Cass. civ. Sez. V, Sent., 05-05-2011, n. 9877 redditi d’impresa

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

A seguito di p.v.c. della Guardia di Finanza, conseguente ad accertamenti incrociati che avevano riguardato alcune società operanti nel settore del commercio delle carni, veniva notificato alla s.n.c. Fratelli Annunciata di Annunziata Giuseppe e C. avviso di accertamento per II.DD. relativamente all’anno 1994, con il quale si accertava un reddito di impresa di L. 866.000.000 circa a fronte di un reddito dichiarato di L. 82.200.000 circa. Ciò essenzialmente sulla base di tre rilievi che riguardavano: 1) costi per operazioni di acquisto di merci ritenute soggettivamente inesistenti; b) ricavi non fatturati, risultanti da operazioni attive e passive eseguite su conto corrente intestato ad un ex dipendente; c) l’importo di L. 15.645.000 relativo a imposte e tasse non deducibili.

La contribuente impugnava l’atto impositivo, limitatamente al primo e al secondo rilievo, dinanzi alla C.T.P. di Napoli che dichiarava però il ricorso inammissibile perchè sottoscritto dalla parte personalmente, anzichè da un difensore abilitato, ritenendo in proposito ininfluente la successiva nomina operata dalla società.

Quest’ultima proponeva però gravame e la C.T.R. della Campania con sentenza n. 96/11/04 depositata il 15.12.2004 e non notificata, dichiarato ammissibile il ricorso, accoglieva parzialmente l’impugnazione, determinando il reddito netto della società per l’anno in questione a L. 162.500.000, corrispondenti a Euro 83.924,00.

Per la cassazione della sentenza di secondo grado proponeva ricorso l’Agenzia delle Entrate articolando cinque motivi, all’accoglimento dei quali si opponeva la società intimata con controricorso ritualmente e tempestivamente notificato, eccependo tra l’altro l’inammissibilità del ricorso per mancanza di procura in favore dell’Avvocatura Generale dello Stato.
Motivi della decisione

1. Preliminarmente rileva la Corte d’ufficio che il ricorso è da ritenersi tempestivo poichè, benchè nella nota di iscrizione a ruolo sia indicato il 31.1.2006 quale data di consegna all’Ufficiale Giudiziario per la notifica, in realtà dal timbro apposto sull’originale con l’indicazione della data di ricezione da parte del suddetto ufficio, l’adempimento suddetto risulta tempestivamente eseguito il 30.1.2006 (ultimo giorno utile), conformemente del resto a quanto è dato dedurre dall’annotazione a penna sull’atto:

"Originale. Si notifichi 30/1/06 ultimo giorno", che, a voler dar fede alle risultanze della nota d’iscrizione a ruolo, risulterebbe altrimenti priva di significato.

2 . Tanto premesso, infondata è l’eccezione di inammissibilità del ricorso formulata dalla controricorrente. Al riguardo questa Suprema Corte ha già avuto modo più volte di affermare, con giurisprudenza senz’altro condivisa da questo Collegio, che è ben vero che a decorrere dall’1.1.2001 – data di operatività D.M. 28 dicembre 2000, ex art. 1, delle Agenzie fiscali istituite con D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 300, – all’Agenzia delle Entrate che ha personalità di diritto pubblico è stata trasferita la titolarità di tutti i rapporti giuridici che non siano di competenza di altre Agenzie come è pur vero che – a sensi del cit. D.Lgs. n. 300 del 1999, art. 72, che richiama il R.D. 30 ottobre 1933, n. 1611, art. 43 – l’Agenzia delle Entrate ha la facoltà e non l’obbligo di avvalersi del patrocinio dell’Avvocatura dello Stato.

Peraltro quando l’Agenzia si avvalga dell’Avvocatura dello Stato come nel caso (essendo noto che con il Protocollo d’intesa del 21.3.2001 l’Avvocatura è divenuta organo legale di rappresentanza in giudizio dell’Agenzia che ha rinunziato ad avvalersi per il periodo di validità di esso Protocollo di avvocati cassazionisti del libero foro) non è necessario che l’ente rilasci una specifica procura all’avvocatura medesima per il singolo giudizio, essendo applicabile anche a tale ipotesi la disposizione dell’art. 1, comma 2 del R.D. cit., secondo cui gli avvocati dello Stato esercitano le loro funzioni innanzi a tutte le giurisdizioni ed in qualunque sede e non hanno bisogno di mandato (Cass. SS.UU. 23020/05; cfr. Cass. 12.2.2010, n. 3427).

