Cons. Stato Sez. VI, Sent., 02-03-2011, n. 1305 Comunicazione o notificazione dell’atto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

a dell’avvocato D’Amelio, l’avvocato Martelli e l’avvocato dello Stato Massarelli;
Svolgimento del processo

1. Con il comma 1 dell’art. 5bis del decreto legge 25 aprile 1993, n. 118 ("Disposizioni urgenti per la soppressione del Ministero delle partecipazioni statali e per il riordino di IRI, ENI, ENEL, IMI, BNL e INA"), aggiunto dalla legge di conversione 29 giugno 1993, n. 202, è stata disposta la trasformazione dell’Ente autonomo di gestione per il cinema (istituito con d.P.R. 7 maggio 1958, n. 575) in società per azioni, con la espressa previsione, nel comma 2, che "il Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica assume la titolarità delle relative partecipazioni e il Ministero per i beni e le attività culturali esercita i diritti dell’azionista, sentito il Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica per quanto riguarda i profili patrimoniali, finanziari e statutari", risultando così lo Stato azionista unico della società, che ha poi assunto la denominazione di "C.H. – Gruppo per il Cinema Italiano S.p.a." (di seguito: Società).

2. Il Ministro per i beni e le attività culturali con atto in data 27 giugno 2006 ha definito, ai sensi del citato art. 5bis, le "nuove linee di indirizzo strategico" nei confronti della Società, determinando altresì, previa indicazione di dieci rilievi sulla gestione del Consiglio di Amministrazione in carica, che "al fine di effettuare una scelta degli amministratori coerente con l’individuazione dei nuovi obiettivi sopra delineati, ed assicurare l’effettività della realizzazione degli obiettivi stessi, in applicazione di quanto previsto dall’art. 6, comma 1, della legge 15 luglio 2002, n. 145, si procederà alla revoca del Consiglio di Amministrazione".

Nell’Assemblea ordinaria degli azionisti della Società del 28 giugno 2006 si è proceduto alla revoca di tutti i Consiglieri di Amministrazione ed alla nomina del rappresentante dell’azionista quale Amministratore unico fino alla data del 30 luglio 2006 e, quindi, nell’Assemblea del 28 luglio successivo, sono stati nominati i nuovi Consiglieri di Amministrazione.

3. Il sign. M.C., componente del Consiglio di Amministrazione revocato e Amministratore delegato della Società, con il ricorso n. 8935 del 2006 proposto al TAR per il Lazio, ha chiesto: l’annullamento dell’atto di indirizzo adottato il 27 giugno 2006 dal Ministro per i beni e le attività Culturali, con il quale è stata disposta la revoca, ai sensi dell’art. 6 della legge n. 145 del 2002, del Consiglio di Amministrazione della Società; di ogni altro atto antecedente, presupposto, consequenziale o successivo al predetto, ivi espressamente incluse le determinazioni formulate nel corso dell’Assemblea societaria del 28 giugno 2006 e gli atti, non direttamente conosciuti, con i quali sono stati individuati, designati e nominati i membri del nuovo Consiglio di Amministrazione della predetta Società; l’accertamento del diritto del ricorrente al risarcimento del danno subito ovvero, in subordine, del diritto a percepire l’indennizzo di cui all’art. 21quinquies della legge n. 241 del 1990 e per la conseguente condanna dell’Amministrazione al pagamento.

4. Il TAR ha dichiarato il ricorso inammissibile per difetto di giurisdizione nella parte in cui è stato rivolto avverso la deliberazione della società C.H. del 28.6.2006 e successive; lo ha respinto nella parte recante impugnazione dell’atto di indirizzo del 27.6.2006 adottato dal Ministro per i beni e le attività culturali e successive determinazioni; ha respinto anche sia la richiesta di risarcimento del danno che la domanda di indennizzo. Ha compensato tra le parti le spese, diritti e onorari del giudizio.

