Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 02-12-2010) 07-03-2011, n. 8826 Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

P.C. e G.P.A. sono stati condannati, unitamente ad altri imputati non ricorrenti, nei due gradi di merito – sentenze emesse dal Tribunale di Brindisi il 21 gennaio 2008 e dalla Corte di Appello di Lecce il 23 giugno 2009 – alle pene, principale ed accessorie, ritenute di giustizia per partecipazione con funzione di promotore ed organizzatore di una associazione dedita al traffico di sostanze stupefacenti, oltre che per alcuni episodi di detenzione e spaccio di dette sostanze il primo, e per due episodi di detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti il secondo.

L’affermazione di responsabilità era fondata essenzialmente sugli esiti di intercettazioni telefoniche e sui servizi di appostamento della polizia giudiziaria. La Corte di Appello, nel confermare l’affermazione di responsabilità del primo giudice, rigettava le eccezioni di incompetenza per territorio, di inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche ed ambientali e di violazione di correlazione tra fatto contestato e sentenza; infine la Corte di secondo grado, dopo avere confutato nel merito le osservazioni degli appellanti in ordine ai singoli capi di imputazione, riduceva la pena inflitta ai due imputati riconoscendo la diminuente del rito abbreviato al P. e le attenuanti generiche al G..

Con il ricorso per cassazione P.C. deduceva:

1) la violazione delle norme processuali che determinano la competenza per territorio del giudice – artt. 8 e 9 c.p.p.. Rilevava il ricorrente che erroneamente era stata rigettata tale eccezione dai giudici di merito perchè non esisteva in atti alcun elemento dal quale desumere la esistenza di una struttura associativa facente capo al P. prima del 24 settembre 2004, tanto più che da alcune testimonianze – C.A. – si desumeva che i cugini R., presunti associati, non lavoravano in (OMISSIS), dal momento che in tale località lavorava il solo P.. Quindi in assenza di elementi certi dai quali desumere il luogo di inizio della attività della associazione si sarebbe dovuto fare riferimento alla commissione del primo dei reati fine, ovvero di quello di cui al capo H), fatto verificatosi, secondo la contestazione, in (OMISSIS), località rientrante nella competenza territoriale del Tribunale di Taranto. Infine il ricorrente negava che in siffatta situazione si potesse fare riferimento ai criteri suppletivi di cui all’art. 9 c.p.p., comma 1, potendosi, tutto al più, fare riferimento al criterio suppletivo di cui al citato art. 9 c.p.p., comma 3, dovendosi, pertanto, radicare la competenza presso la Procura che per prima aveva provveduto ad iscrivere la notizia di reato nel registro di cui all’art. 335 c.p.p., ovvero la Procura di Taranto;

2) la violazione dell’art. 268 c.p.p., comma 3, perchè era stata autorizzata dal PM la esecuzione delle intercettazioni con impianti esistenti presso la caserma dei carabinieri, essendo indisponibile la sala di ascolto esistente presso la Procura della Repubblica, dichiarata inagibile per presenza di amianto. Il ricorrente si doleva che a distanza di due anni dalla declaratoria di inagibilità si continuasse a fare ricorso ad una norma di carattere eccezionale;

3) la violazione dell’art. 522 c.p.p. perchè, pur essendo stata contestata e ritenuta una associazione radicata in (OMISSIS), erano stati contestati fatti di detenzione e spaccio avvenuti in altre località e presumibilmente opera di altre e diverse associazioni;

