CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. IV PENALE – 25 maggio 2010, n. 19637. In materia di lesioni colpose.

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Svolgimento del processo

1. Il 16 luglio 2007 il Tribunale di Milano condannava F. C. B. F. e F. S., riconosciute loro le attenuanti generiche equivalenti alla aggravante contestata, a pene ritenute di giustizia (con entrambi i benefici di legge), nonché al risarcimento del danno, da liquidarsi in separata sede, in favore della costituita parte civile, F. T., cui assegnava una provvisionale, per imputazione di cui all’art. 590 c.p..

Sui gravami degli imputati, la Corte di Appello di Milano, con sentenza del 7 luglio 2008, convertiva la pena detentiva inflitta dal primo giudice in quella corrispondente pecuniaria e confermava nel resto.

Si era contestato a tali imputati di avere, F. quale medico chirurgo estetico e S. quali medico anestesista, cagionato a F. T., loro paziente, lesioni personali gravi per colpa, consistita nell’avere, nel corso di un intervento di mastoplastica additiva, malposizionato sul lettino operatorio la paziente e di aver mantenuto tale incongrua posizione per tutta la durata dell’intervento: ne era derivata una lesione neuroprassica del tronco superiore del plesso branchiale.

2. Avverso tale sentenza hanno proposto ricorsi gli imputati, F. personalmente, S. per mezzo del difensore.

2.1. F. denunzia vizi di violazione di legge e “travisamento della prova”. Deduce che l’errore di diritto in cui sarebbe incorsa la Corte territoriale “è quello di affermare … l’esistenza di un obbligo, giuridicamente rilevante, in capo al chirurgo attinente il posizionamento e la movimentazione della paziente sul lettino operatorio. L’esame delle parti nonché la c.t.u. collegiale acquisita agli atti del processo penale hanno evidenziato invece una competenza sul punto anestesiologica e infermieristica, escludendola in capo al chirurgo …”. Illegittimamente, poi, “la Corte ritiene sia possibile affermare la negligenza ed imperizia del chirurgo nonostante non sia stata accertata la corretta posizione in cui la paziente doveva essere posizionata per quel tipo di intervento … Affermare che quella posizione standard sia stata sbagliata solo in forza dell’evento lesivo viola il principio di causalità e sembra, mancando l’indicazione della corretta posizione, il cui scostamento avrebbe costituito malposizionamento, rispondere ad una responsabilità oggettiva piuttosto che colposa …”. Inoltre, “l’anestesista è il solo competente del posizionamento, della modifica durante l’operazione e della sospensione dell’attività chirurgica, quando ritiene di dover intervenire per movimentare la paziente. La responsabilità del chirurgo attiene l’atto chirurgico e, prima di questo, la sua valutazione del posizionamento, modifica e sospensione dell’intervento, è strettamente connessa alla corrispondenza alle sue esigenze operatorie …”. Ancora: “a prescindere … dall’errore di ritenere sussistente una posizione di garanzia insussistente …, dagli atti istruttori è emerso che la signora T. non aveva una situazione fisica atipica, da evidenziare una palese inidoneità della posizione standard fatta assumere dal personale infermieristico sotto il controllo del medico anestesista, né che la stessa fosse divenuta palesemente inidonea durante l’operazione …”. Infine, “il chirurgo non deve sottrarsi al controllo della posizione della paziente, ma il suo controllo è solamente finalizzato alla migliore realizzazione dell’atto operatorio …, mentre compete all’anestesista prendere tutte quelle precauzioni per garantire il benessere della paziente, prima, durante e dopo l’intervento …”.

2.2. S., dal canto suo, denunzia:

a) vizi di violazione di legge e di motivazione. Richiamate alcune acquisizioni procedimentali, deduce che “i giudici d’appello si sono limitati a recuperare e richiamare le sintetiche speculazioni del Tribunale, così di fatto vanificando il doppio grado di giudizio. La sentenza, in particolare, supera con eccessiva disinvoltura tutte le osservazioni contenute nei motivi di gravame …, omettendo di motivare il ‘raggiungimento del nesso causale’ …”. In sostanza, la sentenza impugnata, “per effetto di un apparato motivazionale di puro stile, non ha dato conto della raggiunta dimostrazione circa il rapporto di causalità tra azione/omissione ed evento e, conseguentemente, non ne ha reso una motivazione plausibile …”; al riguardo i giudici del merito non si sarebbero attenuti ai principi affermati dalle Sezioni Unite di questa Suprema Corte nella sentenza del 10 luglio 2002, ric. Franzese. Soggiunge che “non è nemmeno stato dimostrato che la posizione fatta assumere dalla signora T. per l’esecuzione dell’intervento fosse ‘incongrua’ …” e “l’istruttoria dibattimentale ha dimostrato esattamente il contrario: quella fatta assumere alla signora T. era la posizione necessaria per l’esecuzione dell’intervento chirurgico programmato; è una posizione pressoché naturale ed è la posizione standard per quel tipo di intervento …”;

