T.A.R. Lombardia Brescia Sez. II, Sent., 02-03-2011, n. 369 Edilizia e urbanistica

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

I. Il ricorrente espone:

– di aver acquistato nel 1973 un compendio immobiliare in Comune di Crema "delimitato da un vicolo privato, il cui sbocco sulla strada era come è delineato da una cancellata che si immette nella via Magri fra i numeri civici 16 e 18";

– di aver sostituito nel 1986 il vecchio cancello in legno (i cui cardini sarebbero ancora visibili) con un cancello di metallo, intendendo tale intervento quale manutenzione ordinaria.

In data 16.8.1995, il Comune inviava al ricorrente e al suo confinante nota intitolata "identificazione proprietà comunale", in cui veniva individuata l’area corrispondente al suddetto vicolo e a cui era allegato estratto catastale del relativo foglio 32, ove peraltro il vicolo non era indicato quale viabilità, bensì come lotto (mapp. 32).

Replicava il ricorrente con atto di contestazionediffida del 19.9.1995, cui il Comune rispondeva il 15 aprile 1996, ribadendo la proprietà comunale dell’area individuata al N.C.T.R. fg. 32 mapp. 289.

Seguiva nuova diffida 22.4.1996 del ricorrente che, in particolare, evidenziava come il cancello a chiusura della strada fosse stato posizionato per la prima volta oltre 20 anni prima, senza che nel trascorso ventennio fosse stato posto in dubbio il diritto di chiudere il cancello e di parcheggiarvi davanti.

Anche il Prefetto di Cremona, pronunciandosi sul ricorso del ricorrente avverso il verbale n. 4717/1996, con cui era stato contestato il parcheggio su passo carraio, affermava che – "giusta istruttoria espletata" – l’accesso al terreno de quo era di esclusivo utilizzo della famiglia del ricorrente "tranne un diritto di passo solo pedonale dei proprietari dell’immobile confinante" (ordinanza 11.11.1996, n. 656).

Sennonché, in data 10 aprile 1997 veniva notificata al ricorrente l’ordinanza 4 aprile 1997, con cui si ingiungeva la demolizione del cancello, nel presupposto che lo stesso insistesse su area di proprietà comunale e fosse stato realizzato in assenza di concessione edilizia.

Avverso tale provvedimento vengono dedotte in ricorso le seguenti censure:

1) Errore sui presupposti di fatto e diritto, difetto di istruttoria e motivazione, sviamento, violazione degli artt. 260 legge n. 662/1996, nell’assunto di fondo che il cancello esisterebbe da tempo immemorabile e, comunque, da oltre 20 anni e che la sua sostituzione con altro di diverso materiale ma identica struttura e dimensioni, risalente al 1986, si configurerebbe quale intervento di manutenzione ordinaria;

2) Errore sui presupposti di fatto e diritto, sotto ulteriore profilo; difetto di motivazione, contraddittorietà, illogicità in quanto il Comune, lamentando l’assenza di concessione edilizia, che può essere rilasciata solo al proprietario dell’area o agli aventi titolo, ingenererebbe nuovo affidamento in capo al ricorrente.

II. Il Comune di Crema si costituiva in data 10 luglio 1997, depositando documentazione; in particolare, il Comune deduceva che dagli atti di acquisto (dal 1925 in poi) dimessi in causa emergeva "indubitabilmente che il vicolo in oggetto ha sempre avuto natura comunale" e che "è solosulla base dell’errata indicazione contenuta nel rogito 22 dicembre 1973 (quello di acquisto da parte del ricorrente: NdR) – laddoveil vicolorisulta definito, per una semplice ma ben riconoscibile svista, "strada privata"- che il Ruini ritiene di poter affermare che la strada non appartiene al Comune e… l’avvenuto acquisto, per usucapione, del vicolo che qui interessa".

Il Comune sostiene, poi, l’inusucapibilità del vicolo, avente natura demaniale, e che, in ogni caso, il ricorrente avrebbe dovuto agire in altra sede per ottenere sentenza dichiarativa dell’acquisto per avvenuta usucapione ventennale.

III. Alla Camera di Consiglio dell’11 luglio 1997, la domanda cautelare di parte ricorrente veniva respinta (Ordinanza n. 652/97), per sostanziale non attualità del danno lamentato (ritenendosi, cioè, che la determinazione controversa postulasse ulteriori provvedimenti dell’Autorità amministrativa).

IV. Dopo la chiamata nel ruolo speciale di smistamento del 14 luglio 2009, la causa veniva fissata per la decisione di merito all’odierna Udienza pubblica.

In vista della quale, parte ricorrente produceva ulteriori documenti e memoria conclusiva.

