Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 01-12-2010) 07-03-2011, n. 8831

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con ordinanza 30.9.10, il tribunale di Bari, in sede di riesame, ha accolto la richiesta presentata nell’interesse di V.S., avverso l’ordinanza 17.9.10, del Gip dello stesso organo giudiziario, applicativa della misura della custodia in carcere per i reati di violazione di domicilio, tentata rapina e omicidio preterintenzionale, contestati, in concorso con il marito M.O., in danno di Ma.Ma., e ha ordinato la liberazione dell’indagata.

La procura presso il tribunale di Bari ha presentato ricorso per mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione: il tribunale ha ritenuto che non vi sia alcun elemento idoneo a chiarire quale sia stato il contributo causale reso dalla donna, giungendo a ipotizzare che avrebbe potuto avere il ruolo di coautrice materiale, di "palo", di concorrente morale, senza però potersi escludere che la donna si sia dissociata dalla volontà del marito, manifestata all’improvviso, senza riferire nulla alla compagna, che avrebbe avuto così il ruolo di connivente. A dimostrazione di questa situazione di incertezza, il tribunale ha indicato un contrasto tra la ricostruzione dei fatti, operata dal p.m. (che avrebbe attribuito alla V. il ruolo di coautrice della condotta tipica, in concorso materiale con il marito) e quella operata dal gip, che invece ha ritenuto di non poter escludere che la donna abbia assunto il ruolo di palo. Secondo il ricorrente, l’accusa di essere coautrice materiale implica necessariamente la contestazione di palo e di concorrente morale (sez. 1^, n. 42993 del 25.9.08). In ogni caso il ruolo della donna non può essere considerato di connivenza, in quanto la sua contemporanea presenza sul luogo del delitto e proprio nel momento in cui è stata consumata l’aggressione non consente di configurare l’ipotesi di connivenza non punibile.

Connivente è colui che assiste in totale indifferenza all’azione criminosa, ovvero che assiste del tutto casualmente e passivamente alla commissione di un reato, senza manifestare approvazione o disapprovazione, laddove invece il comportamento della V. e in particolare la non casuale presenza sul luogo del delitto assume una rilevanza oggettiva nella realizzazione del reato. La donna, invertendo il senso del suo procedere ed accompagnando il marito fino al luogo dell’aggressione, non solo ha dimostrato l’adesione all’azione criminosa, già nella fase dell’ideazione, ma ha poi garantito la sua presenza al momento della fase esecutiva. E, ove si tenga conto del rapporto di coniugio con il M. (che implica un forte e notevole potere di influenza su quest’ultimo), deve ritenersi che la donna ha posto in essere un comportamento che, anche se sia stato inerte, risulta oggettivamente idoneo ad integrare una forma di cooperazione nel delitto, avendo comunque realizzato un rafforzamento del proposito delittuoso se non addirittura una vera e propria agevolazione dell’altrui condotta.

Il ricorso non merita accoglimento, in quanto si articola in censure critiche non idonee a inficiare il compatto apparato logico argomentativo dell’ordina impugnata.

Il collegio del riesame ha rilevato che intorno alle ore 13, 15-13, 30 del 7.5.2010, l’anziana Ma.Ma. veniva aggredita all’interno della propria abitazione, al fine di sottrarle del denaro e veniva colpita da numerosi colpi al proprio corpo, che ne cagionavano il decesso alle ore 3 del giorno successivo. Nelle immediate indagini, le estrapolazioni del DNA del mozzicone di sigaretta rinvenuto nell’abitazione di Ma.Ma. e del mozzicone lasciato dal M. nella stazione dei Carabinieri, durante la sua escussione, consentivano di accertare che entrambe le sigarette erano state fumate da costui. Posto che il M. e la moglie V.S. erano stati visti nei pressi dell’abitazione della vittima alla ore 13,05 circa e tenuto conto delle contrastanti e contraddittorie dichiarazioni difensive degli indagati, è stata emessa nei confronti di entrambi la misura coercitiva personale.

Il tribunale del riesame ha rilevato che le indagini sin qui svolte hanno fornito elementi ampiamente dimostrativi che il M. entrò nell’abitazione della anziana donna, la spinse per terra, la colpì ripetutamente, intimandole inutilmente la consegna del denaro.