5. Con l’appello in epigrafe è chiesto l’annullamento della sentenza di primo grado.

6. All’udienza del 21 gennaio 2011 la causa è stata trattenuta per la decisione.
Motivi della decisione

1. Nell’appello si deduce l’erroneità della sentenza di primo grado, poiché con essa:

è stato dichiarato il difetto di giurisdizione del Giudice amministrativo riguardo alla delibera dell’Assemblea di C.H. S.p.a. del 28 giugno 2006; ciò che errato, si sostiene nell’appello, poiché nella specie l’atto amministrativo è presupposto unico e necessario dell’atto di diritto privato, il potere deliberativo esercitato risulta del tutto vincolato, la Società è soltanto formalmente di diritto privato, perseguendo scopi di pubblico interesse, ed è leso, infine, il principio di effettività della tutela giurisdizionale nel momento in cui si costringe il ricorrente ad agire presso due diverse autorità giurisdizionali, conseguendo da tutto ciò che la fattispecie ricomprende unitariamente l’atto di indirizzo del Ministro e la delibera assembleare ed è pertanto conoscibile dal Giudice Amministrativo nella sua interezza;

è stato respinto il motivo di ricorso sul vizio della mancata comunicazione di avvio del procedimento di revoca, asserendo che l’onere della comunicazione sarebbe stato assolto con l’invio al Consiglio di Amministrazione della Società da parte del competente Direttore Generale del Ministero delle lettere di data 17 e 18 maggio 2006, che, invece, risultano inconferenti allo scopo recando, la prima, la sola comunicazione dell’insediamento del nuovo Ministro e contenendo, la seconda, richieste di chiarimenti su punti estranei a quelli poi trattati nell’atto di indirizzo del Ministro;

si è affermato che l’obbiettivo assegnato alla Società nel detto atto di indirizzo, individuato nel cooperare con le imprese cinematografiche, non configura aiuto di Stato vietato dall’art. 86 del Trattato CE, in quanto si applicherebbe il secondo comma del successivo art. 87, recante deroga per gli aiuti destinati alla cultura, laddove tale deroga è invece prevista nel terzo comma dell’articolo 87, relativo non alle eccezioni assolute ma agli aiuti che possono essere concessi soltanto se notificati alla Commissione e da questa valutati;

si è errato, altresì, nel non riconoscere la violazione della legge costitutiva della Società da parte dell’atto di indirizzo nel momento in cui vi si afferma che la Società non deve porsi come competitore ma cooperare a sostenere gli altri operatori del settore, travisando così lo Statuto della Società, ai sensi del quale il compito istituzionale della stessa, di promuovere lo sviluppo delle attività cinematografiche in ambito nazionale ed internazionale, è dalla Società svolto direttamente, essendo ciò compatibile con lo scopo culturale pure assegnatole.

Nell’appello si censura quindi la sentenza di primo grado per aver giudicato inammissibili le contestazioni dedotte avverso le dieci osservazioni critiche contenute nell’atto di indirizzo, asserendo che il provvedimento di revoca è atto di alta amministrazione caratterizzato da ampia discrezionalità e, perciò, insuscettibile di censure se non per i soli profili di congruità e irragionevolezza, mentre le dette censure, si sostiene nell’appello, non riguardano le interpretazioni dei fatti ma questi in quanto tali. Viene quindi svolto l’esame puntuale dei suddetti dieci rilevi critici riproponendo le relative censure già dedotte in primo grado, e se ne trae, anzitutto, la conclusione della illegittimità della revoca per sviamento di potere, in quanto fondata su nuovi indirizzi non conosciuti, e perciò male utilizzando il potere pubblicistico di revoca di cui all’art. 6 della legge n. 145 del 2002, potendo i detti rilievi al massimo giustificare il potere privatistico di revoca degli amministratori di cui all’art. 2383, comma 3, c.c., fermo, in ogni caso, che non sono indicati motivi obbiettivi e specifici per la revoca del ricorrente, è che è illegittima una revoca dell’intero organo e non individuale.

Si censurano quindi i nuovi indirizzi stabiliti dal Ministro per la loro genericità, contraddittorietà su punti specifici, non innovatività rispetto agli obbiettivi indicati dal Ministro precedente, rispetto ai quali il Consiglio revocato, e in particolare il ricorrente, avevano già realizzato efficaci provvedimenti attuativi.

Sono poi riproposte censure sulle modalità di esercizio del potere di indirizzo, non superate dalla disamina che ne ha svolto il TAR, relative: alla erronea coincidenza e sequenzialità tra il potere di verifica e quello di indirizzo; alla incompetenza del Ministro per i beni e le attività culturali, ai sensi del decreto legge n. 118 del 1993, ad impartire indirizzi alla Società; al mancato coinvolgimento del Ministro delle finanze.

