Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 24-02-2011) 08-03-2011, n. 9056 Motivi di ricorso

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte di appello di Messina, con sentenza in data 15/3/2010, confermava la sentenza del Tribunale di Messina, in data 15/3/2005, appellata da B.F., dichiarato colpevole del reato di ricettazione di oggetti preziosi di provenienza illecita in quanto provento di furto commesso da due minorenni nelle proprie abitazioni, ai danni dei rispettivi genitori e condannato, con le attenuanti generiche, alla pena di anni uno, mesi sei di reclusione e Euro 700 di multa, pena sospesa, oltre al risarcimento dei danni a favore della parte civile da liquidarsi in separato giudizio.

Proponeva ricorso per cassazione il difensore dell’imputato deducendo i seguenti motivi:

a) violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. a) b) c) e) in relazione all’art. 429 c.p.p., lett. c), art. 210 c.p.p., art. 192 c.p.p., comma 3, artt. 63 e 521 c.p.p., art. 178 c.p.p., lett. c) per nullità del decreto di citazione per violazione dell’art. 429 c.p.p., lett. c), nonchè la nullità dell’esame del teste S. per violazione dell’art. 63 c.p.p., la nullità della sentenza, per violazione dell’art. 521 c.p.p., per essere il fatto diverso dalla originaria contestazione, la mancanza di prova del reato di ricettazione;

b) violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. a) b) c) e) in relazione all’art. 125 c.p.p., comma 3, art. 111 Cost., comma 6 e art. 648 c.p. in relazione all’art. 215 c.p.p., comma 2, essendo illegittima la motivazione della sentenza di condanna con riferimento "per relationem" a quella del Tribunale, evidenziando la contraddittorietà tra la dichiarazione della parte offesa, ritenuta non attendibile, e quella del teste V.;

c) violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. a) b) c) e) in relazione all’art. 712 c.p. mancando la consapevolezza, da parte dell’imputato, della provenienza illecita dei preziosi;

d) violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. a) b) c) e) in relazione all’art. 648 c.p., comma 2, art. 62 c.p., nn. 4 e 5, artt. 640 e 705 c.p. e art. 125 c.p.p, comma 3 per il mancato riconoscimento dell’ipotesi attenuata di ricettazione e la mancata concessione delle attenuanti del danno di speciale tenuità e del concorso della persona offesa, omettendo di motivare sulle richiesta di qualificazione del reato quale truffa ( art. 640 c.p.) o commercio non autorizzato di cose preziose ( art. 705 c.p.).
Motivi della decisione

1) Il primo motivo di ricorso, raggruppa diverse censure.

Invero in tema di correlazione fra imputazione contestata e sentenza, le Sezioni unite di questa Corte hanno osservato che per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume la ipotesi astratta prevista dalla legge, sì da pervenire ad un’incertezza sull’oggetto dell’imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa; ne consegue che l’indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perchè, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l’imputato, attraverso l’"iter" del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all’oggetto dell’imputazione (SS.UU. rv 205619).

Il principio, risalente ad oltre un decennio fa, non risulta, nella sua portata complessiva, posto in discussione dalla giurisprudenza susseguente essendosi sottolineato, piuttosto, che l’obbligo di correlazione tra accusa e sentenza non può ritenersi violato da qualsiasi modificazione rispetto all’accusa originaria, ma soltanto nel caso in cui la modificazione dell’imputazione pregiudichi la possibilità di difesa dell’imputato: la nozione strutturale di "fatto" contenuta nelle disposizioni in questione, va coniugata con quella funzionale, fondata sull’esigenza di reprimere solo le effettive lesioni del diritto di difesa, posto che il principio di necessaria correlazione tra accusa contestata (oggetto di un potere del pubblico ministero) e decisione giurisdizionale (oggetto del potere del giudice) risponde all’esigenza di evitare che l’imputato sia condannato per un fatto, inteso come episodio della vita umana, rispetto al quale non abbia potuto difendersi (rv 236099; conf. Rv 229756; rv 232423).

Ne consegue che quando nel capo di imputazione originario siano – come nel caso di specie – contestati gli elementi fondamentali idonei a porre l’imputato in condizione di difendersi dal fatto poi ritenuto in sentenza, non sussiste violazione del principio di doverosa correlazione tra accusa e sentenza.