Quindi si allontanò in compagnia della moglie. Quanto alla posizione di costei, il tribunale ha rilevato l’incertezza del suo ruolo nella vicenda e ha indicato come sintomatica di questa incertezza la diversità sul punto, rinvenibile nella richiesta del p.m. e nell’ordinanza coercitiva del Gip. Nella prima, il p.m. ha configurato il concorso materiale, nell’ordinanza il giudice ha fondato la piattaforma indiziaria sulle seguenti circostanze:

la donna si accompagnava all’uomo, quindi non può escludersi che abbia operato in veste di "palo", durante l’aggressione;

la condotta depistante da lei tenuta, avendo sempre fornito versioni di comodo, negando di essersi trovata, con il marito, sul luogo e nell’ora dell’aggressione.

Il tribunale ha osservato che, a parte l’oggettiva difficoltà di condividere una motivazione fondata, in negativo, sul principio del "non potersi escludere", la commissione di una condotta con rilevanza penale, deve osservarsi che, in astratto – e seguendo sino alle estreme conseguenze la stessa impostazione metodologica seguita dal giudice della cautela – non possa nemmeno escludersi che la donna abbia assunto, con la propria presenza, il ruolo di mera rafforzatrice della volontà antigiuridica del marito, con ciò integrando gli estremi del concorso morale, non contestato dal p.m. e non ipotizzato dal Gip. In questo quadro di incertezza, non può nemmeno escludersi che la ragazza si sia dissociata dalla volontà del marito, il cui istinto antigiuridico si sia manifestato improvvisamente, senza accordo e senza comunicazione alla moglie. La donna quindi può aver tenuto una posizione connivente, senza entrare nell’abitazione.

Secondo il tribunale ha perso consistenza l’ulteriore elemento valorizzato dal Gip, costituito dalle dichiarazioni della donna alla polizia giudiziaria., in ordine alla sua condotta concomitante con l’aggressione della vittima, fornendo un alibi fragile, presto naufragato, quindi dichiarazioni non veritiere: al tribunale appare innegabile che detta condotta non può dirsi univocamente mirata ad allontanare i sospetti da se stessa e dal marito, ben potendosi trattare in astratto di puerile tentativo di non essere coinvolta nelle indagini, ovvero di mero favoreggiamento personale, posto in essere da chi non ha concorso nei delitti e voglia aiutare il marito ad eludere le investigazioni, fatta salva l’operatività dell’art. 384 c.p..

Incertezze riguardano anche il numero dei partecipanti: tutte le persone esaminate dalla polizia, hanno fondato le proprie affermazione sulle parole frammentarie pronunciate dalla vittima subito dopo l’aggressione e sette di esse hanno riferito di un aggressore e due di più aggressori. Secondo il tribunale, trattasi di divergenza non minimale, in quanto la prima versione è in contrasto con la formulazione del capo di imputazione che attribuisce la condotta tipica di rapina al M. ed alla moglie.

Anche in relazione alle descritte divergenze, appare al tribunale opportuno un ulteriore approfondimento.

Il tribunale conclude che negli atti difettano elementi oggettivi o, più esattamente, dichiarazioni testimoniali e accertamenti tecnici, idonei a collocare, sia pure in termini di probabilità, la V. sul luogo dell’aggressione, nel momento in cui la condotta antigiuridica del marito si realizzava. Secondo i giudici del riesame l’unico elemento certo appare la presenza della donna, insieme al marito, in una strada prossima a quella dell’abitazione della Ma., alcuni minuti prima dell’aggressione, ma lo stato delle indagini non sono attualmente in grado di affermare, sia pure in termini di qualificata o ragionevole probabilità, la presenza della V. nel luogo e nel momento dell’aggressione e soprattutto, la sua partecipazione e l’entità del suo contributo causale, reso sul piano materiale o anche soltanto sul piano morale.

Corretta è la conclusione secondo cui incertezze e divergenze tra le contrapposte tesi sono superabili solo con lo svolgimento e gli eventuali risultati di altre indagini, pienamente compatibili con lo stato di libertà dell’indagata.

Il quadro indiziario così ricostruito dal giudice del riesame e le razionali conclusioni che ne sono state tratte non sono censurabili in sede di giudizio di legittimità: la ricostruzione storica e l’interpretazione proposte in via alternativa dalla pubblica accusa sono dirette ad una mera sovrapposizione rispetto alle prime, essendo prive di elementi di fatto e di diritto dimostrativi di vizi censurabili in questa sede. I motivi del ricorso non criticano in realtà violazioni di legge o di specifiche regole preposte alla formazione del convincimento del giudice, bensì pretendono la rilettura del quadro probatorio e, con esso, il sostanziale riesame nel merito, inammissibile in sede di verifica della legittimità del percorso giustificativo della decisione.
P.Q.M.

Dichiara il ricorso inammissibile.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *