Cass. civ. Sez. III, Sent., 09-05-2011, n. 10128 Responsabilità civile per ingiurie e diffamazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

V.W. e T.L., v.a., Vi.An., V.A. e Vi.Al., quali eredi di V.C., propongono ricorso per cassazione, affidato a sei motivi ed illustrato da successiva memoria, avverso la sentenza della Corte di appello di Roma che ha rigettato il gravame proposto contro la pronuncia di primo grado, che aveva respinto la domanda di risarcimento del danno avanzata nei confronti di S.E., del Gruppo Editoriale L’Espresso S.p.A. e di M.D. in relazione ad un articolo, a firma del M., pubblicato sulla (OMISSIS) dell’ (OMISSIS).

Gli intimati resistono con controricorso.
Motivi della decisione

1.- Con il primo motivo i ricorrenti lamentano la violazione degli artt. 112 e 227 cod. proc. civ., ed il vizio di motivazione, perchè il giudice di appello avrebbe ingiustamente stigmatizzato il loro (legittimo) tentativo di dividere l’articolo in due parti (la notizia, vera, e le dichiarazioni di tal B., false) e formulano in conclusione il seguente quesito di diritto: "E legittimo che il giudice possa a suo libito valicare quelli che sono i precisi ambiti e contenuti della domanda proposta dalla parte e pronunciare oltre la regiudicanda, in ispreto e violazione degli artt. 112 e 277 c.p.c.?". 1.1.- Il mezzo è inammissibile, sia per la mancanza del momento di sintesi quanto al dedotto vizio di motivazione, sia per la inadeguatezza del quesito di diritto ex art. 366 bis cod. proc. civ., quanto alla dedotta violazione di legge, del tutto astratto e privo di qualsiasi riferimento alla fattispecie concreta.

2.- Con il secondo motivo, sotto i profili della violazione dell’art. 595 cod. pen. e della L. n. 47 del 1948, art. 13 e del vizio di motivazione, i ricorrenti assumono la lesività dell’articolo nella parte in cui riporta le dichiarazioni del B., formulando in conclusione il seguente quesito di diritto: "E’ legittimo accordare il diritto di cronaca al giornalista che pubblichi notizie diffamatorie senza specificare a quali atti giudiziari esse si riferiscano e senza che egli abbia svolto alcun accertamento per verificare l’attendibilità della fonte atteso che per plurima e costante giurisprudenza (vedi conclusionale di appello pag. 9) non esistono fonti informative privilegiate e quindi nemmeno quelle provenienti da non meglio specificati – dalla difesa dei giornalisti – ambienti giudiziari?". 2.1. – Il secondo motivo è inammissibile per le stesse ragioni enunciate quanto al primo.

3.- Con il terzo motivo, sotto i profili della violazione dell’art. 595 cod. pen., della L. n. 47 del 1948, art. 13, degli artt. 648 e 651 cod. proc. pen. e del vizio di motivazione, i ricorrenti negano che, come affermato in sentenza, solo dopo la pubblicazione le dichiarazioni del B. siano state "accertate per false". 3.1.- Il terzo motivo è infondato.

Premesso che l’articolo è del 1993, gli stessi ricorrenti danno atto che la sentenza della Corte di appello di Roma che ha definitivamente sancito l’originaria falsità delle dichiarazioni del B., sulla cui base il procedimento penale era iniziato, è dell’anno 2000, e dunque ben successiva alla pubblicazione dell’articolo giornalistico.

L’affermazione del giudice di appello, secondo cui la circostanza del successivo accertamento della falsità non può in alcun modo incidere sulla scriminante del diritto di cronaca, da accertarsi con riferimento alla situazione esistente alla data di pubblicazione dell’articolo, è d’altro canto immune da censure, non potendo certo richiedersi al giornalista di compiere quegli accertamenti riguardo alla veridicità delle accuse, sulla cui base il procedimento penale ha inizio, di esclusiva competenza del giudice penale.

4.- Con il quarto motivo, ancora sotto i profili della violazione di legge e del vizio di motivazione, i ricorrenti, anche richiamando la sentenza delle Sezioni Unite penali n. 37140 del 2001, assumono che non può ritenersi scriminata la condotta del giornalista il quale pubblichi, senza effettuare alcun controllo, calunniose dichiarazioni altrui rese in un atto giudiziario.

4.1.- Il mezzo è infondato.

Va premesso che la sentenza delle Sezioni Unite citata si riferisce all’ipotesi dell’intervista, ed afferma che la condotta del giornalista che, pubblicando il testo di un’intervista, vi riporti, anche se "alla lettera", dichiarazioni del soggetto intervistato di contenuto oggettivamente lesivo dell’altrui reputazione, non è scriminata dall’esercizio del diritto di cronaca, in quanto al giornalista stesso incombe pur sempre il dovere di controllare veridicità delle circostanze e continenza delle espressioni riferite.

Ben diversa è l’ipotesi che ricorre nel caso di specie, in cui non di un’intervista si tratta bensì di dichiarazioni rese all’autorità giudiziaria e ritenute tanto fondate prima facie (dal PM prima e dal giudice poi) da determinare l’inizio di un procedimento penale, peraltro concluso – come è del resto nella fisiologia del processo – con sentenza di assoluzione. Nella sussistenza degli altri requisiti del diritto di cronaca, deve pertanto ritenersi scriminata la condotta del giornalista che tali dichiarazioni riferisca.

5.- Con il quinto motivo i ricorrenti contestano la sussistenza dell’interesse pubblico della notizia in ragione della originaria falsità delle accuse.

5.1.- Il quinto motivo è infondato, per quanto sin qui detto.

L’apertura di un procedimento penale sulla base delle dichiarazioni del B., anche se poi risultate false, esaurisce l’obbligo di controllo del giornalista e determina, in ragione delle caratteristiche personali dei prevenuti, l’interesse pubblico della notizia.

6.- Con il sesto motivo, quanto al requisito della continenza, i ricorrenti censurano l’affermazione, contenuta in sentenza, secondo cui l’articolo "non contiene espressioni gratuitamente lesive della reputazione non funzionali allo scopo informativo, ma usa linguaggio e toni del tutto abituali per la cronaca giudiziaria senza espressioni pretestuosamente denigratorie", al contrario assumendo che l’articolo conterrebbe espressioni offensive e fatti del tutto inventati dal giornalista.

6.1.- Il sesto motivo è inammissibile, richiedendosi a questo giudice una diversa valutazione rispetto a quella effettuata dal giudice di merito riguardo alla sussistenza, in concreto, del requisito della continenza.

7 – Conclusivamente il ricorso va rigettato, con la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese, liquidate in Euro 3.200,00 di cui Euro 3.000,00 per onorari, oltre spese generali ed accessori di legge.
P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese, liquidate in Euro 3.200,00 di cui Euro 3.000,00 per onorari, oltre spese generali ed accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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