Si censura quindi la sentenza impugnata per non avere ritenuto, nella specie, l’avvenuto scioglimento anticipato delle Camere, legittimante la revoca delle sole nomine avvenute nel mese precedente, affermando una ingiustificata interpretazione "sostanziale" della normativa in materia, per cui la XIV Legislatura sarebbe spirata per scadenza naturale essendo state sciolte le Camere 32 giorni prima soltanto per evitare il così detto "ingorgo costituzionale" (per la sovrapposizione con le elezioni del Presidente della Repubblica). Si deve invece affermare che, si consideri conclusa la Legislatura l’11 febbraio 2006 (giorno di pubblicazione del d.P.R. di scioglimento) ovvero il 27 aprile 2006 (giorno antecedente la convocazione delle nuove Camere), in ogni caso la Legislatura ha avuto fine anticipata di oltre un mese dalla sua scadenza naturale (29 maggio 2006), per cui, potendo essere revocate in tal caso soltanto le nomine disposte nel mese antecedente lo scioglimento, non vi rientrano quelle di cui qui si tratta, e, comunque, si soggiunge, esse non vi rientrerebbero anche considerando i sei mesi antecedenti la ritenuta "scadenza naturale" essendo stata decisa la nomina del ricorrente il 28 novembre 2005.

Si contesta, infine, il rigetto da parte del primo giudice delle domande: di risarcimento del danno, avendo il ricorrente, da un lato, maturato affidamento sulla stabilità della sua nomina, per quanto ora detto sulla sua non revocabilità a fronte dei termini di conclusione della legislatura; di indennizzo ex art. 21quinquies della legge n. 241 del 1990, poiché, al contrario di quanto affermato nella sentenza, nessuno dei dieci rilievi dedotti dal Ministro è imputabile al ricorrente.

2. Le censure sono infondate.

2.1. Il Collegio condivide l’analisi della questione di giurisdizione svolta nella sentenza di primo grado in quanto basata, anzitutto, sull’esame del potere nella specie esercitato dal Ministro per i beni e le attività culturali in applicazione dell’art. 6, comma 1, della legge n. 145 del 2002 ("Disposizioni per il riordino della dirigenza statale e per favorire lo scambio di esperienze e l’interazione tra pubblico e privato."), per il quale "Le nomine degli organi di vertice e dei componenti dei consigli di amministrazione o degli organi equiparati degli enti pubblici, delle società controllate o partecipate dallo Stato, delle agenzie o di altri organismi comunque denominati, conferite dal Governo o dai Ministri nei sei mesi antecedenti la scadenza naturale della legislatura, computata con decorrenza dalla data della prima riunione delle Camere, o nel mese antecedente lo scioglimento anticipato di entrambe le Camere, possono essere confermate, revocate, modificate o rinnovate entro sei mesi dal voto sulla fiducia al Governo. Decorso tale termine gli incarichi per i quali non si sia provveduto si intendono confermati fino alla loro naturale scadenza. Le stesse disposizioni si applicano ai rappresentanti del Governo e dei Ministri in ogni organismo e a qualsiasi livello, nonché ai componenti di comitati, commissioni e organismi ministeriali e interministeriali, nominati dal Governo o dai Ministri".

Alla luce di tale norma è evidente che il potere attribuito: è di natura pubblicistica essendo basato sul presupposto che il nuovo Governo, o il Ministro suo componente, in quanto portatori di un indirizzo politico distinto da quello dell’Esecutivo precedente, possano ritenere di modificare la composizione degli organi di vertice di cui si tratta, essendo questi direttamente e immediatamente responsabili del perseguimento degli obiettivi determinati sulla base del detto indirizzo; che, di conseguenza, l’atto di esercizio di tale potere è di "alta amministrazione", poiché in funzione di collegamento tra indirizzo politico e attività amministrativa, ed è quindi caratterizzato da amplissima discrezionalità; per cui, a fronte ad esso, la posizione del privato componente l’organo di vertice interessato è di interesse legittimo; derivando da tutto ciò il radicamento della giurisdizione amministrativa se l’atto sia impugnato.