b) mancata assunzione di una prova decisiva. Premesso che “sin dall’inizio del dibattimento il richiedente chiedeva ammettersi una perizia d’ufficio a fronte delle relazioni dei consulenti del Pubblico Ministero e della parte civile”, assume che “sia il Tribunale che la Corte d’Appello hanno preferito trincerarsi dietro suggestive congetture, respingendo la richiesta del difensore e così andando ad infrangere il disposto di cui all’art. 220 c.p.p. …”; la giustificazione al riguardo espressa dalla sentenza impugnata sarebbe “priva di senso logico, prima ancora che giuridico …”.

Motivi della decisione

3. Il ricorso di S. è infondato.

3.1. Invero, premesso che, su richiesta di parte ed in parziale rinnovazione della istruzione dibattimentale, i giudici dell’appello hanno disposto l’acquisizione di una consulenza tecnica collegiale di ufficio espletata in sede civile, dà atto la sentenza impugnata che le conclusioni di tale indagine tecnica avevano confermato gli esiti cui erano pervenuti gli accertamenti tecnici eseguiti in sede penale. L’ulteriore accertamento tecnico eseguito, difatti, aveva evidenziato che le lesioni riportate dalla paziente erano “un effetto collaterale della postura della paziente resasi necessaria per eseguire l’intervento chirurgico”; si era ivi osservato che “per evitare tali complicanze è necessario agire con estrema cautela negli spostamenti, adottare le posizioni più consone e, quando ciò non sia realizzabile, far sospendere periodicamente l’attività operativa chirurgica per consentire anche solo una momentanea modificazione posizionale (in questo caso consistente nel mantenimento della paziente con braccia abdotte)”.

Il giudice di prime cure, dal canto suo, richiamando gli esiti della consulenza tecnica disposta dal P.M., aveva ricordato che il consulente tecnico aveva specificato che, nelle circostanze operatorie come quella di specie, “c’è da valutare quella che è la situazione che deve essere utile per il chirurgo per poter operare, che debba essere anche sufficientemente comoda per il paziente. Nel caso di specie la comodità era un fatto relativo, considerato che la paziente era addormentata, ma certamente si sarebbe dovuto far coincidere quella che doveva essere una posizione utile per poter esprimere al meglio quello che era un atto chirurgico, ed una posizione che, invece, non ponesse problemi dovuti al posizionamento … la cosa più probabile è che si sia trattato di uno stiramento eccessivo legato ad un eccessivo allargamento degli arti superiori … il braccio sinistro era addotto in modo eccessivo”. Richiama ancora la sentenza ora impugnata che “la conclusione dei consulenti era nel senso che devono essere attuati accorgimenti idonei ad evitare compressioni dirette dei tronchi nervosi o … posture idonee a determinare stiramenti del tratto cervicale e che non emergono situazioni o contingenze cliniche, tali da giustificare una necessità clinica inevitabile e, contestualmente, tali da imporre posture abnormi alla paziente, di talché è prospettabile, in via di elevatissima probabilità, un’errata posizione della donna sul lettino, senza che poi si sia proceduto a modificare il decubito”.

Appare, quindi, logicamente consequenziale il divisamento espresso dai giudici del merito, che, cioè non possa sussistere dubbio che le lesioni patite dalla T. siano derivate “dalla posizione che le era stata fatta assumere durante l’intervento”, che tali lesioni “sono con certezza conseguenza della posizione che le era stata fatta assumere sul lettino operatorio”, che, in definitiva, l’evento lesivo sia conseguito al malposizionamento della paziente durante l’espletamento dell’atto operatorio. Ricorda la sentenza impugnata che la consulenza tecnica del 30 novembre 2004 aveva evidenziato che “causa della neuroprassia è individuabile in un malposizionamento sul lettino operatorio, mal posizionamento mantenuto per circa 3 ore …”. Ed aveva anche rilevato il giudice di prime cure che la circostanza che “aggiustamenti” della posizione della paziente “fossero possibili emerge con chiarezza, ad esempio, da quanto affermato dalle infermiere che hanno detto che il letto operatorio era dotato di poggia braccia che potevano essere spostati per adattarli alle caratteristiche di cui si è detto”, ragguagliata, peraltro, la considerazione alla circostanza rilevata in sede di consulenza tecnica, “il braccio sinistro addotto in modo eccessivo”.