3. Passando quindi all’esame del ricorso, con il primo motivo denuncia la ricorrente la violazione dell’art. 18, lett. e) o in subordine del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21, per non aver il giudice di merito ritenuto l’inammissibilità del ricorso per mancanza dei motivi o in subordine per omessa sottoscrizione da parte del difensore, nonchè la violazione art. 112 c.p.c., per extrapetizione per aver il giudice di appello pronunciato su censure di merito che, a dire dell’Agenzia, non si saprebbe quando e da chi sollevate, e in ogni caso da ritenersi tardive. ti motivo è sotto ogni profilo infondato, se non addirittura inammissibile come anche rilevato dal P.G. in udienza.

Ed invero:

a) per quanto relativo alla lamentata mancanza dei motivi nel ricorso introduttivo della contribuente, il ricorso risulta privo di autosufficienza non riproducendo affatto i contenuti del ricorso, se non attraverso una generica e insufficiente sintesi, così da non consentire la valutazione della rilevanza della questione. Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, infatti, anche quando nel ricorso per cassazione sono denunciati "errores in procedendo" è necessario, per il principio di autosufficienza del ricorso, e quindi per non incorrere nel vizio di genericità della doglianza, che siano indicati con precisione gli elementi di fatto che consentano di controllare la decisività dei vizi dedotti (v. per tutte Cass. 31.1.2006, n. 2140; 20.9.2006, n. 20405; 17.1.2007, n. 978);

b) per quel che riguarda invece la pretesa violazione dell’art. 21 cit. la censura, tra l’altro richiamata solo nell’epigrafe del motivo e successivamente neanche illustrata, risulta comunque chiaramente infondata dovendosi condividere in proposito quanto affermato dal giudice del gravame circa l’efficacia sanante della successiva nomina del difensore, avvenuta prima ancora dell’udienza di discussione. In tal senso univoche sono le indicazioni che si ricavano dalla giurisprudenza di legittimità avendo questa Suprema Corte a Sezioni Unite già avuto modo di precisare che: "Nel processo tributario, il giudice chiamato a conoscere di una controversia di valore superiore a L. 5.000.000, a norma del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 12, comma 5, e art. 18, commi 3 e 4, è tenuto a disporre che l’attore parte privata che stia in giudizio senza assistenza tecnica si munisca di essa, conferendo incarico a difensore abilitato; con la conseguenza che l’inammissibilità del ricorso può essere dichiarata solo a seguito della mancata esecuzione di tale ordine. Una siffatta lettura delle disposizioni del D.Lgs. n. 546 del 1992 è l’unica conforme a Costituzione, secondo la sent. n. 189 del 2000 della Corte costituzionale, non rinvenendosi interpretazioni alternative che assicurino effettività alla tutela del diritto fondamentale di difesa nel processo ed adeguata tutela contro gli atti della P.A., alla stregua degli artt. 24 e 113 Cost., ove si consideri la peculiarità del processo tributario (che, dovendo essere introdotto attraverso un meccanismo impugnatorio di determinati atti impositivi, da esercitarsi entro brevissimi termini di decadenza, già comporta, rispetto al modello classico del processo civile, foltissime compressioni di quelle garanzie costituzionali)" v. SS.UU. 2.12.2004 n. 22601 Cfr. Cass. 9.10.2009, n. 21459; 6.6.2007, n. 13208);

c) la denuncia del vizio di extrapetizione risulta a sua volta inammissibile per mancanza di autosufficienza, per le stesse ragioni già esposte al punto a) che precede.

4. Con il secondo motivo deduce ancora la ricorrente il vizio di extra petizione nel quale sarebbe incorso il giudice del gravame per aver deciso nel merito la controversia nonostante che in appello la contribuente non avesse riproposto le relative censure, onde anche la carenza d’interesse all’impugnazione.

Il motivo è infondato.

In tema di appello, la regola per cui le domande non esaminate perchè ritenute assorbite, pur non potendo costituire oggetto di motivo d’appello, devono comunque essere riproposte ai sensi dell’art. 346 cod. proc. civ., non trova applicazione in caso di impugnazione della decisione che ha giudicato inammissibile il ricorso di primo grado, costituendo essa inequivocabile manifestazione di volontà di proseguire nel giudizio, con implicita riproposizione della domanda principale, specialmente quando tale volontà sia anche chiaramente espressa con l’esplicito rinvio, nelle conclusioni dei motivi di appello, al ricorso introduttivo, non avendo altrimenti alcuna valida e concreta ragione la sola impugnativa della questione preliminare di rito (negli esposti termini v. Cass. 9.6.2010 n. 13855).

