Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 11-01-2011) 04-03-2011, n. 8768 Motivi di ricorso

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Il Tribunale di Camerino, con sentenza del 1 dicembre 2009, ha confermato la sentenza del Giudice di pace di San Severino Marche del 18 maggio 2009 che aveva condannato M.M. alla pena di Euro 688,00 di multa per il delitto di lesioni personali in danno della moglie P.S..

2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per Cassazione l’imputato, a mezzo del proprio difensore, lamentandone:

a) il difetto assoluto di motivazione, l’omessa pronuncia sulle doglianze proposte con l’atto di appello e la manifesta illogicità;

b) l’inosservanza di norme processuali penali e l’inutilizzabilità della deposizione della parte offesa, assunta in violazione dell’art. 210 c.p.p., nonchè del certificato medico del 19 aprile 2006, non ammesso dal primo Giudice e pur tuttavia presente nel fascicolo processuale.
Motivi della decisione

1. Il ricorso è infondato e non merita accoglimento.

2. Come ribadito costantemente da questa Corte, pur dopo la nuova formulazione dell’art. 606 c.p.p., lett. e), novellato dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, art. 8, il sindacato del Giudice di legittimità sul discorso giustificativo del provvedimento impugnato deve essere volto a verificare che la motivazione della pronunzia:

a) sia "effettiva" e non meramente apparente, ossia realmente idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione adottata;

b) non sia "manifestamente illogica", in quanto risulti sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori nell’applicazione delle regole della logica;

c) non sia internamente contraddittoria, ovvero sia esente da insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilità logiche tra le affermazioni in essa contenute;

d) non risulti logicamente "incompatibile" con "altri atti del processo" (indicati in termini specifici ed esaustivi dal ricorrente nei motivi posti a sostegno del ricorso per Cassazione) in termini tali da risultarne vanificata o radicalmente inficiata sotto il profilo logico.

Non è, dunque, sufficiente che gli atti del processo invocati dal ricorrente siano semplicemente "contrastanti" con particolari accertamenti e valutazioni del giudicante o con la sua ricostruzione complessiva e finale dei fatti e delle responsabilità, nè che siano astrattamente idonei a fornire una ricostruzione più persuasiva di quella fatta propria dal giudicante.

Ogni giudizio, infatti, implica l’analisi di un complesso di elementi di segno non univoco e l’individuazione, nel loro ambito, di quei dati che – per essere obiettivamente più significativi, coerenti tra loro e convergenti verso un’unica spiegazione – sono in grado di superare obiezioni e dati di segno contrario, di fondare il convincimento del Giudice e di consentirne la rappresentazione, in termini chiari e comprensibili, ad un pubblico composto da lettori razionali del provvedimento.

E’, invece, necessario che gli atti del processo richiamati dal ricorrente per sostenere l’esistenza di un vizio della motivazione siano autonomamente dotati di una forza esplicativa o dimostrativa tale che la loro rappresentazione sia in grado di disarticolare l’intero ragionamento svolto dal giudicante e determini al suo interno radicali incompatibilità, così à a vanificare o da rendere manifestamente incongrua o contraddittoria la motivazione.

Il Giudice di legittimità è, pertanto, chiamato a svolgere un controllo sulla persistenza o meno di una motivazione effettiva, non manifestamente illogica e internamente coerente, a seguito delle deduzioni del ricorrente concernenti "atti del processo".

Tale controllo, per sua natura, è destinato a tradursi – anche a fronte di una pluralità di deduzioni connesse a diversi "atti del processo" e di una correlata pluralità di motivi di ricorso – in una valutazione, di carattere necessariamente unitario e globale, sulla reale "esistenza" della motivazione e sulla permanenza della "resistenza" logica del ragionamento del giudice.

Al Giudice di legittimità resta, infatti, preclusa, in sede di controllo sulla motivazione, la pura e semplice rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, preferiti a quelli adottati dal giudice di merito, perchè ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa.

Queste operazioni trasformerebbero, infatti, la Corte nell’ennesimo Giudice del fatto e le impedirebbero di svolgere la peculiare funzione assegnatale dal legislatore di organo deputato a controllare che la motivazione dei provvedimenti adottati dai giudici di merito (a cui le parti non prestino autonomamente acquiescenza) rispetti sempre uno standard di intrinseca razionalità e di capacità di rappresentare e spiegare l’iter logico seguito dal giudice per giungere alla decisione.

Orbene, nel caso di specie, non si ravvisa alcuna manifesta illogicità nella motivazione del Giudice del merito, avendo, da un lato, il giudicante perfettamente risposto alle asserzioni defensionali dell’imputato ed avendo, d’altra parte, riscontrato la deposizione testimoniale della parte offesa secondo quanto imposto dalla costante giurisprudenza di legittimità sul punto (v. punti 4.1 e 4.2 della motivazione con la giurisprudenza di legittimità ivi citata sul punto della deposizione della parte lesa a cui può aggiungersi, da ultimo Cass. Sez. 1, 24 giugno 2010 n. 29372).

Eccessivamente enfatizzato, inoltre, è il rilievo dato nell’odierno ricorso al precedente certificato medico del 19 aprile 2006 che, effettivamente, era stato espunto dall’incarto processuale in quanto "inconferente" (v. udienza 2 marzo 2009) ma che dal Giudicante è stato utilizzato soltanto ad colorandum nell’esposizione dei fatti (v. punto 2.2 della motivazione) senza, peraltro, assurgere a prova decisiva ovvero esclusiva della penale responsabilità dell’imputato (v. punto 4. della motivazione).

3. Del pari infondato è l’ulteriore motivo del ricorso, in merito all’inutilizzabilità della deposizione della parte offesa in quanto assunta in violazione dell’art. 210 c.p.p.: da un lato, non si evidenzia affatto l’esistenza dei presupposti di legge per l’applicazione di tale disposizione (qualità d’imputato di un reato connesso) nè, d’altra parte, tale circostanza risulta correttamente evidenziata dall’odierno ricorrente.

In punto di diritto, si osserva come spetti al Giudice il potere di verificare nella sostanza – al di là del riscontro di indici formali, quali la già intervenuta o meno iscrizione nominativa nel registro delle notizie di reato – l’attribuibilità, al dichiarante, della qualità di indagato nel momento in cui le dichiarazioni stesse vengano rese.

Quanto al tipo e alla consistenza degli elementi apprezzabili dal Giudice al fine di verificare l’effettivo status del dichiarante, devono ritenersi rilevanti i soli indizi non equivoci di reità, sussistenti già prima dell’escussione del soggetto e conosciuti dall’autorità procedente (v. Cass. Sez. Un. 23 aprile 2009, n. 23868).

Il Giudice, infatti, per potere applicare la norma di cui all’art. 210 c.p.p., deve essere messo in condizione di conoscere la situazione di incapacità a testimoniare o di incompatibilità, le quali, quindi, se non risultano dagli atti inseriti nel fascicolo del dibattimento, devono essere dedotte dalla parte esaminata o comunque da colui che chiede l’audizione della persona imputata o indagata in un procedimento connesso o collegato (V. Cass. Sez. 3, 11 ottobre 2007, n. 40196).

L’originaria esistenza di gravi indizi di reità, inoltre, non può automaticamente farsi derivare dal solo fatto che i dichiaranti risultino essere stati in qualche modo coinvolti in vicende potenziavate suscettibili di dar luogo alla formulazione di addebiti penali a loro carico, occorrendo invece che tali vicende, per come percepite dall’autorità inquirente, presentino connotazioni tali da non poter formare oggetto di ulteriori indagini se non postulando necessariamente l’esistenza di responsabilità penali a carico di tutti i soggetti coinvolti o di taluni di essi.

Resta fermo, comunque, che la questione relativa alla sussistenza ab initio di indizi di reità a carico dell’interessato costituisce accertamento in punto di fatto che, in caso di congrua motivazione di parte del Giudice di merito, è sottratto al sindacato di legittimità (v. Cass. Sez. 3, 30 settembre 2003, n. 43135).

4. Il ricorso va, pertanto, rigettato e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali e di quelle sostenute dalla parte civile, liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali nonchè alla rifusione delle spese di P.C. che liquida complessivamente in Euro 1.200,00 oltre accessori come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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