4) la inosservanza ed erronea applicazione del D.P.R. n. 309 del 1990, artt. 73 e 74. Il ricorrente, quanto al reato associativo, poneva in evidenza che tra le visite di alcuni coimputati in casa P. ed i viaggi a (OMISSIS), ove, secondo i giudici di merito, l’associazione si riforniva di sostanza stupefacente presso un tale M. non identificato, non vi era alcuna correlazione. Rilevava poi che male erano state interpretate alcune intercettazioni ambientali e telefoniche in un processo ove non vi erano stati sequestri di sostanza stupefacente. Infine il ricorrente denunciava che i giudici di merito non avevano tenuto conto dei criteri guida indicati dalla giurisprudenza per ritenere sussistente il delitto associativo. Quanto ai contestati episodi di spaccio il ricorrente rilevava quanto al capo B) che se era vero che il P. aveva incontrato il G., non era stata accertata la natura di tale incontro; stesse osservazioni sviluppava il ricorrente per l’episodio di cui al capo D) non essendo stata accertata la natura del rapporto tra S.V.A. ed il ricorrente. Si riportava il ricorrente alle considerazioni svolte in tema di delitto associativo per la violazione sub E) ed insisteva nel sostenere che la contestazione sub I) altro non fosse che una duplicazione di quella prevista al capo E).

5) la inosservanza dell’art. 62 bis c.p. per essere state negate le attenuanti generiche al ricorrente, nonostante i modesti quantitativi di sostanza stupefacente sequestrata.

G.P.A. deduceva i seguenti motivi di impugnazione:

1) la inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche ed ambientali per violazione dell’art. 267 c.p.p. e art. 268 c.p.p., comma 3. Il ricorrente, in particolare, si doleva del fatto che per le intercettazioni disposte con decreti 324/05, 265/04, 328/04 e 295/04 R.Ris. il decreto del Pubblico Ministero emesso ai sensi dell’art. 268, comma 3, non fosse motivato, contenendo soltanto un riferimento al provvedimento del Procuratore della Repubblica che, due anni prima, aveva dichiarato inagibile la sala ascolto esistente presso la Procura, senza che fosse stato posto riparo alla inagibilità. Con riferimento al decreto 265/04 R.RIS del 12 agosto 2004 il ricorrente faceva presente che erano state utilizzate per la intercettazione ambientale apparecchiature noleggiate da privati (ditta IES) il cui uso non era stato autorizzato dal GIP. Il decreto autorizzativo 295/04 del 15 settembre 2004 R.RIS presentava difformità tra quanto autorizzato dalla Autorità Giudiziaria ed il luogo di effettiva esecuzione delle operazioni di intercettazione;

2) la inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche ed ambientali per violazione dell’art. 267, commi 1, 2 e 3 perchè il GIP aveva autorizzato le intercettazioni con motivazione per relationem ed apodittica;

3) la inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche ed ambientali per violazione dell’art. 267 c.p.p., comma 3, in ordine alla mancata indicazione, in più occasioni, del periodo di proroga concesso dal GIP;

4) la violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) per illogicità e contraddittorietà della motivazione risultante dalla motivazione e dagli atti del processo in ordine alla ritenuta responsabilità del ricorrente fondata su circostanze fattuali non corrispondenti alla realtà processuale e senza tenere conto delle argomentazioni difensive sul punto. Quanto all’episodio di cui al capo B) il ricorrente rilevava che la lettura delle intercettazioni era del tutto apodittica ed illogica, sia perchè dalle stesse non era possibile evincere il coinvolgimento del G. nello spaccio, sia perchè in effetti si erano commerciati telefonini cellulari, sia, infine, perchè non si era raggiunto un accordo tra le parti perchè il G. avrebbe preteso di essere pagato anticipatamente senza fornire garanzie sul possesso della sostanza stupefacente. Con riferimento all’episodio di cui al capo C) dalle telefonate emergeva che presumibilmente era stato il R. a fornire sostanza stupefacente al S., mentre non vi erano elementi per affermare che il G. la avesse ceduta al R.. Il fucile che il S. diede a garanzia del pagamento fu ricevuto da tale C., che senza concreti elementi è stato ritenuto il socio del G..

5) il vizio di motivazione e la violazione di legge per erronea applicazione della legge penale in ordine al mancato riconoscimento dell’attenuante di lieve entità di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5 perchè sarebbero stati commerciati soltanto ventitre grammi di cocaina, corrispondenti a non più di trenta dosi, senza che nemmeno fosse stato stabilito il principio attivo contenuto nei predetti ventitre grammi. Inoltre erano soltanto tre gli episodi contestati e, quindi, ridotta era l’offensività della condotta del ricorrente, cosa che contraddittoriamente la Corte di merito aveva riconosciuto concedendo le attenuanti generiche.

