Cass. civ. Sez. V, Sent., 05-05-2011, n. 9882 Imposta valore aggiunto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Nell’ambito di una indagine svolta dalla Procura della Repubblica di Belluno, furono acquisite le risultanze di conti correnti bancari intestati alla ditta individuale Essebi Auto di B.O. ed a quest’ultimo personalmente. Su autorizzazione del magistrato penale, la Guardia di Finanza trasmise un processo verbale di constatazione che evidenziava, per l’anno 1997, versamenti che superavano per L. 148.296.308 l’ammontare delle operazioni contabilizzate nel bilancio aziendale. Non avendone il contribuente offerto giustificazioni plausibili, l’Ufficio notificò, ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, conseguente avviso di rettifica della dichiarazione Iva. La CTR ha annullato l’avviso accogliendo il ricorso del contribuente. L’Agenzia delle Entrate ricorre per la cassazione della sentenza. L’intimato resiste con controricorso, nel quale spiega ricorso incidentale condizionato.
Motivi della decisione

I ricorsi proposti avverso la stessa sentenza vanno riuniti ( art. 335 c.p.c.).

Il contribuente ha prodotto in appello copia della sentenza del Tribunale di Belluno (n. 04/388 del 23.06.2004) che lo ha assolto dal reato di usura addebitatogli a seguito delle indagini oggetto del rapporto della Guardia di Finanza. La CTR ha osservato che il giudice penale aveva ritenuto "assai probabile" che alla base dell’imputazione ci fosse "un articolato giro di assegni atto a coprire … difficoltà finanziarie". "La sentenza, dunque, valorizza quanto il sig. B. aveva affermato davanti alla GdF … Questo fatto … va ad inficiare la base della presunzione adottata dalla P.A. nell’iter logico che ha portato all’emanazione dell’avviso di rettifica in argomento, privandola di quelle caratteristiche di gravità, precisione e concordanza necessarie a sostenere l’impianto accusatorio".

Il ricorso principale denuncia violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 51 e 54, nonchè dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 654 cod. pen., e vizio di motivazione carente o contraddittoria su punti decisivi. Deduce che, avendo riconosciuto che l’avviso era legittimamente fondato sull’art. 51, la CTR non poteva ritenere prive dei requisiti di legge le presunzioni poste a base dell’accertamento; nè poteva porre a fondamento della decisione la sentenza penale di assoluzione, in violazione del principio di separazione ed autonomia tra processo penale e processo tributario.

I motivi sono fondati.

Il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, consente che i dati risultanti dai conti correnti intestati all’imprenditore siano posti a base delle rettifiche previste dall’art. 54 "se il contribuente non dimostra che ne ha tenuto conto per la determinazione del reddito soggetto ad imposta o che non hanno rilevanza allo stesso fine".

Trattasi di una presunzione legale a favore del Fisco rispetto alla quale non si pone l’esigenza di valutare la ricorrenza dei requisiti (di gravità, precisione e concordanza) che attribuiscono rilevanza alle presunzioni di fatto in base alle quali è dato "anche" presumere l’esistenza di attività non dichiarate ai sensi dell’ultima parte dell’art. 54, comma 1. La prova contraria incombe al contribuente, e non può essere desunta dall’esito di un giudizio penale che abbia escluso la realtà dei fatti presunti dalla legge tributaria, perchè nel processo penale la prova incombe all’accusa e non si applicano nè le limitazioni della facoltà di prova (come il divieto dell’assunzione di testimonianze) nè le presunzioni che sussistono in sede tributaria. Sicchè il giudice tributario può bene assumere a base della decisione gli elementi emersi nel processo penale, ma solo in base ad autonoma valutazione condotta alla stregua delle regole probatorie proprie del giudizio tributario (Cass. 10269/2005).

Il ricorso incidentale è infondato. Vi si sostiene che la CTR avrebbe respinto i primi due motivi di appello del contribuente con una motivazione insufficiente e contraddittoria. L’appellante aveva sostenuto che l’avviso di accertamento non era adeguatamente motivato, perchè richiamava le movimentazioni bancarie senza spiegare perchè facessero ritenere l’esistenza di operazioni commerciali non fatturate; e che l’Ufficio non avrebbe potuto rifarsi alla motivazione del p.v.c. della Guardia di Finanza senza averne direttamente verificato i rilievi sulla contabilità aziendale, come aveva ammesso di aver fatto.

Il denunciato vizio di motivazione non sussiste. La presunzione posta dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, fondava essa stessa il collegamento fra gli accrediti bancari non contabilizzati e l’attività d’impresa, sicchè la CTR nulla doveva aggiungere al richiamo del p.v.c. per disattendere il primo motivo d’appello. Al secondo la CTR ha coerentemente risposto, osservando che la verifica era stata effettuata dalla Guardia di Finanza (nè era necessario che l’Ufficio la ripetesse o che motivasse specificamente perchè ne condivideva le risultanze: Cass. 2780/2001).

Va dunque accolto il ricorso principale, e respinto quello incidentale. La causa può essere decisa nel merito con rigetto dell’originario ricorso del contribuente, introduttivo della lite (poichè non risulta che fossero state prospettate altre rilevanti questioni di fatto, non esaminate dalla CTR).

Le spese processuali devono seguire la soccombenza per tutto il processo.
P.Q.M.

Riunisce i ricorsi. Accoglie quello principale e rigetta quello incidentale. Cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta l’originario ricorso, introduttivo della lite. Condanna il contribuente al rimborso delle spese del processo, liquidate in Euro 1.000 per onorari oltre spese prenotate a debito per il giudizio di legittimità; ed in Euro 300 per diritti e Euro 700,00 per onorari, oltre spese generali ed accessori di legge, per ciascuno dei gradi di merito.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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