CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. III PENALE – SENTENZA 9 marzo 2010, n. 9255. Non si può ampliare un immobile con la DIA.

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Svolgimento del processo

Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Lecce ha confermato la pronuncia di colpevolezza di L. Rosa in ordine ai reati di cui agli art. 44 lett. c) del DPR n. 380/2001 e 181 del D. Lgs n. 42/2004, a lei ascritti per avere eseguito, in zona sottoposta a vincolo, lavori di ampliamento di un fabbricato preesistente per una superficie di mq. 2,80 riguardanti un vano destinato a bagno, senza il permesso di costruire e senza l’autorizzazione della amministrazione preposta alla tutela del vincolo.

La L. aveva proceduto alla esecuzione dei lavori di cui alla contestazione previa presentazione di una DIA per l’esecuzione di interventi di ristrutturazione e di modifiche interne di un fabbricato preesistente.

La Corte territoriale ha rigettato i motivi di gravame con i quali l’appellante aveva dedotto la illegittimità del D.M. 18.5.1999, con il quale è stato imposto il vincolo paesaggistico sul centro abitato del Comune di Ceglie Messapico, per carenza di potere dello Stato in materia, nonché l’ammissibilità dell’intervento sulla base della DIA presentata.

Sul primo punto la sentenza ha osservato che, anche a seguito della delega di funzioni da parte dello Stato alle regioni in materia paesaggistica, di cui al DPR n. 616/77, permane un potere concorrente dello Stato in ordine alla imposizione di vincoli e che, in ogni caso, la zona interessata dall’intervento edilizio risultava vincolata anche ai sensi del P.U.T.T. della Regione Puglia, che aveva individuato l’area in questione come “zona di notevole interesse pubblico”.

Sul secondo punto la sentenza ha osservato che i lavori eseguiti, avendo comportato un aumento di volumetria, nonché modificazioni della sagoma e dei prospetti del fabbricato preesistente, dovevano essere assentiti mediante il permesso di costruire ai sensi dell’art. 10 del DPR n. 380/2001.

Avverso la sentenza ha proposto ricorso il difensore dell’imputata, che la denuncia per violazione di legge.

Motivi della decisione

Con un unico, articolato, mezzo di annullamento la ricorrente denuncia la violazione ed errata applicazione degli art. 82 del DPR n. 616/1977, 10, 34, 37, e 44 del DPR n. 380/2001, 181 del D. Lgs n. 42/04.

In primo luogo la ricorrente ripropone l’eccezione di illegittimità del D.M. 18.5.1999 con il quale il centro storico del Comune di Ceglie Messapico era stato dichiarato di notevole interesse pubblico ai sensi della legge 29 giugno 1939 n. 1497.

Si osserva che ai sensi dell’art. 82 del DPR n. 616/1977, vigente alla data della emanazione del D.M. citato, erano state delegate alle regioni le funzioni amministrative esercitate dagli organi centrali e periferici della Stato per la protezione delle bellezze naturali; che la norma attribuiva al Ministro per i beni culturali ed ambientali solo il potere di integrare gli elenchi delle bellezze naturali approvate dalle regioni o di emettere provvedimenti inibitori della esecuzione di lavori o la loro sospensione allorché rechino pregiudizio a beni qualificabili come bellezze naturali, anche indipendentemente dalla inclusione negli elenchi; che secondo la corretta interpretazione della norma di cui alla sentenza della Corte Costituzionale n. 359/85, a seguito della delega di funzioni è residuato a favore dello Stato, in materia paesaggistica, solo un potére integrativo degli elenchi previsti dall’ente regionale ed inibitorio, con esclusione della possibilità di esercitare funzioni impositive del vincolo in via autonoma.

Sicché il predetto D.M. risulta illegittimo per carenza di potere dell’amministrazione statale che lo ha emesso.

Si deduce, poi, che l’affermazione secondo la quale il vincolo paesaggistico risulterebbe in ogni caso esistente in base alla previsioni del P.U.T.T. della regione Puglia è anche essa errata, non essendosi tenuto di quanto disposto dalle N.T.A..

