Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 21-12-2010) 07-03-2011, n. 8848 Motivi di ricorso

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 20 gennaio 2010 la Corte d’Appello di Torino ha confermato la sentenza del Tribunale di Cuneo del 5 febbraio 2009 che ha dichiarato C.L. colpevole dei reati di cui all’art. 624 c.p. e art. 625 c.p., nn. 2 e 7 per essersi impossessato di un marsupio contenente la somma di circa Euro 20,00, documenti, effetti personali e due telefoni cellulari, sottraendoli a G.D. che lo custodiva all’interno di un autocarro da lui utilizzato per lavoro e parcheggiato sulla pubblica via regolarmente chiuso a chiave, e di cui veniva forzata la serratura delle portiere laterali.

La Corte territoriale ha tratto la prova della responsabilità dall’utilizzo di una sim card intestata all’imputato con la quale era stato attivato uno dei cellulari rubati. La stessa Corte d’Appello ha inoltre escluso l’attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 4 in quanto il marsupio rubato conteneva anche dei documenti, ed ha ritenuto legittima l’applicazione della recidiva in considerazione del modesto aumento di pena considerato quale effetto di essa.

Il C. propone ricorso avverso tale sentenza lamentando, con il primo motivo, inosservanza di norma processuale stabilita a pena di nullità. In particolare si deduce la nullità del decreto di citazione a giudizio notificato al difensore ai sensi dell’art. 161 c.p.p., n. 4, quando tale tipo di notifica dovrebbe essere effettuata solo in caso di impossibilità di consegnare l’atto nel domicilio eletto o, in mancanza, nel primo domicilio conosciuto; nel caso in questione il primo domicilio conosciuto non era quello in cui era stato notificato il decreto di citazione a giudizio, ma quello diverso in cui era stato notificato il decreto di perquisizione e sequestro.

Con secondo motivo si lamenta mancanza e manifesta illogicità della motivazione. In particolare si deduce che la Corte territoriale avrebbe illegittimamente considerata prova della responsabilità l’utilizzo di una sim card intestata all’imputato sul cellulare rubato, in quanto tale sim card poteva bel essere stata utilizzata da terzi a seguito di furto o smarrimento.

Con il terzo motivo si lamenta il mancato riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 4 motivato con la presenza, nel marsupio rubato, anche di documenti personali, e si deduce che il documento non avrebbe valore economico e che il disagio materiale conseguente alla perdita del documento stesso non avrebbe rilevo economico.
Motivi della decisione

Il ricorso non è fondato e va conseguentemente rigettato.

Riguardo al primo motivo relativo alla notifica del decreto di citazione per il giudizio di appello, si osserva che questa è stata regolarmente eseguita presso il difensore di fiducia, in assenza di un domicilio dichiarato, ai sensi dell’art. 157 c.p.p., comma 8 bis, secondo cui le notificazioni all’imputato non detenuto successive alla prima sono eseguite mediante consegna al difensore di fiducia, e tale norma si applica a tutti i casi di notificazione disciplinati dall’art. 157, e, pertanto, anche se la prima notifica sia stata regolarmente eseguita nell’abitazione dell’imputato (Cass. Sez. 5, 11 ottobre 2005 n. 41649). Nel caso in esame la prima notifica è stata comunque eseguita in luogo conosciuto, nè risulta che sia stata successivamente data comunicazione di cambiamento. D’altra parte la notifica al difensore ai sensi della norma suddetta trova fondamento in un rapporto fiduciario, e non meramente formale, tra l’imputato ed il difensore e lascia libero l’imputato di interromperne in ogni momento l’automatismo, mediante l’elezione di domicilio, per cui l’imputato stesso non è in alcun modo pregiudicato da tale tipo di notifica.

Il secondo motivo di ricorso riguarda questione non conoscibile nel giudizio di legittimità, in quanto concernente la ricostruzione e la valutazione del fatto, nonchè l’apprezzamento del materiale probatorio, profili del giudizio rimessi alla esclusiva competenza del giudice di merito, che ha fornito una congrua e adeguata motivazione, immune da censure logiche, perchè basata su corretti criteri di inferenza, espressi in un ragionamento fondato su condivisibili massime di esperienza.

Come è noto la giurisprudenza della Corte di Cassazione ha ritenuto, pressocchè costantemente, che "l’illogicità della motivazione, censurabile a norma dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), è quella evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi, in quanto l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di Cassazione limitarsi, per espressa volontà del legislatore, a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo, senza possibilità di verifica della rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali" (Cass, 24.9.2003 n. 18; conformi, sempre a sezioni unite Cass. n. 12/2000;

n. 24/1999; n. 6402/1997).

Più specificamente "esula dai poteri della Corte di Cassazione quello di una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità, la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali" (Cass. sezioni unite 30.4.1997, Dessimone).

Il riferimento dell’art. 606 c.p.p., lett. e) alla "mancanza o manifesta illogicità della motivazione, quando il vizio risulta dal testo del provvedimento impugnato" significa in modo assolutamente inequivocabile che in Cassazione non si svolge un terzo grado di merito, e che il sindacato di legittimità è limitato alla valutazione del testo impugnato.

D’altronde, la Corte di merito richiama le risultanze istruttorie in modo sufficientemente compiuto e logico con motivazione comunque immune da vizi di legittimità.

Il terzo motivo relativo al mancato riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 4 è parimenti infondato in quanto la Corte territoriale ha congruamente e correttamente motivato sul punto richiamando, fra l’altro, anche la giurisprudenza di questa corte secondo cui il valore del documento non è costituito dal materiale da cui è formato, ma dal documento in sè che ha valore indeterminabile in considerazione del danno anche economico che può derivare dalla sua mancanza.

Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione, quarta sezione penale, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *