Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 02-12-2010) 04-03-2011, n. 8771 Reato continuato e concorso formale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. M.G., nato a (OMISSIS), era imputato: a) del reato di cui all’art. 81 cpv. e art. 609 quater c.p. perchè, con più atti esecutivi del medesimo disegno criminoso ed anche in tempi diversi, compiva atti sessuale, consistiti in toccamenti di parti intime del corpo di C.S., nata il (OMISSIS) e di O.B.E., nata il (OMISSIS); b) del reato di cui all’art. 81 cpv. c.p., artt. 56 e 609 quater c.p. perchè, anche in tempi diversi, con atti idonei ed univoci ed in particolare descrivendo loro rapporti sessuali di tipo orale, provando e mostrando appagamento nella visione della loro nudità e retribuendole a tale fine, tentava di compiere, con le minori suddette ed anche con altre, atti sessuali (fatti commessi in (OMISSIS)).

Con sentenza in data 14.10.2008 il Tribunale di Bologna dichiarava M.G. colpevole del reato di cui al capo a) della rubrica e, concesse le circostanze attenuanti generiche, lo condannava alla pena di anni tre e mesi cinque di reclusione, oltre che all’interdizione in perpetuo dagli uffici inerenti alla tutela ed alla curatela e dai pubblici uffici per la durata di anni cinque; lo condannava altresì al risarcimento dei danni in favore delle parti civili costituite in proprio e quali genitori esercenti la potestà sulla figlia minore C.S.. Lo assolveva invece dal reato di cui al capo b), ordinando peraltro la trasmissione degli atti al Pubblico Ministero per i reati di violenza sessuale in danno di C.G. ed O.B.E..

La penale responsabilità era ritenuta sulla base delle dichiarazioni della minore C.S., rese in sede di audizione assistita, e dall’essere stata questa bambina ripresa con una videocamera mentre danzava, avendo il M. indugiato, nel corso della ripresa, sulle parti scoperte del corpo con invito alla bambina ad alzare la gamba.

2. Avverso la sentenza proponeva appello il difensore del M..

Contestava innanzi tutto il metodo con cui le minori erano state sentite perchè, pur con l’assistenza di uno psicologo, erano state loro rivolte domande dirette. Deduceva poi una serie di circostanze di fatto: rispetto al contenuto delle querele le minori avevano via via arricchito il racconto di numerosi particolari; le indagini erano state carenti e difettava qualsiasi riscontro oggettivo delle dichiarazioni delle minori; non era stato rinvenuto materiale pedopornografico; non si era approfondito il contesto familiare delle minori; le dichiarazioni accusatorie delle minori erano coincise con la loro estromissione dall’abitazione del M.; le cassette relative alle riprese filmate non era state acquisite al procedimento ed erano state consegnate alle bambine dallo stesso M..

La difesa dell’appellante chiedeva altresì la parziale rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, in particolare per disporre consulenza sulla personalità e sull’ambiente familiare delle minori al fine di valutarne l’attendibilità.

La Corte d’appello di Bologna con sentenza dell’11 dicembre 2009 – 18 gennaio 2010 accoglieva l’appello.

3. Avverso questa pronuncia C.G. e A.A., in proprio e quali esercenti la potestà genitoriale sulla minore C.S., propongono ricorso per cassazione, ai soli effetti della responsabilità civile, con due motivi.
Motivi della decisione

1. Il ricorso è articolato in due motivi con cui le parti civili ricorrenti deducono rispettivamente il vizio di motivazione della sentenza impugnata, quanto alla ricostruzione dei fatti e della condotta addebitata all’imputato, che – ad avviso delle parti ricorrenti – doveva ritenersi sufficiente provata a mezzo delle dichiarazioni delle minori, ed il vizio di violazione di legge, quanto alla nozione di "atto sessuale" ai sensi dell’art. 609 quater c.p., che ben può consistere anche in toccamenti.

