Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 05-05-2011, n. 9928 Categoria, qualifica, mansioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 6.12.2006 la Corte di Appello di Roma ha rigettato l’appello proposto da P.G. avverso la sentenza del Tribunale di Latina che aveva respinto la domanda del ricorrente volta ad ottenere il riconoscimento del proprio diritto all’inquadramento nell’area quadri di secondo livello a decorrere dal 1.6.1998 o dal 1.9.98, ritenendo che, ai fini del diritto al conseguimento della c.d. promozione automatica, pur dopo la scadenza del contratto collettivo del 1994, fissata al 31.12.1997, dovesse continuare a trovare applicazione la disciplina collettiva (che stabiliva un termine di sei mesi per la maturazione del diritto all’inquadramento nella categoria quadri) in virtù della proroga tacita del c.c.n.l., desumibile dalla sua applicazione anche dopo la scadenza contrattuale, e che il termine semestrale dovesse essere computato solo a partire dal momento in cui l’azienda aveva disposto la riqualificazione dell’agenzia di (OMISSIS) – alla quale il P. era stato assegnato dal marzo 1998 – da agenzia di minore ad agenzia di media entità, ovvero solo dal 1.9.1998.

Avverso tale sentenza ricorre per cassazione P.G. affidandosi a due motivi cui resiste con controricorso la società Poste Italiane spa.

La società ha depositato anche memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..
Motivi della decisione

1.- Con il primo motivo si deduce violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2074 c.c., dell’art. 1362 c.c. e segg. in relazione all’art. 2103 c.c. e L. n. 190 del 1985, art. 6 nonchè agli artt. 38 e 87 del c.c.n.l. dei lavoratori postelegrafonici del 26.11.1994, nonchè omessa motivazione su punti decisivi della controversia, relativamente alla statuizione con la quale il giudice d’appello avrebbe ritenuto applicabile la norma sulla c.d. promozione automatica stabilita dal contratto collettivo del 26.11.1994 pur dopo la scadenza dello stesso contratto collettivo ed in assenza di una specifica volontà espressa in tal senso dalle parti collettive.

2.- Con il secondo motivo il ricorrente lamenta il vizio di motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui la Corte territoriale ha escluso che lo svolgimento delle mansioni espletate dal P. nel periodo anteriore alla loro riqualificazione potesse ritenersi utile ai fini dell’acquisizione del diritto all’inquadramento superiore, ex art. 2103 c.c. 3.- Il primo motivo è inammissibile, il secondo infondato.

4.- Ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., applicabile ai ricorsi per cassazione proposti avverso le sentenze e gli altri provvedimenti pubblicati a decorrere dalla data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 40 del 2006, e quindi anche al ricorso in esame, nei casi previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1), 2), 3) e 4), l’illustrazione di ciascun motivo si deve concludere, a pena d’inammissibilità, con la formulazione di un quesito di diritto, che deve essere idoneo a far comprendere alla S.C., dalla lettura del solo quesito, inteso come sintesi logico-giuridica della questione, l’errore di diritto asseritamente compiuto dal giudice di merito e quale sia, secondo la prospettazione del ricorrente, la regola da applicare (Cass. 8463/2009). Per la realizzazione di tale finalità, il quesito deve contenere la riassuntiva esposizione degli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito, la sintetica indicazione della regola di diritto applicata dal giudice a quo e la diversa regola di diritto che, ad avviso del ricorrente, si sarebbe dovuto applicare alla fattispecie. Nel suo contenuto, inoltre, il quesito deve essere caratterizzato da un sufficienza dell’esposizione riassuntiva degli elementi di fatto ad apprezzare la sua necessaria specificità e pertinenza e da una enunciazione in termini idonei a consentire che la risposta ad esso comporti univocamente l’accoglimento o il rigetto del motivo al quale attiene (Cass. 5779/2010, Cass. 5208/2010). Anche nel caso in cui venga dedotto un vizio di motivazione ( art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), l’illustrazione del motivo deve contenere, a pena d’inammissibilità, la "chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione". Ciò comporta, in particolare, che la relativa censura deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità. Al riguardo, inoltre, non è sufficiente che tale fatto sia esposto nel corpo del motivo o che possa comprendersi dalla lettura di questo, atteso che è indispensabile che sia indicato in una parte del motivo stesso, che si presenti a ciò specificamente e riassuntivamente dedicata (cfr. ex plurimis, Cass. 8555/2010, Cass. sez. unite 4908/2010, Cass. 16528/2008, Cass. 8897/2008, Cass. 16002/2007).