Nella fattispecie in esame non solo non si ravvisa alcuna violazione del diritto di difesa, ma la stessa Corte ritiene l’assunto difensivo opinabile in punto di fatto (pag. 2 sentenza).

Con riferimento alla dedotta inutilizzabilità delle dichiarazioni del teste S., la Corte territoriale ha applicato correttamente la giurisprudenza di questa Corte ritenendo che l’inutilizzabilità "erga omnes" delle dichiarazioni rese da chi doveva essere sentito sin dall’inizio come indagato o imputato sussiste solo se al momento delle dichiarazioni il soggetto che le ha rese non sia estraneo alle ipotesi accusatorie allora delineate, in quanto l’inutilizzabilità assoluta, ex art. 63 c.p.p., comma 2, richiede che a carico di detto soggetto risulti l’originaria esistenza di precisi, anche se non gravi, indizi di reità, senza che tale condizione possa farsi derivare automaticamente dal solo fatto che il dichiarante possa essere stato in qualche modo coinvolto in vicende potenzialmente suscettibili di dar luogo alla formazione di addebiti penali a suo carico (Sez. 5, Sentenza n. 24953 del 15/05/2009 Cc. (dep. 16/06/2009 )Rv. 243891).

La Corte, nel caso di specie, ha ritenuto, con motivazione coerente e logica, che, pur se il teste poteva considerarsi già in precedenza, in qualche modo, coinvolto nella condotta della A., i termini esatti della sua condotta sono emersi in occasione della sua deposizione dibattimentale.

In tema di dichiarazioni indizianti rese da persona non imputata nè sottoposta ad indagini, il giudizio circa la sussistenza "ab initio" di indizi di reità a carico del dichiarante costituisce accertamento di fatto la cui valutazione, se correttamente motivata dal giudice di merito, si sottrae al sindacato di legittimità.( Sez. 5, Sentenza n. 24953 del 15/05/2009 Cc. (dep. 16/06/2009 ) Rv. 243891; Sez. U, Sentenza n. 15208 del 25/02/2010 Ud. (dep. 21/04/2010 ) Rv. 246584).

Peraltro secondo l’orientamento di questa Corte, che il Collegio condivide, infatti, "anche in sede di legittimità può procedersi alla cosiddetta prova di resistenza, nel senso di valutare se gli elementi di prova acquisiti illegittimamente abbiano avuto un peso reale sulla decisione del giudice di merito, controllando in particolare la struttura argomentativa della motivazione al fine di stabilire se la scelta di una determinata soluzione sarebbe stata la stessa anche senza l’utilizzazione di quegli elementi, per la presenza di altre prove ritenute di per sè sufficienti a giustificare l’identico convincimento". (Cass. Sez. 1 sent. 1495 del 2.12.1998 dep. 5.2.1999 rv 212274. V. anche Cass. Sez. 5, sent. 569 del 18.11.2003 dep. 12.1.2004 rv 226972: "Allorchè con il ricorso per cassazione si lamenti l’illegale assunzione di una prova (nella specie dichiarativa), è consentito procedere in sede di legittimità alla cd. prova di resistenza, e cioè valutare se gli elementi di prova acquisiti illegittimamente abbiano avuto un peso reale sulla decisione del giudice di merito, mediante il controllo della struttura della motivazione, al fine di stabilire se la scelta di una certa soluzione sarebbe stata la stessa senza l’utilizzazione di quegli elementi, per la presenza di altre prove ritenute sufficienti". La Corte territoriale ha evidenziato come la deposizione del S. non è la sola ad avvalorare la tesi accusatoria, avendo trovato conferma in quella convergente dell’ A. e del V., nonchè dal riconoscimento della pietra ametista, nonostante la scalfittura, ad opera della parte offesa Nuccio che costituisce, in base alla coerente valutazione della Corte di merito, la definitiva conferma della fondatezza dell’accusa.

