T.A.R. Lazio Roma Sez. II bis, Sent., 02-03-2011, n. 1945 Concessione per nuove costruzioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

– Che la ricorrente è proprietaria di un area nel Comune intimato, destinata dal PRG a completamento edilizio "B3", e dal relativo Piano Particolareggeiato di attuazione a parchegio, approvato con delibera consiliare n. 94 del 19.5.1982, a parcheggi e viabilità "F";

– Che, decaduto il piano per decorso del termine decennale di cui agli artt. 16 e 17 della legge n. 1150/1942, l’interessata ha chiesto al Comune il rilascio di un permesso di costruire, in conformità a quanto previsto da talune decisioni del Consiglio di Stato e di questo Tribunale trasttandosi, secondo quanto affermato, di lotto intercluso;

– Che, dopo il preavviso di rigetto e senza tenr conto delle osservazioni dell’interessata, il Comune ha viceversa rigettato la domanda, sul presupposto che la legge regionale n. 38/1999, art, 50, comma 2, non consente interventi di nuova edificazione nelle aree in cui il vincolo è divenuto inefficace, che il DPR n. 380/2001 consente, in attesa dell’approvazione dei previsti strumenti urbanistici attuativi, solo interventi su edifici esistenti, e che non vi era prova del rispetto dei necessari standard urbanistici;

– Che l’interessata ha impugnato il citato diniego, deducendo i seguenti motivi di impugnazione:

1) violazione della legge n. 1150/1942, artt. 16 e 17, e della legge regionale n. 38/1999, art. 50 commi 1 e 2, in quanto ai sensi della citata normativa, decorsi dieci anni, lo strumento attuativo decade e il Comune deve adottare la nuova pianificazione nelle aree rimaste libere entro 120 giorni, essendo preclusi i nuovi interventi edificativi solo fino al predetto termine (nella fattispecie ampiamente decorso);

2) violazione anche dell’art. 9, commi 1 e 2, del DPR 380/2001, indebitamente applicato, poiché disciplina le aree in cui, a contrario di quanto accaduto nelal fattispecie, lo strumento attuativo non è stato ancora attuato;

3) eccesso di potere sotto vari profili, subordinando il Comune l’esercizio di una legittima aspettativa della ricorrente non ad un qualsiasi interese pubblico generale, bensì solo alla propria inerzia, che a propria volta viola la legge;

– Che il Comune, costituitosi in giudizio, controdeduce che il termine di 120 giorni per la nuova pianificazione è solo ordinatorio e che il vincolo persiste, viceversa, fino alla nuova pianificazione, non essendo possibile rispettare altrimenti i necessari standard urbanistici di zona;

– Che, secondo quanto allegato in atti, la ricorrente è titolare di un’area che con il Piano Regolatore Generale adottato dal Comune destina ad espansione residenziale, anche se soggetta allo strumento attuativo, e che lo strumento attuativo sottopone viceversa a vincolo ritenuto, dallo stesso Comune, decaduto, e quindi preordinato all’esproprio o avente comunque carattere ablativo;

– Che, a giudizio del Collegio e secondo la costante giurisprudenza di questo Tribunale, non appare dubbia l’illegittimità del diniego, fondato sulla sussistenza di un vincolo avente carattere espropriativo e quindi oramai decaduto, e riferito ad un’area che il Comune doveva viceversa aver già pianificato nuovamente, non essendo evidentemente possibile riconoscere il carattere meramente ordinatorio di un termine temporale di legge riferito all’esercizio di un diritto garantito dagli artt. 41 e 42 della Costituzione;

– Che, peraltro, la decadenza del vincolo determina l’illegittimità del diniego ma non consente di accertare lo jus aedificandi della ricorrente, non essendo configurabile una automatica riespansione della destinazione edificatoria, originariamente prevista dal PRG ma dallo stesso subordinata all’adozione di uno strumento attuativo decaduto, per l’appunto, insieme al vincolo, né la ricorrente fornisce adeguata prova in giudizio della sussistenza di un lotto intercluso o del rispetto dei previsti standard nella specifica fattispecie in esame;