5.- Questa Corte ha più volte ribadito che, nel vigore dell’art. 366 bis c.p.c., non può ritenersi sufficiente – perchè possa dirsi osservato il precetto di tale disposizione – la circostanza che il quesito di diritto possa implicitamente desumersi dall’esposizione del motivo di ricorso, nè che esso possa consistere o ricavarsi dalla formulazione del principio di diritto che il ricorrente ritiene corretto applicarsi alla specie. Una siffatta interpretazione della norma positiva si risolverebbe, infatti, nella abrogazione tacita dell’art. 366 bis, secondo cui è invece necessario che una parte specifica del ricorso sia destinata ad individuare in modo specifico e senza incertezze interpretative la questione di diritto che la S.C. è chiamata a risolvere nell’esplicazione della funzione nomofilattica che la modifica di cui al D.Lgs. n. 40 del 2006 ha inteso valorizzare (Cass. 5208/2010, Cass. 20409/2008). E’ stato altresì precisato che il quesito deve essere formulato in modo tale da consentire l’individuazione del principio di diritto censurato posto dal giudice a quo alla base del provvedimento impugnato e, correlativamente, del principio, diverso da quello, la cui auspicata applicazione da parte della S.C. possa condurre a una decisione di segno inverso; ove tale articolazione logico – giuridica mancasse, infatti, il quesito si risolverebbe in una astratta petizione di principio, inidonea sia a evidenziare il nesso tra la fattispecie e il principio di diritto che si chiede venga affermato, sia ad agevolare la successiva enunciazione di tale principio a opera della S.C. in funzione nomofilattica. Il quesito, pertanto, non può consistere in una mera richiesta di accoglimento del motivo o nell’interpello alla S.C. in ordine alla fondatezza della censura, ma deve costituire la chiave di lettura delle ragioni esposte e porre la S.C. in condizione di rispondere a esso con la enunciazione di una regula iuris che sia, in quanto tale, suscettibile di ricevere applicazione in casi ulteriori rispetto a quello sottoposto all’esame del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata (Cass. sez. unite 27368/2009); per gli stessi motivi, il quesito di diritto non può mai risolversi nella generica richiesta rivolta alla S.C. di stabilire se sia stata violata o meno una certa norma, nemmeno nel caso in cui il ricorrente intenda dolersi dell’omessa applicazione di tale norma da parte del giudice di merito, e deve investire la ratio decidendi della sentenza impugnata, proponendone una alternativa e di segno opposto (Cass. 1285/2010, Cass. 4044/2009).