I motivi posti a sostegno dei ricorsi proposti da P.C. e G.P.A. non sono fondati.

Le censure del P. – primo motivo di impugnazione – alla individuazione del foro competente in quello di Brindisi non sono fondate.

Come correttamente stabilito dai giudici dei primi due gradi di giurisdizione, nel caso di specie il reato più grave contestato è certamente quello di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, cosicchè la competenza territoriale va individuata nel luogo ove è stato commesso tale reato, essendo gli altri reati attratti per connessione ai sensi dell’art. 16 c.p.p..

Il delitto associativo contestato è un reato permanente, cosicchè, ai sensi dell’art. 8 c.p.p., comma 3, deve aversi riguardo al luogo ove ha avuto inizio la consumazione del reato, ovvero al luogo ove si è perfezionato l’accordo criminoso e dove veniva progettata e programmata l’attività del gruppo.

Se tali sono i presupposti di diritto per la individuazione del luogo del commesso reato come delineati dalle norme del codice in materia e dalla elaborazione giurisprudenziale, spetta poi ai giudici di merito individuare in concreto, con riferimento al caso di specie, il giudice territorialmente competente.

L’accertamento compiuto consiste in una valutazione di merito degli elementi acquisiti che, se sorretta da motivazione immune da vizi logici, non può essere censurata in sede di legittimità.

E’ poi il caso di ricordare che ai criteri suppletivi di cui all’art. 9 c.p.p. può farsi ricorso soltanto quando non è possibile determinare la competenza in base ai criteri di cui all’art. 8 c.p.p..

Tanto premesso si deve dire che nel caso di specie i giudici dei primi due gradi di giurisdizione hanno motivato del tutto logicamente la individuazione della circoscrizione del tribunale di Brindisi come luogo ove è stato commesso il reato più grave tra quelli contestati, ovvero il delitto di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74.

Essi, infatti, hanno rilevato che capo della organizzazione, come era lecito desumere da intercettazioni telefoniche – il numero uno – era certamente il P., che a quel tempo si trovava in detenzione domiciliare nella sua abitazione, posta nella circoscrizione brindisina.

Sempre dalle intercettazioni emergeva che il R.G., altro associato, si recava spesso presso l’abitazione del ricorrente per adottare le decisioni operative concernenti il traffico di sostanze stupefacenti; anche altri soggetti coinvolti nelle operazioni di spaccio si erano recati nella casa del ricorrente;

l’abitazione del ricorrente era, pertanto, il luogo ove aveva sede l’associazione, perchè è in tale luogo che venivano progettate e programmate le attività del gruppo.

Ebbene tali accertamenti non vengono scalfiti dalle considerazioni, peraltro di puro merito, del ricorrente.

Ed, infatti, la circostanza che prima del 24 settembre 2004 non risultassero contatti telefonici tra il P. e gli altri associati non significa affatto che quest’ultimo sia entrato a far parte dell’associazione in un momento successivo, ma significa semplicemente che sia stato intercettato soltanto dopo qualche tempo dall’inizio delle indagini.

L’affermazione che alcuni soggetti avessero precedentemente operato in regime di autonomia evidentemente non sposta i termini della questione perchè ciò che rileva è che nel momento in cui è divenuta operativa l’associazione questa ha avuto la sua base operativa nella abitazione del P., cosa che, come si è già detto, è stata accertata e logicamente motivata dai giudici dei primi due gradi di giurisdizione.

Non può avere ingresso in questa sede di legittimità una ricostruzione diversa della vicenda.

Deve essere, pertanto, disatteso il primo motivo di impugnazione del P..

Infondati sono anche il secondo motivo di impugnazione del P. ed il primo del G.P.A. concernenti la pretesa inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche ed ambientali acquisite.

Nei decreti del Pubblico Ministero si è, infatti, dato atto della indisponibilità della sala di ascolto esistente presso la Procura della Repubblica di Taranto, essendo la stessa stata dichiarata inagibile per la presenza di amianto. Tale situazione di fatto non è stata contestata dai ricorrenti, i quali, però, si sono doluti del fatto che a distanza di circa due anni dalla declaratoria di inagibilità del locale non si fosse provveduto al suo risanamento.