Ciò rilevato è necessario valutare se la delibera di revoca dei Consiglieri di Amministrazione, di seguito assunta dall’Assemblea di C.H. S.p.a. del 28 giugno 2006, sia attratta nella detta giurisdizione, dovendosi concludere negativamente in quanto: la Società in questione è una S.p.a., con personalità giuridica, perciò, di diritto privato neppure concessionaria di servizio pubblico; le deliberazioni concernenti la composizione del Consiglio di Amministrazione sono quindi assunte ai sensi dello Statuto della Società dall’Assemblea, con atto proprio e distinto da quello di nomina o revoca adottato dal Ministro; non si comprenderebbe la ragione della istituzione di una Società di diritto privato, pur volta al perseguimento di finalità di interesse pubblico, se priva dell’autonomia negoziale propria di tale specifica soggettività giuridica; conseguendo da ciò la giurisdizione sull’atto del giudice ordinario, non sussistendo al riguardo giurisdizione amministrativa esclusiva, né valendo l’obiezione, di carattere pratico, della necessità di azionare un duplice rimedio a fronte del non superabile assetto del riparto di giurisdizione.

2.2. E necessario ora considerare i motivi dedotti avverso la mancanza del presupposto di esercizio del potere del Ministro, poiché il potere di revoca sarebbe stato adottato fuori dai termini stabiliti dalla normativa, e rispetto al vizio procedimentale della mancata comunicazione di avvio.

2.2.1. Con riguardo al primo punto il Collegio ritiene di condividere l’affermazione della sentenza impugnata per cui nel caso della XIV legislatura, di cui qui si tratta, lo scioglimento anticipato delle Camere è stato determinato da motivi tecnici e non può perciò essere identificato con la nozione propria di scioglimento anticipato delle Camere, avente valenza politicoistituzionale, dovendosi ritenere, di conseguenza, che la legislatura è cessata per scadenza naturale, e che, dunque, la data di nomina del ricorrente ricade "nei sei mesi antecedenti la scadenza naturale della legislatura", di cui all’art. 6 della legge n. 145 del 2002, essendo stata disposta con provvedimento del 19 dicembre 2005.

Infatti:

ai sensi dell’art. 88, comma 2, della Costituzione, il Presidente della Repubblica non può sciogliere le Camere negli ultimi sei mesi del suo mandato "salvo che essi coincidano in tutto o in parte con gli ultimi sei mesi della legislatura", essendo stato unanimemente individuato lo scopo di questa specifica previsione nell’assicurare il normale funzionamento dei meccanismi istituzionali, per evitare il così detto "ingorgo costituzionale" quando Camere e Presidente esauriscono contemporaneamente il loro mandato;

ne risulta una fattispecie di scioglimento anticipato per ragioni tecniche distinta da quella, tipica dell’istituto dello scioglimento delle Camere per motivi di "politica costituzionale", volto, invece, a ricostituire coerenza fra la decisione elettorale, la formazione delle Camere e quella del Governo;

con la conseguenza che in caso di scioglimento "tecnico" è corretto ritenere la legislatura cessata alla scadenza naturale; ciò che, quanto al caso di specie, risulta indicato in tal senso anche dal Presidente della Repubblica che, nel comunicato diramato il 13 febbraio 2006, in concomitanza con la emanazione dei decreti di scioglimento ( d.P.R. n. 32 del 2006) e di convocazione dei comizi elettorali (d.P.R n. 33 in pari data), ha affermato: "Ho firmato stamani il decreto di scioglimento delle Camere e, poco dopo, il decreto che, vista la deliberazione del Consiglio dei Ministri, indice le elezioni delle nuove Camere per il 9 e 10 aprile prossimi. Si è così conclusa una legislatura, che è giunta sostanzialmente alla sua scadenza naturale.";

in questo quadro si colloca l’atto di revoca in esame, che deve perciò essere rapportato ai termini previsti nell’art. 6, comma 1, della legge n. 145 del 2002 in caso di scadenza naturale della legislatura; scadenza da individuare nella data del 27 aprile 2006, giorno precedente a quello della riunione delle nuove Camere stabilito nel giorno del 28 aprile 2006 dal detto d.P.R. n. 33 del 2006;

con la conseguenza che l’atto risulta per tale profilo legittimo essendo stato nominato il ricorrente il 19 dicembre 2005, come precisato nel ricorso di primo grado (parte III "in diritto", pag. 16), valendo a tale fine (alla luce di quanto prima considerato sulla specificità giuridica delle formali determinazioni assembleari) la riunione dell’Assemblea della Società tenutasi in tale data (e non atti precedenti come ulteriormente prospettato in appello).

2.2.2. Il Collegio giudica anche corretto il giudizio reso nella sentenza di primo grado rispetto all’asserito vizio della mancata comunicazione di avvio del procedimento, condividendo, anzitutto, l’interpretazione non formalistica dell’art. 7 della legge n. 241 del 1990, convalidata da costante giurisprudenza, per cui il vizio non sussiste se all’interessato sia stata comunque data aliunde nozione dell’avvio del procedimento, con la conseguente possibilità di rappresentarvi le proprie valutazioni. E ciò si riscontra nel caso di specie avendo il Direttore Generale competente inviato al ricorrente (quale Amministratore delegato), nonché al Presidente del Consiglio di Amministrazione (e, per conoscenza ai componenti del Collegio dei revisori dei conti ed al magistrato della Corte dei Conti delegato) una lettera, in data 17 maggio 2006 (prot. n. 6286), che così inizia: "In considerazione di quanto previsto dall’art. 6, comma 1, della legge n. 145/2002, si suggerisce di voler congelare qualsiasi deliberazione e qualsiasi attività che ecceda l’ordinaria amministrazione", e che prosegue, in evidente connessione con l’affermazione iniziale, richiamando la possibilità della modificazione dell’indirizzo strategico della Società da parte del nuovo Ministro e chiedendo di "far pervenire un quadro delle criticità" riguardo a talune categorie di spesa, nel quadro della "particolare situazione di difficoltà di codesta società"; a questa lettera il ricorrente risponde il 18 maggio successivo affermando, anzitutto, di "non comprendere il riferimento all’art. 6, comma 1, della legge 145/2002", contestando specificamente nel merito, al contempo, l’applicabilità della norma e poi il presupposto delle richieste pervenute.

Da tutto ciò si desume con chiarezza che il ricorrente è stato reso edotto dell’avvio del procedimento di cui si tratta, dal Dirigente di vertice del settore, organo competente perciò a manifestare la volontà dell’Amministrazione in materia, apparendo evidente, nel contesto dato, che neppure si può individuare una mera ipotesi di avvio, venendo citata espressamente la norma sul potere di revoca, chiedendo di congelare ogni atto eccedente l’ordinaria amministrazione di una Società ritenuta in difficoltà, e, d’altro lato, mostrandosi di tutto ciò ben consapevole il ricorrente.

2.2.3. Neppure possono essere accolte le ulteriori censure relative a profili del procedimento concluso con l’atto impugnato. Infatti: non è illegittimo un provvedimento che unifichi due contenuti decisionali (atto di indirizzo e provvedimento per la revoca) se, come avvenuto nella specie, chiaramente riferiti ai differenti presupposti normativi su cui le determinazioni si basano, specificamente motivati e non contraddittori; il potere di indirizzo strategico sulla Società chiaramente spetta al Ministro per i beni e le attività culturali ai sensi dell’art. 5bis del citato decreto legge n. 118 del 2003, per il quale, stante la titolarità delle partecipazioni societarie in capo al Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, "…il Ministro per i beni e le attività culturali esercita i diritti dell’azionista, sentito il Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica per quanto riguarda i profili patrimoniali, finanziari e statutari"; la revoca dei componenti il Consiglio di Amministrazione non ha incidenza diretta sui profili patrimoniali, finanziari e statutari (non essendovi modifica dello statuto), per cui non vi è luogo al parere del Ministro del Tesoro (oggi Ministro dell’economia); è legittima, infine, la revoca dell’organo in quanto tale, considerato che l’art. 6, comma 1, della legge n. 145 del 2002, prevede la possibilità di revoca "degli organi di vertice e dei componenti dei consigli di amministrazione" consentendo la facoltà di revoca sia del collegio che di singoli componenti.

2.2.4. Si esaminano ora censure dedotte in appello più direttamente attinenti al contenuto dell’atto impugnato, relative, alla asserita contrarietà rispetto al compito istituzionale della Società dell’indirizzo di fondo, impartito dal Ministro, a che la stessa non si proponga come "competitore" sul mercato per svolgere, invece, "un ruolo di servizio e supporto ai protagonisti del cinema italiano", alla violazione della normativa comunitaria sugli aiuti di Stato ed alla natura asseritamente generica, non innovativa e contraddittoria degli indirizzi dati.

Anche tali censure non possono essere accolte.

Si deve infatti osservare, per il primo profilo, che oggetto statutario dell’attività della Società è "l’esercizio….di attività nel settore del cinema dell’industria cinematografica e affine…allo scopo di promuoverne lo sviluppo, in ambito nazionale ed internazionale…" (art. 4), non risultando perciò incoerente con tale finalità istituzionale il richiamo ad una funzione di supporto del cinema italiano, per il secondo, che la tematica degli aiuti di Stato non si pone ai sensi dell’art. 87 del Trattato CE in astratto, rispetto cioè alla definizione di un obbiettivo strategico in un atto di indirizzo del Ministro ma, eventualmente, in concreto nel caso di interventi di sostegno finanziario ad imprese, e, per il terzo profilo, infine, che l’analisi del grado di innovatività o intriseca coerenza degli indirizzi del Ministro esula dal sindacato del giudice amministrativo.

2.2.5. Nell’appello sono riproposte quindi contestazioni puntuali dei dieci rilievi critici sull’operato del Consiglio di Amministrazione contenuti nell’atto del Ministro.

Il Collegio, esaminati tali rilevi ritiene che essi attengano a fatti gestionali di merito (esemplificativamente: dalla "fortissima conflittualità interna al Consiglio" a quella riscontrata "con le controllate", all’avvio di "piani e progetti non contenuti nelle linee di indirizzo dell’azionista" ovvero dalla formalizzazione di nomine negli organi di vertice delle controllate e partecipate non comunicate all’azionista o alla Direzione Generale, o ad iniziative, come la realizzazione di "canali tematici e nuove strutture per 400mila mq. di cubature" giudicate non previste "né dalla legge, né dallo statuto") e che su di essi, e sulla loro contestazione, di conseguenza non spetta al Giudice pronunciarsi, pena la indebita espressione di valutazioni di merito invasive della discrezionalità amministrativa (nella specie particolarmente ampia), essendo compito del Giudice amministrativo verificare se l’atto impugnato sia stato adottato nell’esercizio di un potere attribuito dalla legge, a conclusione di un procedimento corretto e motivato in modo adeguato e non irragionevole o illogico, non riscontrandosi per tali profili la illegittimità del provvedimento in esame.

2.2.6. Non possono essere accolte, infine, le domande risarcitoria ovvero di indennizzo. Non si riscontra, infatti, per il primo profilo, il presupposto della condotta non jure dell’Amministrazione, non essendo stata accertata l’illegittimità del provvedimento impugnato, né potendosi convenire, si soggiunge, sulla formazione in capo al ricorrente di legittimo affidamento sulla stabilità della sua nomina, avvenuta invero in periodo di poco antecedente allo scioglimento della Camere ed essendo da tempo vigente l’art. 6 della legge n. 145 del 2002, norma di certo nota a chi operi con funzioni di vertice nel sistema delle società a partecipazione pubblica, con la conseguenza della consapevolezza della precarietà del provvedimento di nomina a seguito della cessazione della legislatura. Né, per il secondo profilo, il Collegio ritiene evocabile per il caso in esame l’art. 21quinquies della legge n. 241 del 1990, dovendosi ritenere che l’art. 6, comma 1, della legge n. 145 del 2002 è norma speciale, di disciplina di una fattispecie tipizzata di revoca fondata sul presupposto specifico della possibile modifica dell’indirizzo politicoamministrativo originata dal risultato della elezione del Parlamento, e nella quale non è previsto indennizzo a seguito della revoca stessa.

3. Per quanto considerato l’appello è infondato e deve perciò essere respinto.

Le spese seguono, come di regola, la soccombenza. Esse sono liquidate nel dispositivo.
P.Q.M.

respinge l’appello in epigrafe.

Condanna l’appellante al pagamento delle spese del presente grado di giudizio, che liquida nel complesso in euro 4.000,00 (quattromila/00), di cui euro 2.000,00 (duemila/00) complessivamente a favore delle amministrazioni statali costituitesi, ed euro 2000,00 (duemila/00) a favore di C.H. S.p.a., oltre gli accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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