Cass. civ. Sez. I, Sent., 06-05-2011, n. 9995 Diritti politici e civili

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. – Con decreto in data 30 aprile/3 maggio 2007 la Corte d’appello di Reggio Calabria condannava il Ministero della Giustizia al pagamento in favore di C.S. della somma complessiva di Euro 2000,00, a titolo di indennizzo del danno non patrimoniale, in conseguenza del superamento del termine di ragionevole durata di un processo di opposizione allo stato passivo del fallimento Edil San Michele Srl (introdotto nel maggio 1998 ed ancora pendente al momento di proposizione della domanda).

1.1 – A fondamento della decisione, la Corte di merito – premesso che la richiesta di ristoro del pregiudizio patrimoniale era del tutto sfornita di prova determinava, sulla base del concreto svolgimento del procedimento presupposto, il periodo di durata non ragionevole in due anni. Il danno non patrimoniale veniva quindi liquidato mediante attribuzione della somma di _ 1000,00 per ciascun anno di ritardo.

1.2 – Per la cassazione di tale decreto ricorre il C. sulla base di due motivi, illustrati da memoria. Resiste con controricorso il Ministero della Giustizia.
Motivi della decisione

2.1 – Con il primo motivo viene denunciata violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, degli artt. 1223, 1226, 1227 e 2056 c.c., nonchè dell’art. 6, par. 1 Cedu, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver la corte territoriale, liquidando 1.000,00 per ciascun anno di ritardo, applicato criteri difformi rispetto a quelli adottati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo.

2.2 – Con il secondo motivo viene denunciata violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione, rispettivamente, all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5, con riferimento all’esclusione del ristoro dei danni patrimoniali.

2.3 – Il primo motivo è infondato, ragion per cui deve darsi risposta negativa ai quesiti che riflettono le esposte censure.

Giova rimarcare che il ricorrente non contesta in alcun modo la determinazione del periodo di durata non ragionevole, prospettando, da un lato, l’omessa considerazione dell’intero periodo ai fini della liquidazione, e dall’altro, l’entità del parametro.

Quante al primo profilo, va richiamato il costante orientamento di questa Corte, secondo cui "In tema di diritto ad un’equa riparazione in caso di violazione del termine di durata ragionevole del processo, ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, l’indennizzo non deve essere correlato alla durata dell’intero processo, bensì solo al segmento temporale eccedente la durata ragionevole della vicenda processuale presupposta, che risulti in punto di fatto ingiustificato o irragionevole, in base a quanto stabilito dall’art. 2, comma 3, di detta legge, conformemente al principio enunciato dall’art. 111 Cost., che prevede che il giusto processo abbia comunque una durata connaturata alle sue caratteristiche concrete e peculiari, seppure contenuta entro il limite della ragionevolezza. Questo parametro di calcolo, che non tiene conto del periodo di durata ordinario e ragionevole, non esclude la complessiva attitudine della L. n. 89 del 2001, a garantire un serio ristoro per la lesione del diritto in questione, come riconosciuto dalla stessa Corte europea nella sentenza 27 marzo 2003, resa sul ricorso n, 36813/97, e non si pone, quindi, in contrasto con l’art. 6, par. 1, della Convezione europea dei diritti dell’uomo" (Sez. 1^, Ordinanza n. 3716 del 14/02/2008; 13 gennaio 2011, n. 727).

2.3 – Quanto al secondo profilo, il parametro utilizzato dalla Corte territoriale, pari ad Euro 1.000,00 per ciascun anno eccedente il periodo di ragionevole durata, risulta addirittura superiore rispetto a quello ordinariamente adottato da questa Corte (Euro 750,00) in riferimento ai primi tre anni di durata eccessiva (cfr., 4 dicembre 2009, n. 25537; Cass., 8 luglio 2009, n. 16086, alla cui ampia e condivisibile motivazione si rimanda).

2.4 – Il secondo motivo – rilevata l’inammissibilità, per omessa formulazione del c.d. "momento di sintesi" in relazione al dedotto vizio motivazionale – è nel resto manifestamente infondato, in quanto, come emerge dal tenore del quesito all’uopo formulato, al quale deve rispondersi negativamente, anzichè contrastarsi le argomentazioni con le quali il decreto impugnato ha escluso la risarcibilità del pregiudizio patrimoniale, ritenuto del tutto sfornito di prova, viene postulata, anche in parte, qua, la natura presuntiva della relativa dimostrazione, in netto contrasto con l’orientamento di questa Suprema Corte, secondo cui il danno patrimoniale deve formare oggetto di prova piena e rigorosa, occorrendo altresì l’ulteriore specificazione di tutti gli estremi, variabili da caso a caso, così da risultarne possibile l’individuazione sulla base del contesto complessivo dell’atto e da consentire alla controparte l’esercizio del diritto di difesa (Cass. 15475/2003.; Cass. 8 luglio 2005, n. 14379; Cass. 14 ottobre 2005, n. 19999; v. anche, con riferimento al nesso di causalità, Cass., 7 luglio 2006, n. 15584).

Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali relative al presente giudizio di legittimità, liquidate in Euro 600,00, oltre spese prenotate a debito.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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