5. Con il terzo motivo deduce la ricorrente la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2, artt. 2727 e 2697 c.c., nonchè difetto di motivazione della sentenza, con riferimento a quanto deciso dalla C.T.R. in ordine alla questione relativa al disconoscimento di costi per fatture emesse a fronte di operazioni ritenute soggettivamente inesistenti.

Il motivo è inammissibile perchè ancora una volta totalmente privo di autosufficienza e assolutamente generico: la ricorrente, invero, non solo non specifica compiutamente come avrebbe l’Ufficio assolto l’onere della prova dell’inesistenza delle operazioni (sia pure mediante presunzioni dotate dei requisiti prescritti dal citato art. 39), ma addirittura pretende, a quel che sembra, di ricavare quella prova dalla inesistenza della società che avrebbe dovuto eseguire le prestazioni fatturate in favore della odierna ricorrente, assumendo al riguardo che tale essenziale presupposto "sembra di capire, risulta dai verbali degli accertamenti incrociati". In tal modo, dunque, è la stessa Agenzia ricorrente a prospettare dubbi sulle risultanze istruttorie, assolutamente incompatibili con il preliminare giudizio di rilevanza da formularsi in ordine ai vizi denunciati.

6. Con il quarto motivo l’Agenzia denuncia la violazione dell’art. 654 c.p.p. per aver il giudice di appello erroneamente fondato la sua decisione sul giudicato formatosi sulla sentenza penale di assoluzione emessa nei confronti degli amministratori della società Frat.li Annunziata dal Tribunale di Nola.

Neppure la doglianza in questione può essere accolta perchè la lettura della sentenza impugnata induce a ritenere il riferimento alla pronuncia penale in essa contenuto, avuto riguardo alla complessiva motivazione esposta dal giudicante, privo di concreta valenza decisoria perchè ivi riportato "ad abundantiam", e pertanto insuscettibile di essere utilmente criticato in questa sede.

7. Con il quinto ed ultimo motivo denuncia infine la ricorrente la violazione del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 75 (ora art. 109) comma 4 e 5 e art. 2697 c.c. relativamente a quanto sostenuto in sentenza per affermare la parziale infondatezza dell’accertamento anche per la parte riguardante i ricavi desunti dalle operazioni registrate sul c/c intestato all’ex dipendente.

Assume al riguardo l’Agenzia che avrebbe errato il giudice di merito, nella ricostruzione dei redditi della società, a considerare deducibili anche i costi in nero, giacchè la deduzione dei costi ai fini della determinazione del reddito imponibile sarebbe stata da ritenersi consentita solo qualora ne fosse risultata documentata la riferibilità all’esercizio in discussione ("competenza") e la "inerenza", e non potrebbe pertanto aver luogo nel caso di specie quale mero effetto "della presunzione di cui il Fisco si avvale nel considerare acquisti e ricavi i movimenti bancari non dichiarati, presunzione che implicitamente investe anche l’inerenza e la competenza di quei movimenti al fine della ricostruzione dell’imponibile".

Il motivo è inammissibile perchè, nella sinteticità e genericità della sua formulazione, non censura la ratio decidendi, che non ha ad oggetto il riconoscimento di ulteriori costi deducibili, connessi alle operazioni effettuate e non registrate, bensì il ridimensionamento dei maggiori ricavi accertati in capo alla società, per effetto dell’assorbimento di quelli conseguenti alle operazioni di versamento effettuate sul conto corrente (L. 531.660.000), nel complessivo ammontare di L. 626.117.000, corrispondente ai ricavi desunti dalle operazioni in uscita registrate sullo stesso conto (calcolati sulla base della percentuale di redditività dell’11,50% applicata all’importo degli acquisti che l’Ufficio ha ritenuto essere stati eseguiti al nero). Onde, per effetto della deduzione dall’importo dei maggiori ricavi riconosciuti, dei costi accertati nella misura di L. 561.540.000, la riduzione del maggior reddito accertato a L. 64.577.000. 8. Conclusivamente il ricorso in esame deve dunque essere rigettato, con conseguente condanna dell’Agenzia al rimborso delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna l’Agenzia al rimborso delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 5.200,00 di cui Euro 200,00 per spese vive, oltre spese generali e accessori come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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