettata con il secondo motivo – è sufficiente richiamare, per ribadirne l’infondatezza, quanto è già stato osservato in relazione a quel motivo.

Non può, infine, prendersi in considerazione la doglianza sull’erroneità della motivazione in ordine all’asserita mancanza di prove del danno patrimoniale dedotta soltanto con la memoria presentata ai sensi dell’art. 378 cod. proc. civ., non essendo consentito con tale memoria, destinata esclusivamente ad illustrare censure già compiutamente formulate nel ricorso, ampliarne o integrarne il contenuto con nuove censure.

Il ricorso deve, perciò, essere rigettato, con la conseguente condanna del ricorrente soccombente al rimborso, in favore del Ministero della Giustizia, delle spese del giudizio di cassazione, liquidate come nel dispositivo.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso, in favore del Ministero della Giustizia, delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro ottocento per onorario, oltre alle spese prenotate a debito.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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