T.A.R. Lombardia Milano Sez. II, Sent., 02-03-2011, n. 606

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

I fatti sono incontestati e pertanto si rinvia alle ricostruzioni di cui agli atti.

Va solo evidenziato che la società ricorrente, ha presentato nel 2006 una d.i.a. per la parziale ristrutturazione di un immobile, ad uso residenziale, con demolizione di una porzione di capannone a piano terra adibita ad uso officina, demolizione necessaria per rispettare gli indici di copertura.

In fase di realizzazione la società effettuava una serie di opere non conformi al progetto e non provvedeva a demolire il capannone.

Con ordinanza del 11.11.2009 prot. 897/2009 il Comune ingiungeva la demolizione delle opere abusive, nonché del capannone.

A fronte della istanza di sanatoria del 27.11.2009, veniva rilasciato il permesso di costruire in sanatoria n. 979/2009 del 23.2.3010, per le opere di completamento (che avevano comportato un ampliamento della palazzina), ribadendo tuttavia l’obbligo di demolizione del capannone esistente.

La ricorrente presentava, nel luglio 2010, una istanza per il rilascio del permesso di costruire per opere di recupero e riqualificazione del patrimonio edilizio esistente, ai sensi dell’art 2 c. 1 lett. a) L.R. 13/2009.

Dopo la comunicazione ex art 10 bis del 3.9.2010, l’Amministrazione con l’atto oggetto del presente gravame, rigettava la domanda, in quanto in contrasto con l’art 5 comma 3 della L.R. 13/2009 e disponeva la riattivazione dell’ordinanza di demolizione n. 897/2009.

Avverso detto provvedimento vengono articolati i seguenti motivi:

1) violazione e falsa applicazione dell’art 5 c. 3 lett. c) L.R. 13/2009; annullabilità del provvedimento per eccesso di potere per errata interpretazione e falsa applicazione delle norme in materia di qualificazione del patrimonio edilizio;

2) violazione e falsa applicazione dell’art 3 e dell’art 10 bis L. 241/90; eccesso di potere per difetto di motivazione in ordine al mancato accoglimento delle osservazioni.

Si costituiva in giudizio il Comune, chiedendo il rigetto del ricorso.

Alla camera di consiglio del 24 febbraio 2011 il ricorso veniva trattenuto in decisione, ai sensi dell’art 60 cod. proc. amm.

Il ricorso non è fondato.

Il primo motivo si incentra sulla applicabilità al caso di specie dell’art 2 della L.R. 13/2009: sostiene parte ricorrente che detta legge regionale, c.d. legge sulla casa, consentirebbe il recupero di edifici, derogando alle previsioni quantitative degli strumenti urbanistici comunali, e quindi potrebbe essere applicata al caso di specie, trattandosi di un intervento di riqualificazione: in tal modo verrebbe evitata la demolizione del capannone, venendo meno l’esubero volumetrico.

Sempre secondo la tesi della ricorrente, erroneamente l’Amministrazione avrebbe richiamato l’art 5 lett. c) (che esclude la possibilità di applicare gli artt. 2, 3 e 4 agli edifici in assenza di titolo abilitativo o in totale difformità, anche condonati), in quanto l’esclusione normativa si riferirebbe ad interi edifici realizzati in assenza o in difformità dal titolo abilitativo, mentre le opere realizzate sono state assentite con diversi titoli rilasciati nel corso degli anni e quindi l’immobile non si può considerare realizzato in assenza di titolo edilizio.

La tesi non è condivisibile.

Il fuoco del problema attiene alla possibilità di applicare ad un intervento abusivo la legge sulla casa, legge che introduce una normativa di favore, di stretta interpretazione.

La particolarità del caso in esame risiede poi nella circostanza che la parte dell’immobile ad uso residenziale sarebbe comunque stata condonata, mentre risulterebbe ancora abusiva solo una parte del complesso, cioè il capannone, la cui demolizione era condizione per il rilascio della sanatoria della parte residenziale.

Ad avviso del Collegio l’interpretazione del Comune è condivisibile, in quanto semplice applicazione di una chiara esclusione posta dalla legge: il particolare favor della legge casa non può trovare applicazione nell’ipotesi di opere abusive, anche se condonate: il legislatore ha voluto escludere la possibilità di un incremento volumetrico negli edifici già oggetto di sanatoria.

La società ricorrente vuole evitare la demolizione, applicando la legge sulla casa ad un immobile che in ogni caso è da considerasi in parte condonato (la struttura residenziale) in parte abusivo (il capannone).

A ciò consegue l’inapplicabilità della L.R. 13/2009, che opera solo per interventi futuri, ancora da realizzare e non può essere applicata per sanare opere abusive, recuperando in tal modo i maggiori volumi, in deroga alle previsioni quantitative degli strumenti urbanistici, che la legge "assegna" solo ad immobili dotati di titoli validi ab origine.

Sia consentito un paragone con l’art 146, c. 4, d.lgs. n. 42/2004 che esclude la possibilità di un provvedimento di accertamento di compatibilità paesaggistica in sanatoria, (salvo i casi tassativi di cui al successivo art 167): si tratta in entrambi i casi di ipotesi in cui la scelta del legislatore è quella di escludere la possibilità che l’intervento edilizio possa essere assentito dopo la sua realizzazione.

Parimenti priva di pregio la seconda censura, in cui si lamenta la mancata valutazione delle osservazioni presentate ex art 10 bis L. 241/90 e il difetto di motivazione.

Le osservazioni presentate dalla società si limitavano ad affermare la non applicazione dell’art 5 lett e): sul punto l’atto di rigetto, seppure in forma sintetica, ha indicato le ragioni per cui l’istanza non poteva essere accolta.

Inoltre la difesa dell’Amministrazione ha richiamato sul punto l’art 21 octies L. 241/90, dimostrando che la domanda di sanatoria non poteva essere accolta e il contenuto del rigetto non avrebbe potuto essere diverso da quello adottato, a fronte della condizione ostativa dell’art 5 L.R. 13/2009.

Per le ragioni sopra esposte, il ricorso va respinto.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate così come indicato nel dispositivo.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Seconda) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna la società ricorrente a liquidare a favore del Comune di Cologno Monzese le spese di giudizio, quantificate in Euro 2.000,00 (duemila/00) oltre oneri di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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