Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 06-05-2011, n. 10016 Ricorso

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con decreto ingiuntivo in data 3 giugno 1998 il Tribunale di Foggia condannava la R.C.S. Libri s.p.a. al pagamento, nei confronti della SAGE s.r.l., della somma di L. 689.087.656, oltre accessori, a titolo di indennità suppletiva di clientela.

Con sentenza del 31 ottobre 2005 lo stesso Tribunale, pronunciando nel contraddittorio tra la società R.C.S. Libri s.p.a., che aveva proposto opposizione avverso il suddetto decreto ingiuntivo, e il subentrato fallimento della società SAGE, dichiarava la nullità del suddetto decreto. Il giudice dell’opposizione affermava, in particolare, che, dovendo ritenersi regolare la riassunzione del processo da parte della società R.C.S. dopo l’interruzione dichiarata a seguito del sopravvenuto fallimento della SAGE, era infondata l’eccezione di estinzione del giudizio proposta da quest’ultima.

La Corte d’appello di Bari rigettava l’appello proposto dal Fallimento SAGE e dichiarava assorbito l’appello incidentale della società R.C.S. Premetteva in fatto: che all’udienza del 24 marzo 2003 il Tribunale di Foggia aveva dichiarato l’interruzione del giudizio a seguito dell’intervenuta dichiarazione di fallimento della società SAGE; che la società R.C.S. aveva depositato il ricorso per riassunzione in data 19 settembre 2003; che tale ricorso, unitamente con il decreto di fissazione dell’udienza, era stato notificato una prima volta in data 7 novembre 2003 e successivamente, a seguito di autorizzazione del Tribunale a rinnovare l’incombente, in data 31 marzo 2004. Ciò premesso riteneva che, trattandosi di ricorso per riassunzione, la tempestività di tale ricorso postulava unicamente l’avvenuto deposito dello stesso nel termine di sei mesi previsto dall’art. 305 cod. proc. civ. dovendosi ritenere irrilevante la circostanza che la notificazione fosse stata eseguita dopo la scadenza del suddetto termine. Con l’ulteriore conseguenza che doveva ritenersi infondata la tesi dell’appellante secondo cui doveva ritenersi irrituale il provvedimento di rimessione in termini adottato dal Tribunale di Foggia per consentire il rinnovo della notificazione sul presupposto dell’eventuale errore nella notifica al curatore del fallimento della SAGE s.r.l.". Osservava in proposito che, dopo il tempestivo deposito del ricorso in riassunzione, l’eventuale vizio o l’inesistenza della notificazione del ricorso non si comunicava alla riassunzione, ormai perfezionatasi, ma imponeva al giudice di assegnare alle parti, in applicazione analogica dell’art. 291 cod. proc. civ., e previa fissazione di altra udienza di comparizione, un termine perentorio per rinnovare la notificazione.

Per la cassazione della suddetta sentenza propone ricorso il Fallimento SAGE affidato ad un unico motivo illustrato da memoria. La R.C.S. Libri s.p.a. resiste con controricorso e propone ricorso incidentale condizionato.
Motivi della decisione

Preliminarmente deve disporsi la riunione dei ricorsi in quanto proposti avverso la stessa sentenza ( art. 335 cod. proc. civ.).

Con l’unico motivo del ricorso principale si denuncia violazione degli artt. 153, 154, 291, 303, 305, 307 e 653 cod. proc. civ. e art. 111 Cost., comma 2, con conseguente nullità della sentenza impugnata, in relazione al fatto che la prima notifica in riassunzione è stata fatta all’avv. della società in bonis e non a quello del fallimento e quelle successive sono state fatte fuori termine. Il Fallimento ricorrente, pur riconoscendo che la sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione dei principi enunciati dalla giurisprudenza di legittimità in fattispecie analoghe, sostiene la necessità di una revisione del suddetto orientamento anche alla luce dei principi espressi da Cass. S.U. 30 luglio 2008 n. 20604.

Il motivo è privo di fondamento.

Le Sezioni Unite di questa Corte (Cass. S.U. 28 giugno 2006 n. 14854) hanno affermato il principio secondo il quale, una volta verificatasi una causa d’interruzione del processo, in presenza di un meccanismo di riattivazione del processo interrotto – destinato a realizzarsi distinguendo il momento della rinnovata edictio actionis da quello della vocatio in ius – il termine perentorio di sei mesi, previsto dall’art. 305 cod. proc. civ., è riferibile solo al deposito del ricorso nella cancelleria del giudice, sicchè una volta eseguito tempestivamente tale adempimento, quel termine non gioca più alcun ruolo, atteso che la fissazione successiva, ad opera del medesimo giudice, di un ulteriore termine, destinato a garantire il corretto ripristino del contraddittorio interrotto nei confronti della controparte, pur presupponendo che il precedente termine sia stato rispettato, ormai ne prescinde, rispondendo unicamente alla necessità di assicurare il rispetto delle regole proprie della vocatio in ius. (Nello stesso senso cfr., altresì, Cass. 15 marzo 2007 n. 6023; Cass. 7 luglio 2010 n. 16016). In applicazione di tale principio è stato precisato (cfr., in particolare, Cass. 20 marzo 2008 n. 7611; Cass. 29 luglio 2009 n. 17679; Cass. 16 marzo 2010 n. 6325), che, in tema di interruzione del processo, una volta eseguito tempestivamente il deposito del ricorso in cancelleria con la richiesta di fissazione di una udienza, il rapporto processuale, quiescente, è ripristinato con integrale perfezionamento della riassunzione, non rilevando l’eventuale errore sulla esatta identificazione della controparte contenuto nell’atto di riassunzione, che opera, in relazione al processo, in termini oggettivi ed è valido, per raggiungimento dello scopo ai sensi dell’art. 156 cod. proc. civ., quando contenga gli elementi sufficienti ad individuare il giudizio che si intende far proseguire.