V.1. Ciò premesso, il Collegio ritiene conferenti al caso qui in esame le coordinate ermeneutiche recentemente enunciate dal Giudice amministrativo (T.A.R. Molise, 8 ottobre 2008, n. 730) in fattispecie identica alla presente (ordinanza comunale recante ingiunzione di demolizione di alcune opere e manufatti, tra cui un cancello, in quanto asseritamente realizzati su strada comunale) e in riferimento a identico quadro normativo, fatto salvo l’aggiornamento formale e nominale costituito dal sopravvenire dal T.U. edilizia del 2001, rispetto alle disposizioni previgenti in materia.

V.2. La sentenza richiamata ha, in primo luogo, precisato come "non si giustificherebbe un provvedimento ripristinatorio, del tipo adottato, nell’ambito della normale attività di vigilanza in materia edilizia", perché "in caso di realizzazione, su suolo appartenente allo Stato o ad altro ente pubblico, di opere edilizie non idonee a determinare una volumetria aggiuntiva (cd. interventi "minori"), non è applicabile il regime sanzionatorio di cui all’art. 35 t.u. n. 380 del 2001 (e, in precedenza, di cui all’art. 14 legge 47/1985: NdE) il quale si riferisce alle sole ipotesi di opere eseguite "in assenza di permesso di costruire, ovvero in totale o parziale difformità dal medesimo" (comma 1) e di "interventi edilizi di cui all’art. 22 comma 3, eseguiti in assenza di denuncia di inizio attività, ovvero in totale o parziale difformità dalla stessa" (comma 3 bis)."

Invero, "per gli interventi edilizi riconducibili, come quelli in esame, all’articolo 22 commi 1 e 2 del d.p.r. n. 380 del 2001 (ovvero, in precedenza, al decretolegge 5 ottobre 1993, n. 398, art. 4, commi 7, 8, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 dicembre 1993, n. 493, come modificato dall’art. 2, comma 60, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, nel testo risultante dalle modifiche introdotte dall’art. 10 del decretolegge 31 dicembre 1996, n. 669; decretolegge 25 marzo 1997 n. 67, art. 11, convertito, con modifiche, dalla legge 23 maggio 1997, n. 135) e realizzati "in assenza della o in difformità dalla denuncia di inizio attività" (è il caso, in particolare, del cancello collocato sulla rampa di accesso all’abitazione del ricorrente), si applica la sanzione di tipo pecuniario di cui al successivo art. 37 (T.A.R. Lazio Roma, sentenza 5 ottobre 2005, n. 7851): ovvero, ratione temporis, di cui all’art. 10 legge 47/1985 (NdE)."

V.3. Esclusa, pertanto, la sussumibilità dell’ordine di demolizione de quo nell’ordinario potere comunale di vigilanza in materia edilizia, la sentenza n. 730/2008 ha ritenuto che l’atto impugnato,dovesse essere correttamente ricondotto " al solo potere di cui all’articolo 27 del d.p.r. n. 380 del 2001 (il quale, analogamente a quanto previsto dall’articolo 378 della legge n. 2248 del 1865 all. F e dall’articolo 823 codice civile, rientra nell’ambito dell’autotutela funzionale alla destinazione pubblica di alcuni beni ed opere pubbliche).

Diventa, allora, centrale l’aspetto dell’attuale, oggettiva destinazione pubblica di quel vicolo (denominato catastalmente come via "colle Stefano") che il ricorrente ha chiuso in un lato con un cancello, proprio in prossimità della rampa – dal medesimo realizzata su autorizzazione comunale – che collega il vicolo stesso al nuovo tracciato stradale realizzato dal Comune di Cerro al Volturno a quota inferiore.

Ed è proprio sotto questo aspetto che si manifesta la fondatezza del ricorso, atteso che il Comune resistente, nel provvedimento impugnato, ha dato erroneamente per certa l’attuale destinazione a viabilità pubblica del vicolo sul quale il ricorrente ha apposto il cancello. "

Il Tar Molise ha, dunque, concluso che "il ricorso deve essere accolto, atteso che il Comune, nel provvedimento impugnato, ha presupposto erroneamente – con generica e superficiale motivazione – come certa la destinazione pubblica del vicolo ".

V.4. E proprio a proposito della determinazione dell’appartenenza di una strada all’ente comunale, va osservato come la giurisprudenza della Corte di Cassazione sia consolidata nell’affermare che essa può desumersi dalle risultanze delle mappe catastali, espressamente qualificate alla stregua di "elementi presuntivi aventi i requisiti di gravità, precisione e concordanza prescritti dall’art. 2729 c.c. (sentenza 10.4.2001, n. 5339, richiamata nella più recente Sez. II, 9 novembre 2009, n. 23705, a sua volta ripresa, sul punto, da Consiglio di Stato, Sez. V, 7 dicembre 2010, n. 8624).