– Che la questione in esame, osserva il Collegio, è assai complessa sul piano giuridico oltreché su quello tecnico. Da un lato, infatti, per costante giurisprudenza nel caso di decadenza dei vincoli preordinati all’espropriazione, manca totalmente la disciplina delle costruzioni e si protrae nel tempo proprio quell’inconveniente (la sostanziale inedificabilità dell’area) che il legislatore aveva voluto evitare con la decadenza dei vincoli per decorso del tempo, in ossequio al chiaro insegnamento della Corte Costituzionale e della stessa Corte di Strasburgo circa l’illegittimità di una ablazione non temporanea e senza congruo indennizzo delle facoltà insite al diritto di proprietà dominicale, tradizionale archetipo della figura del diritto assoluto del singolo, che lo Stato deve garantire e proteggere. Pertanto, l’amministrazione comunale è obbligata a provvedere in tempi brevi e con sollecitudine, trasformandosi, in caso contrario, il decorso del tempo in inerzia illegittima. D’altro lato, peraltro, la giurisprudenza riconosce all’amministrazione locale la facoltà di decidere se proseguire nell’attuazione dell’originario P.R.G. adottando il necessario strumento attuativo, ovvero provvedere con una variante parziale limitata alla specifica area, ovvero provvedere con una nuova pianificazione generale. Il procedimento in esame, inoltre, è caratterizzato dalla compresenza, non solo, di adempimenti istruttori, procedurali e provvedimenti di natura tecnica ed amministrativa, bensì, anche di momenti di ampia discrezionalità amministrativa e di decisione politica, circa i possibili usi del territorio comunale e circa la conseguente conformazione del diritto di proprietà "allo scopo di assicurarne la funzione sociale" ( art. 42, secondo comma, Cost.), spettanti (ai sensi del Titolo V della Costituzione) agli organi comunali collegiali, esponenziali dell’interesse pubblico generale della Comunità locale secondo un principio di rappresentanza democratica;

– Che, a giudizio del Collegio, deve comunque trovare applicazione il principio sancito dalla sentenza 1220 maggio 1999, n. 179 (Gazz. Uff. 26 maggio 1999, n. 21 – Serie speciale), con la quale la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del combinato disposto dagli artt. 7, numeri 2, 3 e 4, e 40, della legge n. 1150 del 1942, e 2, primo comma della legge n. 1187 del 1968, nella parte in cui consentivano all’Amministrazione di reiterare i vincoli urbanistici scaduti, preordinati all’espropriazione o comportanti l’inedificabilità, senza la previsione di indennizzo;

– Che la temporaneità ovvero la indennizzabilità dei vincoli aventi carattere ablativo del diritto di costruire caratterizza, quindi, il vigente ordinamento, ed è oggi puntualmente disciplinata dal D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327 (testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità), secondo il cui art. 9 il vincolo preordinato all’esproprio ha la durata di cinque anni, decorsi i quali decade e trova applicazione la disciplina dettata dall’articolo 9 del testo unico in materia edilizia approvato con decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380. Il vincolo può poi essere motivatamente reiterato, determinando (solo a quel momento) il diritto all’indennizzo (Cassazione civile, Sez. I, sent. n. 1754 del 26012007).

Viceversa, in caso di mancata reiterazione del vincolo, secondo la Cassazione Civile (Sez. I, Sent. n. 8384 del 31032008) in materia urbanistica, la scadenza del termine quinquennale del vincolo di destinazione di piano preordinato all’esproprio comporta il venir meno della regolamentazione urbanistica e l’applicazione delle norme di salvaguardia previste per i comuni sprovvisti di strumenti urbanistici generali (già art. 4, ultimo comma, legge n. 10 del 1977). Tuttavia, la situazione di inedificabilità conseguente alla sopravvenuta inefficacia di talune destinazioni di piano (cosiddetto vuoto urbanistico) è per sua natura provvisoria, avendo l’autorità comunale l’obbligo di reiterare il vincolo (con previsione di indennizzo) ovvero, in alternativa, di provvedere all’integrazione dello strumento pianificatorio divenuto parzialmente inoperante, stabilendo la nuova destinazione da assegnare all’area interessata;

– Che, conclusivamente, il ricorso deve essere accolto, annullando l’impugnato diniego ed assegnando al Comune, in relazione alla richiesta di parte ricorrente di veder accertare il proprio jus aedificandi, un termine temporale per il riesame che tenga conto della necessità di predisporre previamente un nuovo strumento urbanistico attuativo ovvero di conferire previamente una nuova destinazione urbanistica all’area (qualunque essa sia, ivi inclusa la possibile reiterazione del vincolo nei termini di legge). Resta, naturalmente, inteso che il Comune mantiene, come si è detto, la propria più generale potestà di pianificazione urbanistica del territorio, e quindi può limitarsi a statuire per l’area di proprietà della ricorrente ovvero inserire tale statuizione in un contesto territoriale più ampio, e che il privato mantiene tutte le proprie facoltà di disposizione e godimento del proprio bene, e che, quindi, la ricorrente ed i suoi aventi causa potranno utilizzare le nuove previsioni urbanistiche per precisare, modificare o rinnovare le proprie istanze amministrative;

– Che in ragione della complessità e parziale novità delle questioni giuridiche sottese, sussistono altresì motivate ragioni per disporre la compensazione delle spese di giudizio fra le parti.
P.Q.M.

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto annulla il provvedimento impugnato ed assegna al Comune intimato il termine di centoventi giorni dalla comunicazione o notifica a cura di parte della presente sentenza per il riesame della domanda di permesso di costruire illegittimamente respinta.

Compensa fra le parti le spese di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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