Essendo pacifico che il controllo sulla posizione della paziente lungo tutto il decorso dell’intervento operatorio fosse demandato a tale ricorrente, quanto al nesso di causalità tra la sua evidenziata condotta negligente ed imperita e l’evento prodottosi, ha dato esplicitamente atto il giudice di primo grado che “dall’istruttoria è emerso che ‘non esistono spiegazioni alternative’ e che, pertanto, ove non fosse stata tenuta la condotta antidoverosa, detto evento non si sarebbe verificato”.

3.2. Del tutto destituito di fondamento è il secondo profilo di doglianza.

È, difatti, dirimente considerare che ha più volte chiarito questa Suprema Corte, e va qui ancora una volta rifermato, che la perizia, per il suo carattere neutro sottratto alla disponibilità delle parti e rimesso alla discrezionalità del giudice, non può farsi rientrare nel concetto di prova decisiva, sicché il relativo provvedimento di diniego non è sanzionabile ai sensi dell’art. 606 1° c., lett. d), c.p.p. (ex ceteris, Sez. IV, 22 gennaio 2007, n. 14130; Sez. IV, 5 dicembre 2003, n. 4981/2004; Sez. VI, 18 giugno 2003, n. 37033; Sez. VI, 12 febbraio 2003, n. 17629; Sez. IV, 12 dicembre 2002, n. 9279/2003).

Per altro verso e sotto altro profilo, ai sensi dell’art. 603, 1° c., c.p.p., il giudice dell’appello è tenuto a disporre la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale solo se “ritiene di non essere in grado di decidere allo stato degli atti”; il positivo esercizio di tale potere, dunque, è vincolato alla condizione della riscontrata incompletezza dell’indagine dibattimentale, alla ritenuta impossibilità cioè di poter decidere in mancanza di tale rinnovazione istruttoria: tale giudizio è rimesso alla valutazione del giudice del merito ed è incensurabile, se correttamente motivata, in sede di legittimità. E nella specie del tutto legittimamente i giudici dell’appello hanno ritenuto di non dover disporre “alcuna nuova consulenza” (rectius: perizia) dovendo ritenersi pienamente esauriente quella collegiale (31.11.04) espletata dai consulenti, nel corso delle indagini preliminari, su incarico del P.M.”.

4. Del pari infondato è il ricorso di F..

4.1. Vanno, difatti, richiamate, anche per quanto concerne tale ricorrente, le considerazioni già sopra svolte in ordine alla causa dell’evento lesivo prodottosi, al comportamento negligente ed imperito che lo ha determinato, al conseguente nesso di relazione causale, all’espresso giudizio controfattuale.

Assumendo, poi, il ricorrente che, in sostanza, a lui non faceva capo la relativa posizione di garanzia perché “l’anestesista è il solo competente della posizione” della paziente, v’è da osservare che, in caso di intervento operatorio ad opera di equipe chirurgica, e più in generale nella ipotesi di cooperazione multidisciplinare nell’attività medico-chirurgica, ogni sanitario è tenuto ad osservare, oltre che il rispetto delle regole di diligenza e prudenza connessi alle specifiche e settoriali mansioni svolte, gli obblighi ad ognuno derivanti dalla convergenza di tutte le attività verso il fine comune ed unico. Ogni sanitario, quindi, non può esimersi dal conoscere e valutare (nei limiti e termini in cui sia da lui conoscibile e valutabile) l’attività precedente e contestuale di altro collega e dal controllarne la correttezza, se del caso ponendo rimedio ad errori altrui che siano evidenti e non settoriali ed emendabili con l’ausilio delle comuni conoscenze scientifiche del professionista medio (Cass., Sez. IV, 24 gennaio 2005, n. 18548). Ed alla stregua di tanto, si sottrae a rinvenibili vizi di illogicità (che, peraltro, la norma vuole dover essere manifesta, cioè coglibile immediatamente, ictu oculi) la considerazione della sentenza impugnata, secondo cui “il posizionamento della paziente sul lettino, pur essendo materialmente predisposto dall’anestesista, non poteva definirsi operazione del tutto sottratta al controllo del medico chirurgo, incaricato dell’intervento”.

5. I ricorsi vanno, dunque, rigettati, con conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali. I ricorrenti medesimi vanno, altresì, condannati, in solido tra loro, alla rifusione in favore della costituita parte civile delle spese di questo giudizio, che si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione delle spese di questo giudizio in favore della costituita parte civile e liquida le stesse in euro 1.800,00, oltre accessori come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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