Cass. civ. Sez. I, Sent., 05-05-2011, n. 9976 Divorzio

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso in data 14-02-2000, D.A. chiedeva dichiararsi la cessazione degli effetti civili del matrimonio da lui contratto con D.G.I., a seguito di separazione consensuale tra essi intercorsa.

Costituitosi il contraddittorio, la D.G. chiedeva assegno per sè.

Il Tribunale di Pescara, con sentenza in data 25-10-2003 / 11-2-2004, dichiarava la cessazione degli effetti civili del matrimonio e condannava il D. al pagamento di assegno mensile per la moglie.

Proponeva appello il D. in punto assegno.

Costituitosi il contraddittorio, la D.G. chiedeva rigettarsi l’appello e, in via incidentale l’attribuzione della quota dell’indennità di fine rapporto, d’Appello dell’Aquila, con sentenza in data 24-01-2006, rigettava l’appello principale e dichiarava inammissibile quello incidentale.

Ricorre per cassazione il D., sulla base di quattro motivi.

Resiste, con controricorso, la D.G., che pure deposita memoria per l’udienza.
Motivi della decisione

Con il primo motivo, il D. lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 5, comma 6, L. divorzio, in relazione ai presupposti per l’attribuzione dell’assegno. Con il secondo, sostiene il ricorrente violazione dell’art. 2697 c.c. stante la mancata ovvero erronea prospettazione e valutazione di elementi idonei a rappresentare il tenore di vita dei coniugi in costanza di matrimonio. Con il terzo, lamenta omessa motivazione in ordine alla situazione economica delle parti. Con il quarto, infine, censura illogicità e contraddittorietà di motivazione, nella parte in cui la sentenza impugnata considera come esibita una prova fondamentale in realtà mancante (la dichiarazione dei redditi più recente della D.G., inerente all’anno 1999).

I primi tre motivi possono trattarsi congiuntamente per le reciproche connessioni tra essi. Afferma il ricorrente che il giudice avrebbe disposto l’assegno per riportare in parità i redditi dei coniugi, considerata la loro esigua differenziazione.

Al contrario, il Giudice a quo fa corretta applicazione dei presupposti di legge relativi all’assegno di divorzio e richiama la giurisprudenza consolidata di questa Corte per cui l’inadeguatezza dei mezzi va rapportata al tenore di vita goduto durante la convivenza matrimoniale.

E’ bensì vero che il divario delle condizioni economiche dei coniugi al momento della domanda di divorzio non è di per se sufficiente presupposto per l’attribuzione dell’assegno (sul punto, tra le altre, Cass. n. 5194/97), ma è altrettanto vero – e a tale orientamento di questa Corte il Giudice di appello fa esplicito richiamo – che il Giudice, in mancanza di prova da parte del richiedente, può fare riferimento, quale elemento presuntivo di valutazione del pregresso tenore di vita, alla documentazione attinente i redditi delle parti (al riguardo, tra le altre, Cass. 13169/04).

Nella specie – aggiunge il giudice a quo – i redditi delle parti, traendo origine dalle rispettive prestazioni di lavoro subordinato, hanno avuto nel tempo sviluppo presumibilmente analogo, e dunque è da ritenere – secondo la corte di merito – che analoghe differenze sussistessero al momento di cessazione della convivenza.

Non si ravvisa dunque, per quanto osservato, violazione della L. divorzio, art. 5, art. 2697 c.c. Quanto alla situazione economica delle parti, il giudice a quo fornisce motivazione congrua e non illogica. Egli afferma che il divario tra i redditi delle parti è piuttosto elevato, a favore del marito, evidenzia che il D. ha percepito l’indennità di fine rapporto, mentre la D.G. ancora lavora. Sostiene l’irrilevanza dell’acquisto dì un appartamento da parte della moglie, ai fini della valutazione dei rispettivi redditi, dovendo essa pagare i ratei di mutuo, analoghi a quelli che dovrebbe corrispondere, ove fosse conduttrice di un alloggio. Tutte valutazioni di fatto, congrue e non illogiche, insuscettibili di controllo in questa sede.

Per quanto si è osservato, i primi tre motivi vanno rigettati, in quanto infondati.

Quanto alla mancata produzione della dichiarazione dei redditi della D.G., redatta nel 2000 e riferita all’anno precedente, afferma il ricorrente che la Corte di merito è caduta in equivoco, ritenendo prodotta una dichiarazione, al contrario mancante: nulla dice peraltro il D. sulla rilevanza, ai fini del decidere, del documento asseritamente mancante (se, ad es. si ipotizzi un notevole aumento del reddito della D.G. per l’anno eventualmente non documentato). Va del resto precisato che il giudice a quo, nella ricostruzione del reddito della D.G., fa esplicito richiamo alla produzione, evidentemente alternativa, di buste paga riferite a quel periodo.

Al riguardo, dunque, il motivo va dichiarato inammissibile.

Conclusivamente, il ricorso va rigettato.

Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in Euro 2.000,00 per onorari ed Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.

A norma del D.L. n. 196 del 2003, art. 52, in caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi delle parti, dei minori e dei parenti.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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