Si osserva che l’art. 5.02, comma 1, stabilisce espressamente che l’autorizzazione non deve essere chiesta per i beni sottoposti a tutela dal Piano che ricadano nei territori costruiti di cui all’art. 1.03; che l’immobile oggetto dell’intervento edilizio è sito nel centro storico di Ceglie Messapico, la cui area è tipizzata dallo strumento urbanistico vigente come zona omogenea A, e cioè ricadente nell’ambito dei “territori costruiti” di cui all’art. 1.03, con la conseguente esclusione del vincolo previsto dal P.U.T.T..

Si deduce, infine, con riferimento al reato di cui all’art. 44 del DPR n. 380/2001, che il modesto ampliamento del fabbricato preesistente, che aveva interessato un vano destinato a stanza da bagno, senza che venisse modificata la sagoma o il prospetto dell’edificio, ovvero il carico urbanistico, poteva essere realizzato in base alla sola DIA e non richiedeva il rilascio del permesso di costruire.

Si osserva inoltre che, in ogni caso, considerata la scarsa consistenza dell’aumento volumetrico, la difformità realizzata non può qualificarsi essenziale.

Il ricorso non è fondato.

La sentenza impugnata ha correttamente affermato in punto di diritto che, anche a seguito della delega di funzioni da parte dello Stato alle regioni in materia paesaggistica, di cui all’art. 82 del DPR n. 616/1977, permane un potere concorrente dello Stato in ordine alla imposizione dei vincoli.

Invero la citata sentenza 21.12.1985 n. 359 della Corte Costituzionale ha espressamente affermato che l’art. 82 del DPR citato deve essere interpretato, tenendo conto della disciplina costituzionale del paesaggio quale è stabilita nell’art. 9 Cost..

Questo erige il valore estetico – culturale riferito (anche) alla forma del territorio a valore primario dell’ordinamento, e correlativamente impegna tutte le pubbliche istituzioni, e particolarmente lo Stato e la Regione, a concorrere alla tutela e alla promozione di quel valore.

È stato quindi precisato dal giudice delle leggi a proposito della delega di funzioni contenuta nella disposizione citata che la stessa è “caratterizzata dalla conservazione allo Stato di poteri, che sono difficilmente riducibili, secondo quanto si è già accennato, ai normali poteri del delegante come definiti in via generale dalla legge n. 382 del 1975 (artt. 2 e 3) e dal D.P.R. n. 616 del 1977 (art. 4 u.c.), ed anzi sono da ritenere – in considerazione della sostanziale identità di oggetto e di contenuto che essi presentano rispetto ai poteri delegati e dell’inutilità che la stessa specifica previsione da parte dell’art. 82 D.P.R. n. 616 del 1977 rivestirebbe nel caso di loro coincidenza con i normali poteri del delegante come sopra definiti – poteri concorrenti”.

Ancor più chiaramente la successiva sentenza della Corte Costituzionale 27.6.1986 n. 153 ha affermato che “L’innegabile obbligatorietà della formazione da parte della Regione degli strumenti urbanistici in funzione di tutela paesistica entro il termine fissato dalla legge – almeno per il territorio relativo alle zone protette ai sensi dell’art. 82, comma quinto, del D.P.R. n. 616 del 1977, aggiunto dall’art. 1 del D.L. n. 312 del 1985, quale sostituito dall’art. 1 della legge n. 431 del 1985 – e la stessa sancita obbligatorietà degli interventi statali previsti per la mancata formazione dei detti strumenti inducono la Corte a interpretare l’implicito e pur improprio riferimento, operato dall’art. 1 bis, comma secondo, suindicato, ai poteri sostitutivi previsti per le funzioni regionali delegate dall’art. 4 del D.P.R. n. 616 del 1977 (oltre che ai poteri inibitori previsti dall’art. 82 stesso decreto) in un senso pregnante e cioè nel senso della attribuzione allo Stato (in aggiunta ai poteri inibitori connessi al vincolo paesistico) di poteri surrogatori comprensivi della adozione, in luogo della Regione rimasta inerte, sempre per il territorio come sopra considerato, di piani paesistici, con il contenuto previsto nella suindicata normativa che li riguarda, ovvero di altri interventi, anche questi limitati alla specifica considerazione e tutela dei valori paesistici ed ambientali”.