2) Inoltre è consolidato orientamento di questa Corte che la motivazione per relationem (con riferimento alla condotta della A., emerse in occasione della sua deposizione testimoniale) sia legittima "quando: 1) – faccia riferimento, recettizio o di semplice rinvio, a un legittimo atto del procedimento, la cui motivazione risulti congrua rispetto all’esigenza di giustificazione propria del provvedimento di destinazione; 2) – fornisca la dimostrazione che il giudice ha preso cognizione del contenuto sostanziale delle ragioni del provvedimento di riferimento e le abbia meditate e ritenute coerenti con la sua decisione; 3) – l’atto di riferimento, quando non venga allegato o trascritto nel provvedimento da motivare, sia conosciuto dall’interessato o almeno ostensibile, quanto meno al momento in cui si renda attuale l’esercizio della facoltà di valutazione, di critica ed, eventualmente, di gravame e, conseguentemente, di controllo dell’organo della valutazione o dell’impugnazione". (Cass. Sez. Un. Sentenza n. 17 del 21.6.2000 dep. 21.09.2000 Rv. 216664). Elementi tutti che la Corte territoriale dimostra di avere osservato, come desumibile dalla motivazione complessiva del provvedimento. Con riferimento all’asserita mancanza di prova del reato di ricettazione,il motivo è inammissibile in quanto sollecita a questa Corte una diversa valutazione del significato e della valenza probatoria degli elementi considerati dal giudice di merito ed è ben noto che una siffatta censura non possa essere ammessa nel giudizio di legittimità, ove il controllo della motivazione può essere solo limitato, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. c), al riscontro dell’esistenza e della coerenza logica della motivazione. Non può, inoltre, per giurisprudenza costante, formare oggetto di ricorso per Cassazione la valutazione di contrasti testimoniali, la scelta tra divergenti versioni ed interpretazioni dei fatti e l’indagine sull’attendibilità dei testimoni, salvo il controllo sulla congruità e logicità della motivazione e, nella fattispecie, appare coerente e logica (Sez. 4, Sentenza n. 8090 del 25/05/1981 Ud. (dep. 11/09/1981) Rv. 150282). Infatti il giudizio sulla rilevanza ed attendibilità delle fonti di prova è devoluto insindacabilmente ai giudici di merito e la scelta che essi compiono, per giungere al proprio libero convincimento, con riguardo alla prevalenza accordata a taluni elementi probatori, piuttosto che ad altri, ovvero alla fondatezza od attendibilità degli assunti difensivi, quando non sia fatta con affermazioni apodittiche o illogiche, si sottrae al controllo di legittimità della Corte Suprema.

Peraltro, la Corte territoriale ha affermato che la parte offesa ha riconosciuto una pietra preziosa di sua proprietà, nonostante la scalfittura, rimanendo, quindi, indifferente che la stessa fosse preesistente o meno al furto.

Con riferimento alla ritenuta sussistenza dell’elemento soggettivo del reato di ricettazione le Sezioni Unite, con valutazione condivisa dal Collegio, hanno rilevato come l’elemento psicologico della ricettazione può essere integrato anche dal dolo eventuale, che è configurabile in presenza della rappresentazione da parte dell’agente della concreta possibilità della provenienza della cosa da delitto e della relativa accettazione del rischio, ravvisabile quando l’agente, rappresentandosi l’eventualità della provenienza delittuosa della cosa, non avrebbe agito diversamente anche se di tale provenienza avesse avuto la certezza (Sez. U, Sentenza n. 12433 del 26/11/2009 Ud. (dep. 30/03/2010) Rv. 246324; Sez. 1, Sentenza n. 27548 del 17/06/2010 Ud. (dep. 15/07/2010) Rv. 247718).

In altri termini ci si trova in presenza di un dolo eventuale quando chi agisce "si rappresenta come seriamente possibile (non come certa) l’esistenza di presupposti della condotta ovvero il verificarsi dell’evento come conseguenza dell’azione e, pur di non rinunciare all’azione e ai vantaggi che se ne ripromette, accetta che il fatto possa verificarsi: il soggetto decide di agire "costi quel che costi, mettendo cioè in conto la realizzazione del fatto".

Nella fattispecie è ravvisabile il dolo eventuale in quanto la situazione fattuale – nella valutazione operata dal giudice di merito in conformità alle regole della logica e dell’esperienza – è tale da far ragionevolmente ritenere che non vi sia stata una semplice mancanza di diligenza nel verificare la provenienza della res, ma una consapevole accettazione del rischio che la cosa acquistata o ricevuta fosse di illecita provenienza. Accertato dalla Corte il possesso della pietra preziosa di proprietà della parte offesa da parte dell’imputato, ai fini della sussistenza dell’elemento psicologico del reato la Corte evidenzia elementi indiziari di pregnante rilievo quali la condizione del venditore e dell’acquirente, le modalità della condotta, la tipologia degli oggetti, il corrispettivo erogato e la condotta complessiva tenuta dell’imputato, ritenendo sussistere, conformemente a quanto già dedotto dal Tribunale, l’elemento soggettivo del reato, quantomeno sotto il profilo del dolo eventuale, escludendo conseguentemente, la derubricazione del reato nella contravvenzione di cui all’art. 712 c.p..

