Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 20-01-2011) 04-03-2011, n. 8782

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 28 Aprile 2010, il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Modena, decidendo su un numero elevato di posizioni processuali, ha applicato al Sig. M. la pena di tre anni di reclusione e Euro 3.000,00 di multa e al Sig. P. la pena di quattro anni di reclusione e Euro 3.000,00 di multa in relazione a plurime violazioni della L. n. 75 del 1958, artt. 3 e 4 per fatti commessi dal (OMISSIS) (capi 1, 2 e 7).

Avverso tale decisione entrambi gli imputati hanno proposto ricorso con atti separati.

Il Sig. P. lamenta, con unico motivo, la carenza di motivazione della sentenza sia in ordine alla qualificazione giuridica del fatto si in ordine alla congruità della pena oggetto della proposta di applicazione.

11 Sig. M. prospetta due profili di censura. Col primo lamenta l’assenza totale di motivazione in ordine alla determinazione della pena. Con il secondo lamenta l’assenza di motivazione con riferimento al l’applicazione delle circostanze attenuanti.

Con memoria depositata il 14 gennaio 2011 il ricorrente lamenta la infondatezza della ipotesi di inammissibilità del proprio ricorso prospettata dal Procuratore generale in sede di conclusioni.
Motivi della decisione

1. Ritiene la Corte che il ricorso del Sig. P. sia viziato da genericità e manifestamente infondato.

I limiti che la giurisprudenza ha fissato circa l’interpretazione degli artt. 129 e 444 c.p.p. e circa l’obbligo di motivazione del giudice sono ormai costanti a far data dalla decisione delle Sezioni Unite Penali n. 10732 del 27 settembre-18 dicembre 1995, Serafino (rv 202270), che ha affermato il principio secondo cui la motivazione può limitarsi a dare conto degli estremi del materiale probatorio depositato in atti dal cui esame il giudice ha tratto la convinzione che non emergono gli estremi della dichiarazione di non procedibilità prevista dall’art. 129 c.p.p., così che in presenza dell’accordo delle parti non sono necessari ulteriori approfondimenti (Sezioni Unite Penali, sentenza n.3 del 1999, udienza 25 Novembre 1998, Messina, rv 212437).

Da tali e consolidati principi la giurisprudenza ha fatto seguire il principio che le parti che hanno sottoscritto e proposto l’accordo sull’applicazione della pena che il giudice abbia accolto non sono legittimate a mettere in discussione mediante successiva impugnazione i presupposti dell’accordo medesimo (principio costantemente affermato a far data dalla sentenza della Prima Sezione Penale n. 1549 del 1995, Sinfisi, rv 201160), con la conseguenza che il controllo di legittimità in ordine alla sentenza di applicazione della pena può avere ad oggetto la motivazione soltanto nel caso che dal provvedimento emerga l’evidenza dell’esistenza di una delle condizioni indicate dall’art. 129 c.p.p. (per tutte, sentenza della Terza Sezione Penale n.2309 del 1999, Bonacchi, rv 215071).

Ciò non significa che la motivazione del giudice possa ridursi ad un mero esercizio di stile, ma è evidente che essa risulta correttamente proposta allorquando la sentenza di applicazione della pena dia conto del materiale probatorio rilevante ai fini della decisione e dell’avvenuto controllo circa l’assenza delle cause di non punibilità previste dall’art. 129 c.p.p., essendo, piuttosto, onere del ricorrente il fornire puntuale indicazione dell’eventuale errore che assuma compiuto dal giudicante. Posto che nel caso di specie la motivazione non appare meritevole di censure e che il ricorrente non ha provveduto a dedurre doglianze specifiche, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., di sostenere le spese del procedimento.

Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza "versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 1.500,00 in favore della Cassa delle Ammende.

2. Il Sig. M. ha prospettato in modo più articolato rispetto al coimputato l’esistenza di vizi della motivazione della sentenza impugnata.

Osserva la Corte, quanto al secondo motivo di ricorso, che la motivazione della sentenza reca a pagina due la indicazione degli imputati che risultano meritevoli della concessione delle circostanze attenuanti generiche e delle ragioni specifiche di tale soluzione, così come indica quali siano gli imputati che possono beneficiare della sospensione condizionale della pena. Tale indicazione consente di comprendere le ragioni per cui agli odierni ricorrenti non è stata applicata la circostanza attenuante oggetto della censura proposta dal Sig. M., censura che risulta dunque infondata.

Infondato deve essere considerato anche il primo motivo di ricorso.

Quanto al primo motivo di ricorso, la Corte rileva che al Sig. M. a differenza del coimputato P., è stata contestata con un unico capo di imputazione la commissione di un reato continuato ex L. n. 75 del 1958, artt. 3 e 4. Pur difettando in motivazione i passaggi relativi al calcolo della pena, appare evidente il richiamo alla richiesta di applicazione proposta dal ricorrente e successivamente assentita dal Pubblico Ministero. Del resto, il ricorrente non contesta la corrispondenza della pena a quanto è stato oggetto dell’accordo tra le parti processuali che il giudicante ha ritenuto di recepire.

Il ricorso deve, dunque, essere rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese del presente grado di giudizio, ai sensi dell’art. 616 c.p.p..
P.Q.M.

Rigetta il ricorso di M.D., che condanna al pagamento delle spese processuali. Dichiara inammissibile il ricorso di P.V., che condanna al pagamento delle spese processuali, nonchè al versamento della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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