Orbene su un piano per così dire politico le censure dei ricorrenti possono anche essere condivise, nel senso che gli organi preposti alla rimozione delle cause di inagibilità del locale si sarebbero potute attivare per provvedere tempestivamente al risanamento della struttura, anche se è bene ricordare che la bonifica dall’amianto richiede tempo considerevole ed investimenti non irrilevanti, ma è certo su un piano giudiziario che nel caso di specie la indisponibilità degli impianti esistenti presso la Procura era del tutto pacifica e tanto legittimava senz’altro l’uso di strutture esistenti presso la polizia giudiziaria, non potendo l’eventuale ritardo nella bonifica ambientale rendere impossibile l’attività di intercettazione.

Quanto al fatto che sarebbero state utilizzate per la intercettazione apparecchiature noleggiate da privati – ditta IES – (primo motivo di impugnazione del G.), uso, peraltro, autorizzato dal GIP, va detto che l’obbligo di impiego di congegni in dotazione della polizia non attiene allo strumento giuridico – compravendita, comodato, locazione od altro – attraverso cui la polizia giudiziaria si procura le apparecchiature, che possono restare anche di proprietà del privato, ma impone soltanto a terzi il divieto di accedere alla strumentazione fino a quando essa sia utilizzata per la intercettazione (Cass., Sez. 6^, 16 giugno – 29 luglio 2005, n. 45103, CED 232700). E’ necessario anche ricordare che la legge non prevede che nel decreto di autorizzazione debba essere indicata la persona fisica che dovrà provvedere alla installazione di una microspia.

Quanto, infine, sempre con riferimento al primo motivo di impugnazione del G., alla pretesa difformità esistente tra quanto autorizzato e quanto eseguito con riguardo al decreto n. 295/04 R.RIS del 15 settembre 2004, va detto che dalla esposizione del ricorrente non si rilevano le indicate difformità perchè ciò che rileva ai fini della utilizzabilità delle intercettazioni è che la Procura della Repubblica indichi la ragione della indisponibilità degli impianti esistenti presso il proprio ufficio, cosa che, come detto, è stata fatta, ed autorizzi l’utilizzazione degli impianti esistenti presso la Polizia Giudiziaria, autorizzazione certamente esistente, come si è già notato, nel caso di specie; l’eventuale refuso o la eventuale omissione, peraltro non potuti controllare per difetto di allegazione, esistenti in un decreto non determinano alcuna inutilizzabilità.

Ritornando alla posizione del P., manifestamente infondato è il terzo motivo di impugnazione.

Non ha, infatti, nessun rilievo la circostanza che, nonostante l’associazione avesse la sua sede logistica in (OMISSIS), i reati – fine sarebbero stati commessi anche in altre località.

Anzi è normale che sia così perchè spesso le associazioni dedite al traffico di sostanze stupefacenti hanno sede in un luogo, ma poi esplicano la loro attività in campo nazionale ed anche extranazionale.

Non si comprende quale sarebbe in tale contesto la violazione del principio di correlazione tra fatto contestato e sentenza, che appare, invece, essere stato pienamente rispettato se soltanto si esaminano i capi di imputazione ed i dispositivi delle sentenze di merito.

Infondato è il quarto motivo del ricorso proposto dal P.; il motivo è anzi ai limiti della ammissibilità perchè il ricorrente ha cercato di fornire una ricostruzione dei fatti diversa da quella operata dai giudici di merito. A ben vedere, inoltre, il ricorrente non si duole tanto del fatto che sia stata ritenuta la esistenza di una associazione dedita allo spaccio di sostanze stupefacenti, quanto del fatto che il P. ne sia stato ritenuto promotore ed organizzatore.