Deve essere, quindi, affermato, in osservanza delle citate pronunce del giudice delle leggi, che, in base ad una interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 82 DPR n. 616/77, alla luce del disposto di cui all’art. 9, comma secondo, della Costituzione, e, peraltro, ai sensi dell’art. 4 dello stesso DPR, lo Stato legittimamente esercita in materia paesaggistica poteri di imposizione del vincolo in via sostitutiva delle regioni nel caso di inerzia delle medesime.

Deve conseguentemente escludersi qualsiasi profilo di illegittimità del DM 18.5.1999, che ha imposto il vincolo paesaggistico sul centro storico del Comune di Ceglie Messapico, essendo evidente l’esercizio da parte dello Stato di funzioni surrogatorie della Regione, nell’inerzia dell’ente locale, cui fa riferimento lo stesso provvedimento impositivo.

Il rigetto delle censure afferenti al DM citato rende superfluo l’esame delle ulteriori argomentazioni della ricorrente a proposito delle previsioni del PUTT della Regione Puglia, che peraltro non hanno formato oggetto di adeguata disamina da parte del giudice di merito.

Anche le argomentazioni della ricorrente con le quali sostiene che, nel caso in esame, l’intervento edilizio non era subordinato al rilascio del permesso di costruire sono infondate e, peraltro, basate su deduzioni fattuali che risultano in contrasto con l’accertamento di merito. La sentenza, invero, al fine di affermare la illegittimità dell’intervento effettuato mediante la presentazione di una DIA per l’esecuzione di lavori di ristrutturazione, fa riferimento, oltre all’aumento volumetrico, anche a modificazioni della sagoma e del prospetto dell’edificio, sicché ricorrono le condizioni che, ai sensi dell’art. 10, primo comma lett. c), del DPR n. 380/2001, rendono necessaria la richiesta del permesso di costruire.

È, infine, inconferente il riferimento della ricorrente alla natura non essenziale della difformità, riferendosi l’istituto alla esecuzione di lavori assentiti mediante il permesso di costruire e non all’ipotesi di interventi eseguiti in base a DIA, mentre, invece, avrebbero dovuto essere autorizzati mediante il permesso di costruire.

Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato.

Ai sensi dell’art. 616 c.p.p. segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Nota

1.Il fatto.
Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Lecce ha confermato la pronuncia di colpevolezza di L. Rosa in ordine ai reati di cui agli art. 44 lett. c) del DPR n. 380/2001 e 181 del D. Lgs n. 42/2004, a lei ascritti per avere eseguito, in zona sottoposta a vincolo, lavori di ampliamento di un fabbricato preesistente per una superficie di mq. 2,80 riguardanti un vano destinato a bagno, senza il permesso di costruire e senza l’autorizzazione della amministrazione preposta alla tutela del vincolo. Il difensore dell’imputata ricorre in Cassazione ma il ricorso viene rigettato

2.Il quesito.
Si può ampliare un immobile sottoposto a vincolo paesaggistico senza permesso di costruire?

3.La risposta della Cassazione.
La Cassazione risponde di no.