2. Preliminarmente va rilevato che è ammissibile il ricorso della parte civile ai soli effetti della responsabilità civile anche se l’imputato è stato assolto ai sensi dell’art. 530 c.p., comma 2, che prevede, tra l’altro, che quando è insufficiente la prova che il fatto sussiste, che l’imputato lo ha commesso, che il fatto costituisce reato o che il reato è stato commesso da persona imputabile, il giudice pronuncia sentenza di assoluzione; laddove invece tale interesse manca per l’imputato.

Con riferimento a questa particolare formula assolutoria, che nel nuovo codice di rito ha sostituito la pronuncia di assoluzione per insufficienza di prove, questa Corte (Cass., sez. 5, 24 novembre 2005 – 12 gennaio 2006, n. 842), ha affermato che non sussiste l’interesse dell’imputato, assolto perchè il fatto non sussiste ai sensi dell’art. 530 c.p.p., comma 2, a proporre impugnazione, atteso che tale formula – relativa alla mancanza, alla insufficienza o alla contraddittorietà della prova – non comporta una minore pregnanza della pronuncia assolutoria nè lascia residue perplessità sull’innocenza dell’imputato: non può pertanto in alcun modo essere equiparata all’assoluzione per insufficienza di prove prevista dal codice di rito in vigore anteriormente alla riforma del 1988.

Essendo questa la valenza di tale formula assolutoria, deve invece simmetricamente riconoscersi l’interesse della parte civile ad impugnare siffatta pronuncia – ai soli effetti civili, beninteso – come nel caso di pronuncia pienamente assolutoria.

Va però precisato che il ricorso è si ammissibile, ma rimane inalterata la regola di giudizio "penalistica" dell’art. 533 c.p.p. che prevede che il giudice pronuncia sentenza di condanna se l’imputato risulta colpevole del reato contestatogli "al di là di ogni ragionevole dubbio", talchè il giudice pronuncia sentenza di assoluzione ex art. 530 c.p.p. non solo se manca la prova del fatto, ma anche se la prova è insufficiente ( art. 530 c.p.p., comma 2).

Ossia non trova applicazione la diversa – e meno rigorosa – regola civilistica dell’atto illecito che consente la prova per presunzioni semplici.

Tale differente criterio di valutazione della prova rileva ai fini dell’applicazione dell’art. 652 c.p.p. che prevede si l’efficacia di giudicato della sentenza di assoluzione pronunciata in dibattimento, ma con riferimento "all’accertamento che il fatto non sussiste o che l’imputato non lo ha commesso o che il fatto è stato compiuto nell’adempimento di un dovere o nell’esercizio di una facoltà legittima" ( art. 530 c.p.p., comma 1) e non anche con riferimento alla fattispecie in cui è insufficiente o è contraddittoria la prova che il fatto sussista o che l’imputato lo abbia commesso ( art. 530 c.p.p., comma 2).

3. Nel merito il primo motivo è inammissibile perchè reca una mera diversa valutazione della prova il cui apprezzamento è devoluto ai giudici di merito e non è censurabile in sede di legittimità ove, come nella specie, sia assistito da motivazione sufficiente e non contraddittoria.

Il vizio di motivazione di una sentenza ex art. 606 c.p.p., lett. e), sussiste solo allorchè essa mostri, nel suo insieme, un’intrinseca contraddittorietà ed un’obiettiva deficienza del criterio logico che ha condotto il giudice di merito alla formazione del proprio convincimento; ossia presuppone che le ragioni poste a fondamento della decisione risultino sostanzialmente contrastanti in guisa da elidersi a vicenda e da non consentire l’individuazione della ratto decidenti e l’identificazione del procedimento logico-giuridico posto alla base della decisione adottata.

La sentenza impugnata ha dato sufficiente e non illogica motivazione del convincimento dei giudici di merito in ordine alla ritenuta insussistenza della piena prova della penale responsabilità dell’imputato "al di là di ogni ragionevole dubbio".

Le censure delle ricorrenti parti civili implicano quindi null’altro che una diversa valutazione di tali elementi di fatto considerati dalla sentenza impugnata, con motivazione non contraddittoria.

4. In particolare la Corte distrettuale ha posto in rilievo come, secondo la narrazione delle minori, che avevano frequentato l’abitazione del M. e della figlia per alcuni mesi, il M. avrebbe usato con loro delle espressioni aventi un significato esplicitamente riferito a pratiche sessuali ed inoltre le avrebbe toccato nelle parti intime.

Vi sarebbero state poi delle video riprese, le cui cassette peraltro non sono mai state acquisite agli atti del processo, ma ricostruite a mezzo di deposizione testimoniale di chi le aveva visionate. Si trattava – ha osservato la Corte distrettuale – di riprese filmate che mostravano le minori mentre danzavano fingendo di partecipare ad un concorso in cui le altre bambine componevano la giuria. Tali scene peraltro erano state girate alla presenza della figlia, persona adulta, dell’imputato, secondo la quale si sarebbe trattato appunto di un gioco: si fingeva la partecipazione delle bambine ad un concorso per veline.

Secondo la Corte distrettuale appare difficile pensare che, attraverso la ripresa della danza, l’imputato avesse inteso, presente anche la figlia, soddisfare i propri intenti libidinosi. Inoltre era singolare che gli stessi video fossero stati consegnati dall’imputato alle bambine; ciò che induceva ad escludere che fossero stati girati allo scopo di poter meglio osservare le gambe e le zone più nascoste del corpo delle bambine perchè lo stesso M. non poteva che essere ben consapevole che tali riprese sarebbero state visionate anche dai genitori.

Altro elemento di perplessità – secondo la Corte distrettuale – concerneva il lungo periodo, durato alcuni mesi, di frequentazione dell’abitazione da parte delle minori durante il quale si sarebbero manifestate le censurate condotte senza che le bambine avessero mai manifestato ai genitori o ad altre persone il proprio turbamento per quanto avveniva in occasione degli incontri. La fine dei quali, secondo la stessa figlia dell’imputato, testimone nel processo, sarebbe da ricollegarsi all’asserito comportamento delle minori, divenuto un po’ troppo invadente negli ultimi tempi perchè, ad esempio, erano state sorprese mentre frugavano tra gli oggetti personali del M..

Inoltre i riferiti "toccamenti" – sempre secondo la Corte distrettuale – potevano essere stati equivocati anche perchè egli prendeva le bambine sulle gambe. Del resto era singolare che egli arrischiasse tali gesti essendo presente in casa la figlia alla quale difficilmente sarebbero potuti sfuggire, sempre considerato il lungo arco di tempo nel quale le minori avevano frequentato la sua abitazione.

Le minori poi avevano fatto riferimento ad immagini di donne nude viste sul computer dell’imputato, ma di ciò non risultava alcun riscontro.

Ha quindi concluso la Corte distrettuale che, pur sussistendo a carico del M. gravi indizi di colpevolezza, questi però non apparivano univoci quanto alla ricostruzione del fatto allo stesso addebitato e quindi non poteva dirsi raggiunta la prova della penale responsabilità dell’imputato al di là di ogni ragionevole dubbio; da ciò la pronuncia assolutoria ai sensi dell’art. 530 c.p.p., comma 2. 5. Il secondo motivo è infondato.

E’ vero che l’integrazione della fattispecie criminosa di violenza sessuale non richiede che l’atto sessuale sia finalizzato al soddisfacimento del piacere erotico, ma è pur sempre necessario – ha precisato Cass., sez. 3, 15 aprile 2010-4 giugno 2010, n. 21336 – che, in ragione della indefettibile sussistenza del dolo generico del reato, l’agente abbia la coscienza e volontà di realizzare gli elementi costitutivi del medesimo. Non basta quindi l’oggettività della condotta, quale quella di un contatto fisico; occorre anche il dolo generico, inteso quale coscienza e volontà dell’atto.

Nella specie la Corte distrettuale ha ritenuto, con valutazione tipicamente di merito ad essa demandata, che i toccamenti riferiti dalle bambine, per il contesto in cui si erano verificati, in presenza della figlia dell’imputato e prendendo in braccio le bambine stesse, potevano essere stati equivocati e quindi non riferirsi a contatti fisici voluti dall’imputato al di là di quelli connaturali al fatto di tenere in braccio le bambine e pertanto neutri.

6. In conclusione il ricorso, nel suo complesso, va rigettato con conseguente condanna delle parti ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali.

In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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