Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 02-12-2010) 04-03-2011, n. 8775

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 29 gennaio 2009 il Tribunale di Palermo dichiarava F.G.B. colpevole del reato di cui agli artt. 110 e 609 octies c.p., in relazione agli artt. 609 bis e ter c.p., per "aver determinato due persone rimaste ignote, a commettere, nella sua stessa abitazione, atti di violenza sessuale di gruppo in pregiudizio di R.G.B., n. (OMISSIS), minore di anni (OMISSIS) all’epoca dei fatti, violenza consistita nel costringerlo a subire un rapporto anale e a prendere i bocca i genitali di uno dei due. Il primo giudice – dopo aver messo in evidenza che le prove consistevano nelle dichiarazioni della parte offesa, rese anche in sede di incidente probatorio, nelle testimonianze dei responsabili della comunità per bambini disagiati, e nelle deposizioni dei consulenti tecnici condannava l’imputato alla pena di anni 12 di reclusione, alle pene accessorie di legge, nonchè al risarcimento dei danni in favore della parte civile costituita, assegnando una provvisionale immediatamente esecutiva.

2. Proponeva appello il difensore dell’imputato deducendo innanzi tutto l’inattendibilità del minore, non solo perchè aveva reso le dichiarazioni accusatorie – ritenute contraddittorie su alcuni punti (in particolare in relazione alla presenza, o meno, della madre in casa al momento della consumazione dell’abuso sessuale) – a notevole distanza di tempo dai fatti, ma anche perchè la parte offesa, oltre a nutrire malanimo verso l’imputato – che lo aveva cacciato da casa con sua madre preferendogli i fratellastri – si era trovato nella impellente necessità di fornire spiegazioni alle insistenti e suggestive domande della direttrice della comunità ove era collocato, suor C.N., relative a comportamenti sessualizzati che erano stati tenuti pochi giorni prima con altri ragazzini.

Inoltre non era stato dal primo giudice considerato l’impatto negativo sulla psiche del bambino derivante dall’aver assistito ad episodi di meretricio posti in essere dalla madre.

In subordine lamentava l’eccessività della pena inflitta, chiedeva la concessione delle circostanze attenuanti generiche e l’attenuante di cui all’art. 609 octies c.p., u.c., con giudizio di prevalenza sulle contestate aggravanti, e comunque il contenimento della pena nel minimo edittale.

3. Avverso questa pronuncia l’imputato propone ricorso per Cassazione con due motivi, oltre un terzo motivo aggiunto in prossimità dell’udienza.
Motivi della decisione

1. Con il ricorso, articolato in complessivi tre motivi, il ricorrente deduce l’inattendibilità delle dichiarazioni del minore, rese a distanza di tempo ed in riferimento ad un’occasione "sospetta" (per essere stato sorpreso con un coetaneo in atteggiamento sessualizzato); la mancanza della prova della presenza del F. nella stanza dove era avvenuto l’abuso sessuale sul minore, presenza necessaria al fine della configurazione della violenza di gruppo diversa dal concorso; l’eccessività della pena in ragione della mancata considerazione della insussistenza di lesioni e dell’apporto "marginale" alla condotta di gruppo.

2. Il primo motivo è inammissibile atteso che la valutazione dell’attendibilità della narrazione della parte offesa, su cui si fonda la prova della penale responsabilità penale dell’imputato, implica un giudizio in fatto devoluto all’apprezzamento dei giudici di merito di merito e non censurabile con ricorso per Cassazione.

Tale valutazione di merito è immune altresì da vizi di motivazione.

La Corte d’appello ha infatti puntualmente motivato su ogni punto:

sul tempo trascorso tra l’abuso ed il suo disvelamento;

sull’occasione, definita "sospetta", di tale disvelamento; sulla assenza della madre nella casa dove si perpetrò l’abuso sessuale;

sulla reazione del giovane abusato definita in termini di pianto piuttosto che di urla.

Ha puntualmente osservato la Corte d’appello che ruolo probatorio centrale è stato svolto dalla parte offesa, R.G. B., n. il (OMISSIS), che in sede di incidente probatorio, svolto in data 15 febbraio 2008 con le modalità dell’audizione protetta, ha reso una deposizione completa e precisa.

Il minore, entrato in comunità nel 2004, ha ricordato che, quando frequentava la terza elementare, ossia all’epoca in cui viveva a (OMISSIS) presso il F., compagno della madre, fu abusato da due persone dopo che il F. lo aveva chiamato, mentre giocava in cortile, dicendogli di andare nella sua stanza; cosa che fece, allorchè il F. introdusse due persone adulte, a lui ignote, una delle quali gli praticò una fellatio e lo sodomizzò.

La Corte ha rilevato come la scena che introduceva al compimento degli abusi sessuali era stata descritta dal giovane R.G. B. senza la benchè minima suggestione da parte di alcuno. Il ragazzino aveva poi spontaneamente precisato che solo uno aveva abbassato i pantaloni, mentre l’altro faceva dei video, filmando l’atto.

Tale narrazione, per i particolari riferiti dal piccolo G. B. in sede incidente probatorio, era compatibile solo con la rievocazione di fatti traumatici effettivamente successi, mentre non aveva senso logico ove si fosse trattato di una narrazione fantastica.

La Corte d’appello – che si è anche confrontata con tesi difensiva che ha allegato la attività asseritamente induttiva e suggestiva svolta dagli operatori della comunità e i sentimenti interiori del minore negativi verso il F. e idonei a favorire il mendacio – ha richiamato anche la valutazione della dott.ssa M., psicologa delegata dal giudice a porre le domande, nonchè le dichiarazioni di suor C.N. alla quale la parte offesa e gradatamente rivelava di avere avuto degli approcci di tipo sessuale con adulti a (OMISSIS) a casa del F. dove il minore viveva con la mamma.

Anche la dott.ssa S.S. – nominata perito in data 30 giugno 2005 dal Tribunale dei Minorenni per valutare il rapporto esistente tra il minore e la figura materna – pur trovando il bambino chiuso e diffidente, utilizzando strategie facenti leva sul gioco e sull’affettività, e introducendo il discorso con riferimento ad un suo segreto da lei conosciuto, riusciva a farsi raccontare la sua storia, che in sintesi era nel senso che il patrigno aveva organizzato degli incontri con altri uomini.

La Corte ha poi sottolineato come il primo disvelamento dell’abuso sessuale sofferto dal minore ha avuto un’origine sostanzialmente casuale, a seguito di comportamenti sessualizzati tenuti in comunità e dei conseguenti colloqui con la suora. Ha quindi ricordato la Corte che il minore – che aveva avuto vari colloqui con il c.t. del P.M. dr. V. – aveva in particolare riferito che durante una giornata di primavera (o estate) quando aveva circa (OMISSIS) anni e si trovava fuori a giocare era stato avvicinato dal patrigno ed era stato portato a casa sua a (OMISSIS). Lì erano arrivati due amici del F. di età compresa tra i (OMISSIS) anni; il bambino è stato portato in camera sua ed è stato lasciato con questi due amici. E’ stato quindi abusato sessualmente, mentre il F. era rimasto fuori della stanza.

In sintesi la Corte d’appello ha apprezzato, con valutazione di merito, che il racconto della parte offesa, che aveva sempre tenuto un comportamento fortemente indicativo dell’aver vissuto un trauma come quello narrato, era risultato essere coerente fin dal primo disvelamento e poi in sede di incidente probatorio.

3. Il secondo motivo è poi infondato.

E’ vero che dalla stessa sentenza emerge che il F. introdusse i due soggetti autori dell’abuso sessuale sul minore, ma non rimase nella stanza dove l’abuso fu consumato.

In effetti questa Corte (Cass., sez. 1, 14 marzo 2010 – 23 aprile 2010, n. 15619) ha affermato che la commissione di atti di violenza sessuale di gruppo si distingue dal concorso di persone nel reato di violenza sessuale, perchè non è sufficiente, ai fini della sua configurabilità, l’accordo della volontà dei compartecipi, ma è necessaria la simultanea, effettiva presenza dei correi nel luogo e nel momento della consumazione del reato, in un rapporto causale inequivocabile.

Ma il F. risponde – ed è stato ritenuto responsabile – di concorso in violenza sessuale di gruppo non già direttamente di violenza sessuale di gruppo, che risulta commessa da due soggetti rimasti ignoti.

Per la sufficienza di due sole persone a fare "gruppo" ex art. 608 octies c.p. (v. Cass., sez. 3, 13 novembre 2003 – 29 gennaio 2004, n. 3348, che ha affermato che ai fini della configurabilità del reato di violenza sessuale di gruppo l’espressione "più persone" contenuta nell’art. 609 octies c.p., comprende anche l’ipotesi che gli autori del fatto siano soltanto due. Conf. Cass., sez. 3, 3 giugno 1999 – 11 ottobre 1999, n. 11541.

Peraltro, se la qualificazione del reato fatta dalla Corte d’appello è corretta, il calcolo della pena è in realtà inesatto, in favore dell’imputato, perchè è stata considerata la pena tra sei e dodici anni, che è appunto quella per il mero concorso nel reato di violenza privata aggravata dalla minore età ex art. 609 ter c.p., invece di considerare che la violenza sessuale di gruppo (che già di per sè prevede la pena tra sei e dodici anni) era aggravata dalla minore età della parte offesa e quindi la pena era maggiore.

Quindi comunque la qualificazione del reato, quale voluta dalla difesa dell’imputato ricorrente (ossia concorso in violenza sessuale aggrava e non già concorso in violenza sessuale di gruppo aggravata), non inciderebbe in ogni caso sulla pena.

4. Il terzo motivo è inammissibile avendo la Corte d’appello motivato in ordine all’apporto nell’imputato nel compimento dell’abuso sessuale, che è stato tutt’altro che marginale, essendo risultato anzi determinante, sicchè non sussiste l’attenuante di cui all’art. 609 octies c.p., u.c..

Il concorso del F. non può essere ritenuto di minima importanza giacchè il suo contributo alla consumazione del reato è stato invece di notevole e decisiva importanza, avendo consentito che terzi estranei entrassero nella sua abitazione, e compissero atti sessuali con persona sottoposta alla sua vigilanza.

5. Pertanto il ricorso, nel suo complesso, va rigettato.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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