4.Nota esplicativa.
La Cassazione rigetta il ricorso di un imputata per il reato di “abuso edilizio” in quanto aveva costruito un bagno esterno al proprio immobile senza richiedere il permesso di costruire. Il ricorso era prevalentemente fondato sulla carenza di potere da parte dello Stato nella imposizione dei vincoli paesaggistici per cui era da considerarsi illegittimo il decreto ministeriale che sottoponeva a vincolo paesaggistico il comune dove era stato costruito il manufatto abusivo. La Cassazione ha infatti affermato che “….anche a seguito della delega di funzioni da parte dello Stato alle regioni in materia paesaggistica, di cui all’art. 82 del DPR n. 616/1977, permane un potere concorrente dello Stato in ordine alla imposizione dei vincoli.Invero la citata sentenza 21.12.1985 n. 359 della Corte Costituzionale ha espressamente affermato che l’art. 82 del DPR citato deve essere interpretato, tenendo conto della disciplina costituzionale del paesaggio quale è stabilita nell’art. 9 Cost..Questo erige il valore estetico – culturale riferito (anche) alla forma del territorio a valore primario dell’ordinamento, e correlativamente impegna tutte le pubbliche istituzioni, e particolarmente lo Stato e la Regione, a concorrere alla tutela e alla promozione di quel valore.È stato quindi precisato dal giudice delle leggi a proposito della delega di funzioni contenuta nella disposizione citata che la stessa è “caratterizzata dalla conservazione allo Stato di poteri, che sono difficilmente riducibili, secondo quanto si è già accennato, ai normali poteri del delegante come definiti in via generale dalla legge n. 382 del 1975 (artt. 2 e 3) e dal D.P.R. n. 616 del 1977 (art. 4 u.c.), ed anzi sono da ritenere – in considerazione della sostanziale identità di oggetto e di contenuto che essi presentano rispetto ai poteri delegati e dell’inutilità che la stessa specifica previsione da parte dell’art. 82 D.P.R. n. 616 del 1977 rivestirebbe nel caso di loro coincidenza con i normali poteri del delegante come sopra definiti – poteri concorrenti”.Ancor più chiaramente la successiva sentenza della Corte Costituzionale 27.6.1986 n. 153 ha affermato che “L’innegabile obbligatorietà della formazione da parte della Regione degli strumenti urbanistici in funzione di tutela paesistica entro il termine fissato dalla legge – almeno per il territorio relativo alle zone protette ai sensi dell’art. 82, comma quinto, del D.P.R. n. 616 del 1977, aggiunto dall’art. 1 del D.L. n. 312 del 1985, quale sostituito dall’art. 1 della legge n. 431 del 1985 – e la stessa sancita obbligatorietà degli interventi statali previsti per la mancata formazione dei detti strumenti inducono la Corte a interpretare l’implicito e pur improprio riferimento, operato dall’art. 1 bis, comma secondo, suindicato, ai poteri sostitutivi previsti per le funzioni regionali delegate dall’art. 4 del D.P.R. n. 616 del 1977 (oltre che ai poteri inibitori previsti dall’art. 82 stesso decreto) in un senso pregnante e cioè nel senso della attribuzione allo Stato (in aggiunta ai poteri inibitori connessi al vincolo paesistico) di poteri surrogatori comprensivi della adozione, in luogo della Regione rimasta inerte, sempre per il territorio come sopra considerato, di piani paesistici, con il contenuto previsto nella suindicata normativa che li riguarda, ovvero di altri interventi, anche questi limitati alla specifica considerazione e tutela dei valori paesistici ed ambientali”.Deve essere, quindi, affermato, in osservanza delle citate pronunce del giudice delle leggi, che, in base ad una interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 82 DPR n. 616/77, alla luce del disposto di cui all’art. 9, comma secondo, della Costituzione, e, peraltro, ai sensi dell’art. 4 dello stesso DPR, lo Stato legittimamente esercita in materia paesaggistica poteri di imposizione del vincolo in via sostitutiva delle regioni nel caso di inerzia delle medesime..”. Appare evidente, quindi, che se la regione sia inerte nella imposizione dei vincoli paesaggistici bene può lo Stato sostituirsi alla stessa nel determinare, anche alla luce dell’art.9 della Costituzione, quali siano le zone della regione che, per il loro valore paesaggistico, hanno bisogno di una particolare tutela e che, in ambito urbanistico, richiede per gli interventi edilizi da effettuare la richiesta di un permesso di costruire che impone una valutazione ex ante dell’impatto dell’intervento richiesto sul tessuto urbanistico “protetto”.

5.Precedenti conformi.
Nessuno

Spunti bibliografici.

Codice penale annotato con la giurisprudenza, DIKE,2009.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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