Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 25-01-2011) 07-03-2011, n. 8869

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza della Corte d’Appello di Brescia in data 20.1.2009, in parziale riforma della sentenza del Giudice per l’udienza preliminare presso il Tribunale di Brescia in data 10.10.2007, T.R. veniva condannato alla pena di anni due e mesi otto di reclusione per il reato di continuato di atti sessuali violenti, atti osceni in luogo pubblico ed ingiuria (commesso in (OMISSIS)) affiancando P.L. e F.L., allorchè si trovavano a bordo della loro autovettura, esibendo alle stesse il proprio organo genitale, il (OMISSIS) avvicinandosi alla P., palpandole le natiche, slacciandole il giubbino e cercando di strapparle gli altri abiti, spingendola contro un muro e rivolgendole le frasi che bel culo che hai, che bel seno che hai, mi ti faccio subito, ed il (OMISSIS) rivolgendo alla P. le frasi prima o poi mi ti faccio, sei una troia, sei una puttana.

Con detta sentenza, in particolare, in accoglimento dell’appello presentato dal Procuratore Generale, la Corte bresciana modificava l’originaria imputazione di tentativo di violenza sessuale contestata con riferimento ai fatti del (OMISSIS) e ravvisava in relazione a detti fatti un unico episodio di violenza sessuale consumata.

La Corte Suprema di Cassazione, con sentenza in data 6.10.2009 annullava la predetta sentenza della Corte di Appello di Brescia limitatamente alla modifica dell’imputazione, con rinvio per nuovo esame, ravvisando un caso di mancanza o apparenza di motivazione sul punto ed ulteriori carenze motivazionali circa la corretta interpretazione da dare all’imputazione come formulata (se cioè si trattasse di un’ipotesi di atti sessuali tentati accanto ad un’ipotesi di altri atti sessuali comunque consumati, ovvero se, diversamente qualificata l’intera condotta, tutti gli atti potessero e dovessero essere ricondotti al reato consumato).

Con sentenza in data 9.4.2010, la Corte di Appello di Brescia ribadiva la riqualificazione dei fatti del (OMISSIS) come unico reato di violenza sessuale consumata ex art. 609 bis c.p., rideterminando la pena nei confronti di T.R. in anni due e mesi quattro di reclusione.

Avverso tale sentenza ricorre nuovamente per cassazione il difensore di fiducia di T.R. deducendo i seguenti motivi:

1. la violazione di legge ed il vizio motivazionale in ordine alla qualificazione nei termini suddetti dei fatti del (OMISSIS) e alla ritenuta inapplicabilità, comunque, all’episodio, anche così riqualificato, della speciale attenuante di cui all’ultimo comma dell’art. 609 bis c.p.;

2. la violazione di legge ed il vizio motivazionale in ordine alla ritenuta congruità della pena inflitta.
Motivi della decisione

Il ricorso è inammissibile, essendo le censure mosse manifestamente infondate e, la prima, anche aspecifica.

Infatti, è palese la sostanziale aspecificità della prima censura mossa che ha riproposto in questa sede pedissequamente la medesima doglianza rappresentata dinanzi alla Corte territoriale e da quel giudice, questa volta, disattesa con motivazione ampia e congrua, immune da vizi ed assolutamente plausibile. Ed è stato affermato che "è inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che ripropongono le stesse ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, dovendosi gli stessi considerare non specifici.

La mancanza di specificità del motivo, invero, dev’essere apprezzata non solo per la sua genericità, come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità conducente, a mente dell’art. 591, comma 1, lett. c), all’inammissibilità" (Cass. pen. Sez. 4, 29.3.2000, n. 5191 Rv. 216473 e successive conformi, quale: Sez. 2, 15.5.2008 n. 19951, Rv. 240109). Al riguardo giova osservare che in tema di annullamento con rinvio per vizio di motivazione, il giudice di rinvio, investito di pieni poteri di cognizione, può – salvi i limiti nascenti da eventuale giudicato interno – rivisitare il fatto con pieno apprezzamento ed autonomia di giudizio e, in esito alla compiuta rivisitazione, ben può addivenire a soluzioni diverse da quelle del precedente giudice di merito, ma può anche condividerne le conclusioni, pervenendo ad identico epilogo decisorio, purchè motivi il suo convincimento sulla base di argomenti diversi da quelli ritenuti illogici o carenti in sede di illegittimità (cfr. Cass. pen. Sez. 5, n. 41085 del 3.7.2009, Rv. 245389).

E ciò è quanto ha fatto questa volta la Corte di Appello, adducendo congrua ed ineccepibile motivazione a supporto della medesima decisione in precedenza annullata, a tal fine evidenziando come i contatti (palpeggiamenti e toccamenti) di zone erogene del corpo della vittima secondo quanto affermato da questa Corte di legittimità (Sez. 3, n. 14182 del 2006; n. 12446 del 10.10.2000, Rv.

218351; tra le più recenti: n. 35625 dell’11.7.2007, Rv. 237294) integrano la forma consumata del reato di violenza sessuale e come tutti gli atti posti in essere dall’imputato il (OMISSIS), essendo riferibili ad un unico contesto, confluissero in un unico reato consumato, con assorbimento di quelli di per sè costituenti tentativo di violenza sessuale in quelli che realizzavano la violenza consumata.

Congrua ed esente da vizi logici e giuridici è la motivazione addotta per negare l’attenuante di cui all’art. 609 bis c.p., u.c., laddove è stata compiutamente evidenziata l’insistenza, l’aggressività e la persecutorietà della condotta tenuta dal prevenuto ostativa al riconoscimento della impetrata attenuante.

Altrettanto dicasi per quanto riguarda la determinazione della pena riservata alla piena discrezionalità del giudice di merito e non abbisognevole di particolare supporto motivatorio, qualora si contenga entro limiti prossimi al minimo edittale: nel caso di specie, il calcolo della pena è appunto partito da minimo edittale con la riduzione massima per le concesse attenuanti generiche e con un modestissimo aumento per la continuazione.

Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, a norma dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma, che si ritiene equo liquidare in Euro 1.000,00, in favore della Cassa delle ammende, non ravvisandosi assenza di colpa in ordine alla determinazione della causa di inammissibilità.

Va disposto che, in caso di diffusione del presente provvedimento, siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 190 del 2003, art. 52 in quanto imposto dalla legge.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al pagamento della somma di Euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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