Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 06-05-2011, n. 10021 Licenziamento

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

F.G. e F.C. impugnarono dinanzi al giudice del lavoro di Palermo il licenziamento loro irrogato da D.G., chiedendo il primo l’indennità sostitutiva di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 18 ed il secondo la reintegrazione oltre, entrambi, il risarcimento del danno. Accolte le domande e proposto appello dal D., la Corte d’appello di Palermo con sentenza depositata il 4 gennaio 2007 accoglieva parzialmente l’impugnazione condannando i due dipendenti al pagamento della somma di Euro 40.000,00 in favore del datore di lavoro per aver svolto illegittima attività concorrenziale nei suoi confronti, ritenendo per il resto il gravame infondato, essendo stati i licenziamenti in questione, pacificamente disciplinari, adottati senza il rispetto della procedura prevista dalla L. n. 300 del 1970, art. 7 ed in particolare per essere stati irrogati senza alcuna preventiva contestazione degli addebiti.

Proponeva ricorso per cassazione il D.. I F. restavano intimati.

La causa veniva assegnata alla sezione ex art. 376 c.p.c. per la verifica della sussistenza dei presupposti per la pronuncia in camera di consiglio ai sensi dell’art. 375, comma 1, nn. 1 e 5.

Il consigliere relatore redigeva relazione ex art. 380 bis c.p.c. che veniva comunicata al Procuratore generale ed era notificata al difensore costituito unitamente al decreto di fissazione dell’odierna adunanza in camera di consiglio. Parte ricorrente depositava memoria.

Evidenziava il relatore che la sentenza di appello fu notificata al D. il 6 febbraio 2007 presso il procuratore costituito ad istanza di F.G. e F.C., i quali dinanzi all’ufficiale giudiziario elessero domicilio presso lo studio dei loro difensori (avv.ti Pellegrino e Pivetti), sito in Palermo, via Agrigento n. 50. Il ricorso per cassazione del D. fu avviato alla notifica in data 4 aprile 2007 per la consegna ai due intimati presso il loro domicilio e presso il domicilio eletto nello studio dei detti difensori. Tuttavia, l’atto fu ricevuto presso il domicilio personale da persona legittimata (in data 5 aprile 2007) ma non presso il domicilio eletto, in quanto all’indirizzo indicato (diverso da quello dell’elezione di domicilio) i due legali risultavano trasferiti. La notifica presso l’effettivo indirizzo del domicilio eletto avvenne solamente il 12 aprile 2007, dunque oltre il 60^ giorno dalla notifica della sentenza.

Rilevava in proposito il relatore che ai fini della valida elezione di domicilio agli effetti dell’art. 330 c.p.c. non è richiesta l’osservanza delle formalità proprie dell’elezione di domicilio richieste dall’art. 47 c.c. (dichiarazione scritta dell’interessato), ma è sufficiente che l’ufficiale giudiziario dichiari di avere ricevuto la richiesta della parte e che questa abbia dichiarato o abbia eletto domicilio (Cass. 26 novembre 1984 n. 6116), per il principio che l’art. 330 c.p.c., essendo preordinato soltanto alla ricezione della notificazione dell’eventuale atto di impugnazione, costituisce una disposizione speciale rispetto a quella dell’art. 47 c.c.). Ne sarebbe derivato che nella fattispecie la notifica del ricorso era stata effettuata tempestivamente al domicilio reale, ma tardivamente al domicilio eletto, atteso che alla data del 12 aprile 2007 era ormai scaduto il termine di cui agli artt. 325 e 326 c.p.c. (sessanta giorni dalla notificazione della sentenza). Considerato che nell’ipotesi di impugnazione preceduta dalla notificazione della sentenza con dichiarazione di elezione di domicilio, l’impugnazione non può essere notificata in uno degli altri luoghi indicati dall’art. 330, il relatore chiedeva che il Collegio, riunito in camera di consiglio, valutasse l’eventuale inammissibilità del ricorso.

Il Collegio riteneva rilevante la giurisprudenza di questa Corte per la quale la notificazione del ricorso per cassazione eseguita in luoghi diversi da quelli prescritti non determina l’inesistenza della stessa, ma la sua semplice nullità, alla quale si può porre rimedio con la rinnovazione prevista dall’art. 291 c.p.c., comma 1, (Cass. 15 ottobre 2004 n. 20334), cui il ricorrente può provvedere di propria iniziativa, anticipando l’ordine contemplato dal detto art. 291, oppure in esecuzione di apposito provvedimento del giudice in tal senso, senza che rilevi che alla rinnovazione si provveda posteriormente alla scadenza del termine per impugnare (Cass. sez. un. 22 luglio 2002 n. 10696 e Cass. 14 maggio 2004 n. 9242). In ragione di tali precedenti giurisprudenziali, riteneva il Collegio che non sussistessero i requisiti per la decisione in camera di consiglio, imponendosi la rimessione del ricorso alla Sezione ordinaria in pubblica udienza.

In quest’ultima nessuno compariva sicchè, svolti gli adempimenti di cui all’art. 379 c.p.c., la causa veniva decisa.
Motivi della decisione

Va pregiudizialmente considerato che la Corte condivide la giurisprudenza sopra richiamata secondo cui la notifica del ricorso per cassazione alla parte personalmente, anzichè al difensore costituito nel giudizio nel quale è stata resa la sentenza impugnata, non ne determina l’inesistenza giuridica, ma semplicemente la nullità, sanabile in forza della rinnovazione della notifica ai sensi dell’art. 291 c.p.c. (Cass. sez. un. 22 luglio 2002 n. 10696;

Cass. 21 gennaio 2008 n. 1156). Evidenzia che secondo la sentenza 14 maggio 2004 n. 9242 (cui adde, Cass. 7 novembre 2005 n. 21497), l’anzidetto vizio della notifica è sanabile in forza della rinnovazione della notifica, sia quando il ricorrente vi provveda di propria iniziativa, anticipando l’ordine contemplato dall’art. 291 c.p.c., sia quando agisca in esecuzione di esso, senza che rilevi che alla rinnovazione si provveda posteriormente alla scadenza del termine per impugnare.

Osserva tuttavia che il ricorrente, avendo provveduto successivamente alla notifica del ricorso presso il domicilio eletto, ha sostanzialmente provveduto spontaneamente al rinnovo della notifica, anticipando l’ordine contemplato dall’art. 291 c.p.c., rendendo così il ricorso rituale. Venendo pertanto al merito deve osservarsi che il ricorrente, con il primo motivo, censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt. 2105, 1175, 1375 c.c., per non avere la corte territoriale adeguatamente considerato la gravita del comportamento dei F. che svolsero, in costanza di rapporto, attività concorrenziale con il datore di lavoro, in contrasto altresì con gli obblighi di correttezza e buona fede nell’esecuzione del contratto. Formulava il prescritto quesito di diritto.

Con il secondo motivo denuncia insufficiente, omessa e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, rilevando che la corte di merito, pur avendo ritenuto illegittimo il comportamento dei dipendenti, tanto da condannare gli stessi al risarcimento dei danni, aveva ritenuto ciò nonostante illegittimo il licenziamento irrogato. I motivi, stante la loro connessione, possono essere congiuntamente trattati e risultano infondati.

La sentenza impugnata ritenne che il licenziamento intimato agli odierni intimati fosse ontologicamente e pacificamente disciplinare, e tuttavia irrogato senza il rispetto della procedura di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 7 e dunque illegittimo.

Le censure svolte dal ricorrente alla sentenza impugnata non coinvolgono minimamente tale statuizione, limitandosi ad evidenziare la gravita del comportamento dei lavoratori, violativo degli obblighi di fedeltà e di correttezza e buona fede nell’esecuzione del contratto, ovvero la pretesa contraddettorietà della motivazione.

In realtà, essendo i licenziamenti ontologicamente disciplinari, essendo motivati da una condotta colposa o comunque manchevole dei lavoratori (Cass. sez. un. 1 giugno 1987 n. 4823, e successive conformi pronunce, Cass. n. 8111 del 1987, Cass. sez. un. n. 9302 del 1987, Cass. n. 309 del 1988, Cass. n. 5365 del 1989; da ultimo, Cass. n. 17652 del 2007), il mancato rispetto della procedura di cui all’art. 7, ed in particolare del fondamentale principio in esso contenuto della preventiva contestazione dell’addebito, è idoneo a sorreggere la declaratoria di illegittimità dello stesso, sicchè il ricorso deve respingersi.

La mancata costituzione degli intimati esime la Corte da pronunce sulle spese.
P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso. Nulla per le spese.

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