Ed in effetti in ordine alla sussistenza di una associazione del D.P.R. n. 309 del 1990, ex art. 74 vi è ben poco da dire, dal momento che i giudici di merito, facendo corretto uso dei criteri da tempo delineati in materia dalla giurisprudenza di legittimità, hanno ritenuto, in base agli esiti delle intercettazioni telefoniche ed ambientali, oltre che a quelli dei servizi di appostamento ed ai sequestri di sostanza stupefacente, anche se di modesta entità, che un gruppo di persone progettava le operazioni in casa del P. – ne fanno fede le visite degli esponenti del gruppo in casa del ricorrente -, poi si recava prevalentemente a Bari presso un tale M. per acquistare sostanze stupefacenti – anche se stava individuando vie alternative di rifornimento, come emerge dalle conversazioni intercettate, – e successivamente provvedeva allo smercio in varie località, senza che la sostanza stupefacente dovesse necessariamente transitare per la casa del P., come sembra ritenere il ricorrente.

I giudici, inoltre, indicavano anche la esistenza di una struttura organizzativa di tipo gerarchico – il P. veniva indicato come numero uno ed un esponente del gruppo, il R., si presentava come ragazzo dei (OMISSIS) -, l’uso di un linguaggio gergale tra i componenti del gruppo e la programmazione di un numero indeterminato di reati – fine; la esistenza degli elementi indicati era tratta essenzialmente dagli esiti delle intercettazioni telefoniche. In proposito deve ricordarsi che, secondo la giurisprudenza di legittimità, la interpretazione delle conversazioni intercettate compete ai giudici di merito, cosicchè se tale interpretazione sia sorretta, come nel caso di specie, da una motivazione immune da manifeste illogicità, non può la Corte di Cassazione sovrapporre una propria interpretazione; le censure del ricorrente sul punto debbono, pertanto, essere disattese.

Gli altri rilievi del ricorrente sul punto appaiono di merito e, quindi, inammissibili in sede di legittimità; è bene ricordare che la Corte di merito ha riportato ampi brani delle conversazioni intercettate e ne ha fornito una ragionevole e convincente interpretazione; su tale aspetto della questione non appare utile soffermarsi oltre.

Venendo ai singoli episodi di spaccio contestati al P. bisogna osservare che le censure sono essenzialmente di merito e, come tali, inammissibili in sede di legittimità.

In ogni caso va detto che le censure in ordine al capo B) appaiono anche generiche ed omettono un punto importante della motivazione dalla quale si desume che la natura dei rapporti tra il P. ed il G. – è indiscutibile che quest’ultimo si sia recato a casa del ricorrente – sono chiariti dalla telefonata intercorsa alcuni giorni dopo la visita tra il R.G. ed il P., conversazione della quale il ricorrente non ha tenuto conto.

Analoghe considerazioni valgono per i rilievi concernenti il capo D) relativo ai rapporti con il S., indicato come nuovo canale di rifornimento della sostanza stupefacente.

Il ricorrente si è limitato a riproporre la tesi difensiva che la visita del S. aveva la finalità di coinvolgere il P. in una associazione di carattere culturale – (OMISSIS) – che si proponeva di valorizzare la valle di (OMISSIS).

Il ricorrente non ha tenuto in nessun conto le considerazioni della Corte di merito, che ha disatteso motivatamente la tesi difensiva, e non ha osservato nulla sugli elementi non equivoci emergenti da alcune conversazioni intercettate, che debitamente interpretate dai giudici di merito dimostravano che il S. niente altro era se non un fornitore di droga del P..

Sul punto il ricorrente, ignorando gli argomenti della Corte di merito, si è limitato ad osservare che vi era stata una forzata interpretazione del contenuto della conversazione – rectius delle conversazioni -.

La genericità del motivo è evidente.

Del tutto generici sono i rilievi relativi al capo E); sul punto il ricorrente si è riportato alle osservazioni svolte con riferimento alla imputazione di cui al capo A).

Si deve allora rinviare alle considerazioni già svolte ed osservare, comunque, che la motivazione che sorregge l’affermazione di responsabilità per il capo E) è immune da vizi logici e si fonda su una precisa interpretazione di alcune conversazioni intercettate.

In modo del tutto apodittico il ricorrente ha affermato che la contestazione sub I) sia niente altro che la ripetizione di quella sub E) senza tenere conto che la Corte di merito ha, invece, spiegato che si tratta degli specifici episodi di acquisto di stupefacente dal barese M., materialmente curati da parte di R. G., appositamente recatosi nel capoluogo pugliese, per un valore di Euro 15.000, 00, operazioni finanziate dal P..

Si tratta, quindi, di episodi del tutto diversi da quelli contestati al capo E). Il motivo deve essere, pertanto, disatteso.

Di merito è il quinto motivo di impugnazione perchè la Corte di merito ha negato le circostanze attenuanti generiche al ricorrente in considerazione dei plurimi e specifici precedenti penali e della gravità della condotta posta in essere mentre si trovava in regime di detenzione domiciliare.

A fronte di ciò non ha evidentemente alcun rilievo il fatto che siano stati sequestrati modesti quantitativi di sostanza stupefacente.

Del primo motivo di impugnazione di G.P.A. si è già detto a proposito del primo motivo di impugnazione del P..

Infondato è anche il secondo motivo di impugnazione perchè la motivazione del decreto di autorizzazione delle intercettazioni del GIP ben può essere per relationem alla richiesta del Pubblico Ministero ed alla informativa della Polizia Giudiziaria, atti noti alle parti o conoscibili dalle stesse, con implicito giudizio di adesione ad essi (Cass., Sez. 1, 10 febbraio – 11 marzo 2010, n. 9764, CED 246518).

Generico è il terzo motivo di impugnazione perchè il ricorrente si è limitato ad osservare che in più occasioni il GIP, nel provvedimento di concessione della proroga delle intercettazioni, ha omesso di indicarne il periodo. Il ricorrente, infatti, non ha ottemperato ad un onere di allegazione con la indicazione specifica, oltre che con la allegazione in copia del decreto al ricorso, dei provvedimenti che sarebbero carenti di tale indicazione, onere che si desume dal principio di autosufficienza del ricorso.

In ogni caso, come ha ricordato la Corte di merito, la durata delle intercettazioni viene determinata dal Pubblico Ministero e per le indagini di criminalità organizzata, come è nel caso di specie, tale durata non può essere superiore ai quaranta giorni.

La proroga della intercettazione viene disposta dal GIP per periodi successivi di venti giorni, come chiarito dall’art. 13 del decreto L. 13 maggio 1991, n. 152 e successive modifiche; cosicchè non appare necessaria la indicazione della durata della intercettazione prorogata, essendo essa stabilita nei termini indicati dal legislatore.

Anche il quarto motivo di impugnazione è infondato, ed anzi è ai limiti della ammissibilità perchè il ricorrente ha sostenuto che l’affermazione di responsabilità era fondata su circostanze fattuali non corrispondenti alla realtà processuale; in tal modo il motivo di ricorso esorbita dai limiti indicati dall’art. 606 c.p.p., lett. c).

Del resto non può questa Corte sovrapporre una propria valutazione degli elementi processuali a quella compiuta dai giudici di merito, dovendo, invece, limitarsi a verificare se le valutazioni dei primi giudici siano o meno sorrette da una motivazione congrua ed immune da manifeste illogicità.

Tali requisiti possiede senz’altro la motivazione della sentenza impugnata.

In ogni caso, oltre che sostanzialmente di merito, infondati sono i rilievi del ricorrente con riferimento al capo B) della rubrica, ovvero alla ipotesi di cessione di sostanza stupefacente del G. al R.G. ed al P..

Della questione ci si è occupati in precedenza discutendo la posizione di P. ed alle considerazioni ivi svolte si deve, pertanto, rinviare.

Qui è sufficiente aggiungere che la interpretazione e valutazione delle conversazioni intercettate, che compete ai giudici del merito, come del resto la valutazione ed interpretazione di tutte le prove, sono sorrette nel caso di specie da una motivazione per nulla apodittica, ma del tutto ragionevole.