6.- Nella specie, il quesito formulato da parte ricorrente a chiusura del primo motivo ("è possibile ritenere ultrattivo un c.c.n.l. post corporativo in mancanza di una specifica volontà espressa in tal senso dalle parti negoziali e, conseguentemente, ritenere applicabile, per il caso di applicazione del lavoratore, in vacanza contrattuale, alle superiori mansioni dell’area quadri, il maggior termine indicato in contratto, anzichè quello legale di tre mesi … per il conseguimento automatico e definitivo della superiore qualifica?") non risulta in alcun modo adeguato a recepire l’iter argomentativo che supporta le relative censure in quanto non individua chiaramente il principio di diritto posto dal giudice a quo alla base del provvedimento impugnato, non specifica le regole di ermeneutica contrattuale che sarebbero state in concreto violate dal giudice d’appello nell’interpretazione delle norme contrattuali e non investe in alcun modo l’autonoma ratio decidendi della sentenza impugnata costituita dalla ritenuta applicabilità del contratto collettivo, anche dopo la sua scadenza, sulla base di una volontà delle parti, desumibile "per facta concludentia", di prorogarne implicitamente l’efficacia fino alla stipulazione del nuovo contratto; e tutto ciò a prescindere dalla pur di per sè assorbente considerazione che gli accordi collettivi cui si fa riferimento nel ricorso per cassazione, e che sono stati oggetto di esame da parte del giudice d’appello, non risultano essere stati ritualmente allegati al ricorso per cassazione a norma dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4 (sull’onere di produzione del testo integrale dei contratti collettivi sui quali il ricorso si fonda, cfr. ex multis Cass. sez. unite 20075/2010, Cass. 4373/2010, Cass. 219/2010, Cass. 27876/2009, Cass. 16619/2009, Cass. 15495/2009, Cass. 2855/2009, Cass. 21080/2008, Cass. 6432/2008, cui adde Cass. 21366/2010 e Cass. 21358/2010).

7.- Anche le dedotte carenze motivazionali (vedi la seconda parte del primo motivo), del resto, non appaiono sufficientemente individuate e precisate nel senso che si è sopra indicato, ovvero mediante la necessaria indicazione del fatto controverso in una parte del motivo che costituisca un momento di sintesi del complesso degli argomenti critici sviluppati nell’illustrazione dello stesso motivo e delle ragioni per le quali tali carenze dovrebbero rendere la motivazione inidonea a giustificare la decisione; dovendo rimarcarsi, peraltro, che, come questa Corte ha costantemente ribadito, il controllo sulla motivazione non può risolversi in una duplicazione del giudizio di merito e che alla cassazione della sentenza impugnata può giungersi non per un semplice dissenso dalle conclusioni del giudice di merito – poichè in questo caso il motivo di ricorso si risolverebbe in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento dello stesso giudice di merito, che tenderebbe all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, sicuramente estranea alla natura e alle finalità del giudizio di cassazione – ma solo in caso di motivazione contraddittoria o talmente lacunosa da non consentire l’identificazione del procedimento logico-giuridico posto alla base della decisione (cfr. ex plurimis Cass. 10657/2010, Cass. 9908/2010, Cass. 27162/2009, Cass. 13157/2009, Cass. 6694/2009, Cass. 18885/2008, Cass. 6064/2008).

8.- Il secondo motivo, attinente alla statuizione con la quale la Corte territoriale ha negato che fosse stata fornita la prova che l’avvenuta riqualificazione dell’agenzia di (OMISSIS), alla quale era addetto il lavoratore, dovesse considerarsi di fatto operante già dal 1.1.1998, è infondato giacchè si fonda sull’erroneo presupposto che l’onere della prova dell’anteriorità di fatto della anzidetta riqualificazione gravasse sul datore di lavoro, anzichè sul lavoratore – che aveva posto tale circostanza a fondamento della domanda -, e perchè fa riferimento ad accertamenti e a valutazioni di fatto che non possono trovare ingresso in questa sede di legittimità, dovendo ribadirsi, al riguardo, che il vizio di motivazione denunciabile con ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non può farsi consistere nella difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal giudice del merito rispetto a quello preteso dalla parte, non essendo conferito alla S.C. il potere di riesaminare e valutare autonomamente il merito della causa, bensì solo quello di controllare, sotto il profilo logico e formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione compiuti dal giudice del merito, cui è riservato l’apprezzamento dei fatti.

9.- Il ricorso va dunque rigettato con la conferma della sentenza impugnata, dovendosi ritenere assorbite in quanto sinora detto tutte le censure non espressamente esaminate.

10.- Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.
P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio liquidate in Euro 20,00 oltre Euro 2.000,00 per onorari, oltre IVA, CPA e spese generali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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