3) In via di principio si rammenta – in conformità a precedenti arresti di questa sezione – che si configura il reato di ricettazione, sotto il profilo del dolo eventuale, ogniqualvolta l’agente si è posto il quesito circa la legittima provenienza della res risolvendolo nel senso dell’indifferenza della soluzione; si configura invece l’ipotesi di cui all’art. 712 c.p. quando il soggetto ha agito con negligenza nel senso che, pur sussistendo oggettivamente il dovere di sospettare circa l’illecita provenienza dell’oggetto, egli non si è posto il problema ed ha, quindi, colposamente realizzato la condotta vietata (Cass. pen., Sez. 2, 15/01/2001, n. 14170). In sostanza nel delitto di ricettazione è ravvisabile il dolo eventuale quando la situazione fattuale – nella valutazione operata dal giudice di merito in conformità alle regole della logica e dell’esperienza – sia tale da far ragionevolmente ritenere che non vi sia stata, come nella fattispecie, una semplice mancanza di diligenza nel verificare la provenienza della res, ma una consapevole accettazione del rischio che la cosa acquistata o ricevuta fosse di illecita provenienza (cfr Sez. 2, Sentenza n. 45256 del 22/11/2007 Ud. (dep. 05/12/2007) Rv. 238515; Cass. pen., Sez. 2, 12/02/1998, n. 3783).

La ritenuta sussistenza dell’elemento soggettivo del reato e la qualificazione della condotta rendono superfluo, da parte della Corte di merito, l’esame delle prospettazioni alternative di reati formulate dalla difesa, avendo correttamente ricondotto la condotta del prevenuto al reato di ricettazione escludendo la invocata riqualificazione del fatto a titolo di truffa o di commercio non autorizzato di cose preziose.

4) Con riferimento al quarto motivo di ricorso, in tema di delitto di ricettazione, ai fini della sussistenza della circostanza attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità, questa Corte ha rilevato, con valutazione condivisa dal Collegio, che "non rileva solo il valore economico della cosa ricettata, ma anche il complesso dei danni patrimoniali oggettivamente cagionati alla persona offesa dal reato come conseguenza diretta del fatto illecito e perciò ad esso riconducibili, la cui consistenza va apprezzata in termini oggettivi e nella globalità degli effetti (Sez. U, Sentenza n. 35535 del 12/07/2007 Ud. (dep. 26/09/2007 ) Rv. 236914).

Inoltre, secondo l’orientamento di questa Corte,"in tema di ricettazione, perchè possa trovare applicazione l’ipotesi prevista dal capoverso dell’art. 648 cod. pen., è necessario che la cosa ricettata sia di valore economico particolarmente tenue, restando comunque impregiudicata la facoltà del giudice, pur in presenza di un valore modesto, di escludere il fatto di particolare tenuità prendendo in esame gli ulteriori elementi di valutazione della vicenda, ed in particolare ogni altra circostanza idonea a delineare la gravità del reato e la capacità a delinquere del colpevole; tale ulteriore operazione, tuttavia, deve essere compiuta secondo i criteri di cui all’art. 133 cod. proc. pen. e con riferimento al comportamento concreto dell’agente, con esclusione di qualsiasi valutazione inerente alla gravità in astratto del reato, la quale compete al legislatore ai fini della previsione delle relative sanzioni, ma non all’interprete in sede di applicazione delle norme preesistenti". (Cass. Sez. 2 sent. n. 11113 del 6.11.1996 dep. 21.12.1996 rv 206502 e successiva conforme). In applicazione dei principi sopra riportati, la Corte territoriale, in considerazione dell’importo non certamente esiguo dei beni ricettati, considerato il numero e il valore dei preziosi, non ha ritenuto, logicamente e coerentemente, di ritenere la sussistenza della citata attenuante e della ipotesi lieve di cui all’art. 648 cpv. c.p., avendo anche escluso la sussistenza dell’attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 5. essendo estranea alla fattispecie il concorso doloso della persona offesa. Conclusivamente il ricorso va rigettato.

Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che rigetta il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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