Ha aggiunto, in particolare, la prima delle sentenze sopra richiamate che da ciò consegue che il termine di sei mesi, previsto dall’art. 305 cod. proc. civ., non svolge alcun ruolo nella successiva notifica del ricorso e dell’unito decreto, che è volta unicamente ad assicurare il corretto ripristino del contraddittorio ed il rispetto delle regole proprie della vocatio in jus per cui il giudice, ove la notifica sia viziata od inesistente o, comunque, non sia stata correttamente compiuta in ragione di una erronea od incerta individuazione del soggetto che deve costituirsi, deve ordinarne la rinnovazione, con fissazione di un nuovo termine, e non può dichiarare l’estinzione del processo.

Come è stato chiarito dalla suddetta giurisprudenza la soluzione da questa indicata è specifica per la disciplina della riassunzione a seguito di interruzione del processo, disciplina che si compendia nell’onere della parte interessata – in mancanza di prosecuzione ai sensi dell’art. 302 cod. proc. civ. – di riassumere il processo, e cioè, secondo quanto previsto dall’art. 303 cod. proc. civ., di chiedere la fissazione dell’udienza, notificando quindi il ricorso e il decreto a coloro che debbono costituirsi per proseguirlo, verificandosi altrimenti – in caso di mancata riassunzione entro il termine perentorio di sei mesi dall’interruzione (cioè, per effetto della sentenza della Corte costituzionale n. 159 del 1971, dalla data di in cui le parti ne hanno avuto conoscenza) – la estinzione del processo, secondo il disposto dell’art. 305 cod. proc. civ. Le indicate modalità, ben distinte da quelle generalmente previste per le ipotesi di riassunzione della causa (per le quali l’art. 125 disp. att. cod. proc. civ., prescrive la notifica di una comparsa), configurano l’assolvimento dell’onere di riassunzione in una mera vocatio judicis, da attuare mediante il deposito nella cancelleria del giudice precedentemente adito di un ricorso contenente la richiesta di fissazione dell’udienza; pertanto, in presenza di un meccanismo di riattivazione del rapporto processuale interrotto, destinato a realizzarsi distinguendo il momento della rinnovata editto actionis da quello della vocatio in jus, il termine perentorio indicato dall’art. 305 c.p.c., è riferibile solo al predetto deposito del ricorso, sicchè, una volta eseguito tempestivamente tale adempimento e recuperato così il contatto fra la parte interessata e il giudice, quel termine non può più giocare alcun ruolo essendosi ormai perfezionata la riassunzione. Ciò deve valere allorchè la notifica del ricorso e del decreto di fissazione dell’udienza sia viziata o inesistente, poichè la fissazione successiva ad opera del Giudice di un ulteriore termine, destinato a garantire il corretto ripristino del contraddittorio interrotto nei confronti della controparte, presuppone che quell’altro precedente termine sia stato rispettato, ma ormai ne prescinde e risponde invece unicamente alla necessità di assicurare il rispetto delle regole proprie della vocatio in jus.

La suddetta ricostruzione dell’istituto della riassunzione a seguito dell’interruzione del processo ( artt. 299 c.p.c. e segg.) consente di superare agevolmente le censure di parte ricorrente. In particolare, i principi enunciati dalla Sezioni Unite nella sentenza richiamata in ricorso (Cass. S.U. 30 luglio 2008 n. 20604) sono tutti interni alla logica del processo del lavoro e di specifiche fasi di esso – in particolare al ricorso in appello e al procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo – e non appaiono pertanto applicabili alla fattispecie in esame che, come si è visto, è oggetto di disciplina specifica, basata su una ratio legis affatto diversa da quelle considerate nella sentenza da ultimo citata.

Al rigetto del ricorso principale consegue l’assorbimento del ricorso incidentale condizionato, avente ad oggetto il riconoscimento dei crediti vantati da R.C.S. Libri s.p.a. nei confronti del fallimento ricorrente, da portare in compensazione rispetto a quelli eventualmente riconosciuti a quest’ultimo.

In applicazione del criterio della soccombenza parte ricorrente principale deve essere condannata al pagamento delle spese del giudizio di cassazione liquidate come in dispositivo. Non sussistono i presupposti per la condanna della parte soccombente ai sensi dell’art. 96 cod. proc. civ.
P.Q.M.

LA CORTE riunisce i ricorsi; rigetta il ricorso principale, assorbito l’incidentale; condanna parte ricorrente principale al pagamento delle spese processuali liquidate in Euro 62,00 oltre Euro 3500,00 (tremilacinquecento/00) per onorari e oltre spese generali, IVA e CPA. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 18 gennaio 2011.

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