Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 24-02-2011) 08-03-2011, n. 9062 Ricorso

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Tribunale di Genova, con sentenza in data 25/5/2007, dichiarava M.E., B.L. e D.M. responsabili dei reati di tentata truffa aggravata ai danni dello Stato e falso ideologico avendo tentato, con distribuzione dei ruoli, di ottenere un contributo a fondo perduto, rispettivamente pari al 75% e 50% dei danni asseritamente subiti da fabbricati rurali dalla alluvione del 1999, richiesti per somme superiori ai danni effettivi o senza che si fossero verificati in tali circostanze e condannati, con la continuazione, concesse le attenuanti generiche prevalenti sulle contestate aggravanti, M.E. alla pena di anni uno, mesi sei di reclusione e Euro 700 di multa, oltre al risarcimento dei danni a favore della parte civile che liquidava in Euro 15.000, B.L. alla pena di mesi sei di reclusione e Euro 300 di multa, D.M. alla pena di mesi nove di reclusione e Euro 400 di multa.

La Corte di appello di Genova, con sentenza in data 19 aprile 2010, dichiarava non doversi procedere nei confronti dei predetti imputati in ordine ai reati di truffa aggravata e falso loro rispettivamente contestati ai capi a) c) d) per essere gli stessi estinti per prescrizione, rideterminando la pena in relazione alle residue imputazioni per M.E. in anni uno, mesi uno di reclusione e Euro 500 di multa, per B.L. in mesi sei di reclusione e Euro 200 di multa e per D.M. in mesi sei di reclusione e Euro 300 di multa, confermando le statuizione civili nei confronti del M.. Proponevano ricorso per cassazione i difensori di tutti gli imputati. Nell’interesse di M.E. e B.L. venivano dedotti i seguenti motivi:

a) nullità della sentenza per mancata assunzione di prova decisiva quale la richiesta di perizia volta a dimostrare la effettiva sussistenza dei danni alluvionali per cui erano stati richiesti i contributi dalla regione Liguria, motivo dedotto anche da D. M.;

b) manifesta illogicità della motivazione della sentenza per aver ritenuto "gonfiata" la richiesta di contributi per esservi ricompresi danni risalenti ad anni precedenti al 1999. il difensore di D.M. deduceva, quale ulteriore motivo, difetto e contraddittorietà della motivazione della sentenza con riferimento alla consapevolezza, in capo al ricorrente, di una pregressa situazione di danneggiamento degli immobili che non può presumersi da una semplice frequentazione professionale con M. E..
Motivi della decisione

1) Tutti i ricorsi sono manifestamente infondati e vanno dichiarati inammissibili. Con riferimento al primo motivo di ricorso, comune a tutti gli imputati – con il quale si denunzia la violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. d), per mancata assunzione di una prova decisiva (perizia) – si osserva che il vizio in esame è configurabile quando non sia stato ammesso un mezzo di prova che, in astratto, poteva determinare una diversa valutazione da parte del giudice inficiando il giudizio formulato. Va però rilevato, nel caso in esame, che la costante giurisprudenza della Corte di cassazione esclude che la perizia possa farsi rientrare nel concetto di prova decisiva fatto proprio dall’art 606 c.p.p..

La lett. d) citata contiene infatti un esplicito riferimento all’art. 495 c.p.p., comma 2, e pertanto si riferisce alle prove a discarico mentre la perizia non può essere considerata tale stante il suo carattere per così dire "neutro", sottratto alla disponibilità delle parti e sostanzialmente rimesso alla discrezionalità del giudice (in tal senso v. Cass., Sez. 4 22 gennaio 2007 n. 14130, Patorelli, rv. 236191; 5 dicembre 2003 n. 4981, Ugresti, rv. 229665;

sez. 6, 18 giugno 2003 n. 37033, Brunetti, rv. 228406; 12 febbraio 2003 n. 17629, Zandri, rv. 226809; sez. 4, 12 dicembre 2002 n. 9279, Bovicelli, rv. 225345; sez. 5, 6 aprile 1999 n. 12027, Mandala, rv.

214873). La mancata effettuazione di un accertamento peritale (correttamente giustificato dalla Corte territoriale essendo ormai trascorsi oltre 10 anni dal momento in cui si verificarono gli eventi alluvionali, con conseguente difficoltà di differenziare i danni verificatisi nel 1996, da quelli del 1999) non può quindi essere dedotta con la censura in esame; ferma restando la possibilità di dedurre il vizio di motivazione ove il giudice di merito abbia fondato la ricostruzione dei fatti su indimostrate affermazioni o su pareri tecnici legalmente acquisiti al processo ma non valutati criticamente. Il che potrà essere verificato nel corso dell’esame degli ulteriori motivi di ricorso che, tuttavia sono inammissibili perchè propongono censure attinenti al merito della decisione impugnata, congruamente giustificata.

Infatti, nel momento del controllo di legittimità, la Corte di cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti nè deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con "i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento", secondo una formula giurisprudenziale ricorrente (Cass. Sez. 4 sent. n. 47891 del 28.09.2004 dep. 10.12.2004 rv 230568; Cass. Sez. 5 sent. n. 1004 del 30.11.1999 dep. 31.1.2000 rv 215745; Cass., Sez. 2 sent. n. 2436 del 21.12.1993 dep. 25.2.1994, rv 196955).

La Corte di Appello di Genova, invero, con motivazione esaustiva, logica e non contraddittoria, con riferimento all’ulteriore motivo dedotto da M.E. e B.L., evidenzia come, dalle testimonianze in atti (testi S.B., M. A., F., C.) risulta che la maggior parte degli immobili fossero fatiscenti già in epoca precedente agli eventi alluvionali del 1999, così come "… buona parte delle opere oggetto delle richieste di risarcimento di danni alluvionali erano inesistenti al momento dell’evento alluvionale" (testi Ci., B.) In relazione alla ulteriore censura dedotta nell’interesse di D. M., con riferimento all’elemento soggettivo del reato, la Corte ha evidenziato, oltre alla "frequentazione professionale" tra il ricorrente e M.E., come appaia fondamentale il ruolo del professionista che "assevera" falsamente dichiarazioni del privato, in quanto il suo parere tecnico può essere decisivo per conseguire il risultato voluto.

La Corte territoriale ha ritenuto sussistente l’elemento soggettivo del reato avendo D.M. acriticamente avallato quanto il suo committente gli richiedeva, attestando anche l’esistenza di lavori mai realizzati, nonchè accertando interventi che, per loro natura, non potevano aver alcun collegamento con il verificarsi di calamità naturali, elementi tutti indicativi del dolo della sua condotta.

Gli argomenti proposti dai ricorrenti costituiscono, in realtà, solo un diverso modo di valutazione dei fatti, ma il controllo demandato alla Corte di cassazione, è solo di legittimità e non può certo estendersi ad una valutazione di merito.

Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara inammissibili i ricorsi, gli imputati che li hanno proposti devono essere condannati al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle ammende della somma di mille Euro ciascuno, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille ciascuno alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *