Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 22-12-2010) 04-03-2011, n. 8701 Armi da taglio

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il ricorrente:

T.C.:

propone ricorso per Cassazione avverso la sentenza emessa in data 01.06.09 dalla Corte di appello di Roma che aveva riformato la sentenza di condanna emessa in data 06.06.08 dal Tribunale della stessa città, riducendo la pena nei confronti del ricorrente, imputato dei reati:

– di rapina, in concorso con altri, in danno di un istituto bancario, mediante l’uso di un taglierino con il quale minacciava i dipendenti della banca, impossessandosi così della somma di Euro 1.238, oltre che di assegni e di un orologio da polso di F.L.;

– di porto illecito del taglierino;

fatti del (OMISSIS), con la recidiva specifica reiterata infranquinquennale;

Nel presente ricorso il ricorrente deduce:

MOTIVI ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed. e).

1) – il ricorrente censura la decisione impugnata per violazione di legge;

al riguardo osserva che egli si trovava dapprima detenuto e poi sottoposto all’affidamento in prova con obbligo di risiedere presso la comunità terapeutica; difatti la cancelleria della Corte di appello aveva chiesto al magistrato di sorveglianza l’autorizzazione per il T. ad allontanarsi per presentarsi all’udienza del 27.03.09, nella quale il medesimo veniva dichiarato contumace; ma nessuna richiesta veniva inoltrata al magistrato di sorveglianza per la successiva udienza del 01.06.09 che, però, si teneva regolarmente senza considerare il legittimo impedimento a comparire dell’imputato;

2)- il ricorrente censura di illogicità la sentenza impugnata per avere conferito rilievo probatorio al riconoscimento fotografico effettuato dal teste F. che, invece, sarebbe inattendibile perchè effettuato dopo oltre un anno dal fatto;

3)-la sentenza era affetta da illogicità anche riguardo al trattamento sanzionatorio. CHIEDE l’annullamento della sentenza impugnata.
Motivi della decisione

Il motivo sulla violazione di legge conseguente al mancato rispetto del legittimo impedimento è infondato, atteso che all’udienza del 27.03.09 è stata correttamente dichiarata la contumacia dell’imputato (autorizzato ad allontanarsi dalla comunità) e, per le successive udienze non vi era obbligo per il giudice di dare avviso, atteso che l’imputato era legittimamente rappresentato dal difensore, ex art. 487 c.p.p.;

invero l’art. 420 ter c.p.p., comma 1, nella parte in cui prevede il rinvio dell’udienza per legittimo impedimento a comparire dell’imputato, si riferisce anche all’imputato contumace che, a mezzo del suo difensore (il quale lo rappresenta ai sensi dell’art. 420 quater c.p.p., comma 2), esterni la sua volontà di comparire, per conseguire cosi la revoca dell’ordinanza dichiarativa della contumacia. Nella specie il difensore non ha avanzato tale richiesta sicchè, disposto il rinvio dell’udienza, non era necessario che il giudice disponesse la notificazione all’imputato dell’avviso della nuova udienza, in quanto la lettura dell’ordinanza che fissava la nuova udienza fatta alla presenza del difensore sostituiva, ai sensi dell’art. 420 ter c.p.p., comma 4, la notificazione all’imputato prevista dal precedente comma 3: ciò perchè l’imputato contumace, dopo la dichiarazione di contumacia, è rappresentato dal suo difensore fino alla revoca della stessa (art. 420 quater c.p.p., comma 2). (Cassazione penale, sez. 3, 19/05/2006, n. 22048).

Per altro, non era necessaria nemmeno la nuova richiesta al giudice di sorveglianza atteso che la Giurisprudenza ha ritenuto che sia necessario disporre la traduzione dell’imputato detenuto per altra causa, sempre che lo stesso abbia dichiarato di voler presenziare all’udienza (Cassazione penale, sez. 1, 24/06/1992) Nella specie il difensore non ha rappresentato la volontà dell’imputato di voler essere presente nè lo ha fatto lo stesso T. che, anzi era restato contumace nella prima udienza.

Il secondo motivo è del pari infondato, atteso che la sentenza sottolinea, in maniera congrua, la credibilità intrinseca del teste F. – che si era espresso in termini di assoluta certezza nel riconoscimento fotografico – nonchè l’esistenza dei riscontri rinvenienti dagli accertamenti antropometrici del Ris, pienamente coincidenti con tale riconoscimento.

Si tratta di una motivazione ineccepibile, perchè ancorata alle emergenze fattuali del processo, immune da illogicità evidenti.

In tema di sindacato del vizio della motivazione, il giudice di legittimità non è chiamato a sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito in ordine alla affidabilità delle fonti di prova, essendo piuttosto suo compito stabilire – nell’ambito di un controllo da condurre direttamente sul testo del provvedimento impugnato – se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se ne abbiano fornito una corretta interpretazione, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti, in modo da fornire la giustificazione razionale della scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre. (Cassazione penale. sez. 4, 29 gennaio 2007. n. 12255).

Parimenti infondati appaiono i motivi relativi al trattamento sanzionatorio, atteso che la sentenza impugnata ha fatto uso dei criteri di cui all’art. 133 c.p., ritenuti sufficienti dalla Giurisprudenza di legittimità per la congrua motivazione, atteso che riguardo alla pena si è richiamata la gravita del fatto e i numerosi e reiterati precedenti penali dell’imputato.

Va ricordato che, ai fini del trattamento sanzionatorio, è sufficiente che il giudice di merito prenda in esame, tra gli elementi indicati dall’art. 133 c.p., quello (o quelli) che ritiene prevalente e atto a consigliare o meno la concessione del beneficio;

e il relativo apprezzamento discrezionale, laddove supportato da una motivazione idonea a far emergere in misura sufficiente il pensiero dello stesso giudice circa l’adeguamento della pena concreta alla gravita effettiva del reato e alla personalità del reo, non è censurabile in sede di legittimità se congruamente motivato. Ciò vale, "a fortiori", anche per il giudice d’appello, il quale, pur non dovendo trascurare le argomentazioni difensive dell’appellante, non è tenuto a un’analitica valutazione di tutti gli elementi, favorevoli o sfavorevoli, dedotti dalle parti, ma, in una visione globale di ogni particolarità del caso, è sufficiente che dia l’indicazione di quelli ritenuti rilevanti e decisivi ai fini della concessione o del diniego, rimanendo implicitamente disattesi e superati tutti gli altri, pur in carenza di stretta contestazione.

(Cassazione penale, sez. 4, 04 luglio 2006. n. 32290.

La recidiva reiterata ed infraquinquennale comporta il prolungamento dei termini di prescrizione che perciò non ricorre nella specie.

Consegue il rigetto del ricorso.

Ai sensi degli art. 592 c.p.p., comma 1, e art. 616 c.p.p. il rigetto o la declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione proposta dalla parte privata comportano la condanna di quest’ultima al pagamento delle spese del procedimento Cassazione penale, sez. 6, 03 giugno 1994.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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