Gli interlocutori usavano un linguaggio gergale e la Corte ha correttamente spiegato perchè con la parola telefonini gli interlocutori intendevano sostanza stupefacente; del resto il ricorrente non ha indicato sul punto delle manifeste illogicità, essendosi limitato a riproporre la sua tesi difensiva, motivatamente disattesa dai giudici dei primi due gradi di giurisdizione.

Del resto il ricorrente non ha negato i suoi rapporti di affari con il P., essendosi limitato a sostenere che davvero commerciava in telefonini e non in droga, senza però fornire, come rilevato dalla Corte di merito, riscontri documentali, quali ricevute di pagamento per l’acquisto dei suddetti telefonini, alla sua tesi, tanto è vero che alla fine ha sostenuto che si poteva anche trattare di telefonini di provenienza illecita.

Insomma mere congetture che si contrappongono ad una interpretazione precisa e del tutto ragionevole degli elementi processuali disponibili. Quanto, infine, al fatto che non sarebbe stato raggiunto l’accordo tra le parti sullo spaccio, dalla sentenza impugnata è lecito desumere il contrario; in ogni caso tra le condotte perseguibili ai sensi del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, che è un reato a fattispecie multipla, vi è anche la semplice offerta o messa in vendita di sostanza stupefacente.

Di merito è la seconda parte del motivo in esame concernente l’episodio di spaccio di cui al capo C) della rubrica.

In effetti il ricorrente, dopo avere affermato che la motivazione della sentenza impugnata sul punto era apodittica e addirittura arbitraria, ha riportato parte delle conversazioni intercettate sulle quali si fonda l’affermazione di responsabilità e ne ha fornito una interpretazione diversa da quella effettuata dai giudici del merito e più favorevole al ricorrente.

Trattasi di operazione inammissibile perchè non può in alcun modo essere sollecitata una rivalutazione del materiale probatorio a questa Corte.

Orbene, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, la ricostruzione dei fatti operata dai giudici di merito è del tutto congrua e la motivazione che la sorregge è immune da manifeste illogicità.

Senza riproporre in questa sede le argomentazioni della Corte di merito, sarà sufficiente ricordare che sulla base di conversazioni intercettate, in verità sufficientemente chiare perchè gli interlocutori non hanno utilizzato un linguaggio criptico, i giudici di merito hanno ritenuto che i due R. avevano acquistato cocaina dal G. e la avevano ceduta a S.V..

Sempre dalle intercettazioni si desume che il S. era in ritardo con i pagamenti e che i destinatari del danaro non erano i R., ma C. e T., identificato quest’ultimo con certezza nel G. – si parla, infatti, nella intercettazione di G.T. di (OMISSIS) -.

Ebbene il S. diede un fucile a garanzia del pagamento a C. e T..

Si tratta di una ricostruzione precisa del rapporto che non da adito a dubbi circa la partecipazione alla operazione del G..

Di merito, e comunque infondato, è, infine, il quinto motivo di impugnazione del G..

La Corte di secondo grado ha fatto corretta applicazione del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5 alla luce della interpretazione dello stesso fornita dalla Corte di legittimità, chiarendo che il fatto attribuito al G. non poteva considerarsi di lieve entità, non solo per il dato ponderale perchè ventitrè grammi di cocaina non possono far ritenere la condotta di cessione di minima offensività penale, ma anche perchè il G., con i tre episodi di spaccio contestati, si era proposto fornitore di sostanza stupefacente di un gruppo di criminalità organizzata dedito alla attività di spaccio, rapporto poi non sviluppatosi per la pretesa del G., avversata dal P., di essere pagato in anticipo.

Si tratta di una motivazione non censurabile sotto il profilo della legittimità. Siffatta motivazione, inoltre, non è in contraddizione con il riconoscimento delle attenuanti generiche, che risulta fondato esclusivamente sullo stato di incensuratezza e che nulla toglie alla valutazione di gravità dei fatti commessi.

Per le ragioni indicate i ricorsi debbono essere rigettati e ciascun ricorrente deve essere condannato a pagare le spese del procedimento.
P.Q.M.

La Corte rigetta i ricorsi e condanna ciascun ricorrente a pagare le spese del procedimento.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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