V.5. In ogni caso, una pronuncia di altro T.A.R. (Catanzaro, sez. II, 10 giugno 2008, n. 646) ha puntualizzato come anche nell’esercizio dei poteri repressivi di cui all’art. 14 della Legge n. 47/1985 l’amministrazione comunale "deve adeguatamente motivare sul pubblico interesse attuale al sacrificio delle posizioni soggettive facenti capo al privato, quando queste si siano consolidate in virtù del considerevole lasso di tempo intercorso dalla commissione dell’abuso e dell’inerzia degli organi preposti al controllo del territorio", evidenziando – con richiamo al consolidato orientamento giurisprudenziale, estrinsecatosi in numerosi precedenti, tutti richiamati – che in siffatta ipotesi "si ravvisa un onere di congrua motivazione che indichi, avuto riguardo anche all’entità ed alla tipologia dell’abuso, il pubblico interesse – evidentemente diverso da quello al ripristino della legalità – idoneo a giustificare il sacrificio del contrapposto interesse privato".

E che anche nel caso di specie il fattore "tempo" abbia una sua obiettiva incidenza, lo si può ricavare dalle stesse difese in giudizio del Comune, miranti a negare in radice l’applicabilità dell’istituto dell’usucapione ventennale a un’area che si asserisce demaniale, piuttosto che il fatto in sé della risalenza nel tempo della vicenda di cui è causa.

V.6. Facendo, dunque, applicazione al caso di specie dei principi giurisprudenziali sin qui riportati, occorre, conseguentemente, concludere:

i) che al di là del formale richiamo all’art. 7 legge 47/1985, l’ordinanza impugnata non può considerarsi espressione del normale potere di vigilanza urbanisticoedilizia, in quanto commina una sanzione non prevista dall’ordinamento che, viceversa, contempla per l’opera in contestazione (cancello) una mera sanzione pecuniaria;

ii) che, quindi, il Comune di Crema abbia, in realtà, inteso far uso del potere di autotutela demaniale, all’epoca previsto dall’art. 4 citata legge 47/1985 e oggi attribuito dall’art. 27 T.U. edilizia del 2001;

iii) che, tuttavia, detto potere risulta illegittimamente esercitato in quanto lo stesso Comune non ha sufficientemente motivato in ordine alla destinazione pubblica del vicolo di cui si tratta;

iv) che, per di più, è il ricorrente ad aver fornito in giudizio (docc. 5 e 26) un preciso elemento presuntivo di segno contrario, quale la scheda catastale del 1940, ove il vicolo di cui si controverte è definito "privato": e a tale produzione, effettuata per la prima volta il 12 giugno 1997 in uno con il deposito del ricorso, il Comune non ha opposto repliche e/o contestazioni puntuali in prosieguo di causa;

v) che, comunque, il Comune non ha, neppure, soddisfatto in sede provvedimentale l’ulteriore onere di congrua motivazione in ordine all’interesse pubblico alla demolizione, stante il rilevante intervallo temporale trascorso dal verificarsi della situazione fattuale su cui ha deciso di intervenire in via repressiva.

V.6. E’ appena il caso di osservare, poi, come sfuggano alla cognizione di questo Giudice le eventuali pretese proprietarie di natura "civilistica" che il Comune abbia inteso perseguire con il provvedimento qui impugnato e/o con i suoi scritti difensivi in giudizio, essendo pacifico per le Sezioni Unite della Corte di cassazione che "la controversia circa la proprietà, pubblica o privata, di strade, o circa l’esistenza di diritti di uso pubblico su strade private, è devoluta alla giurisdizione del giudice ordinario" (cfr. da ultimo, Cassazione civile sez. un., 27 gennaio 2010, n. 1624).

VI. In definitiva, risultano fondate:

– la censura di cui al primo mezzo di impugnazione, con cui si deduce che la realizzazione del cancelletto non è soggetta a concessione edilizia e non rientra nelle ipotesi di cui all’art. 7 legge 47/1985;

– la censura di cui al secondo mezzo di impugnazione, con cui si denuncia l’illogicità e contraddittorietà dell’ordinanza comunale, sostenendosi, anche sulla scorta delle risultanze catastali, la proprietà privata e non pubblica del vincolo.

Conclusivamente, il ricorso deve essere, per quanto sopra, accolto.

Le spese seguono la soccombenza e – in considerazione dell’epoca di proposizione del ricorso e dell’entità della res controversa – possono essere equitativamente liquidate in netti Euro 2.000,00 (euro 2.000/00), oltre IVA, CPA e rimborso spese forfetarie.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Seconda)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo ACCOGLIE e, per l’effetto, annulla l’ordinanza di demolizione in epigrafe.

Condanna il Comune di Crema a rifondere al ricorrente le spese di lite, che liquida in netti Euro 2.000, 00 (euro 2.000/00), oltre IVA, CPA e rimborso spese forfetarie.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *