Corte Costituzionale sentenza N. 226 21 – 24 giugno 2010 .

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Gazzetta Ufficiale – 1ª Serie Speciale – Corte Costituzionale n. 26 del 30-6-2010

Sentenza

nei giudizi di legittimita’ costituzionale dell’art. 3, commi 40, 41,
42 e 43 della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di
sicurezza pubblica), promossi dalle Regioni Toscana, Emilia-Romagna e
Umbria, notificati il 22 settembre 2009, depositati in cancelleria il
25, il 29 ed il 30 settembre 2009 e rispettivamente iscritti ai nn.
64, 66 e 67 del registro ricorsi 2009.
Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei
ministri;
Udito nell’udienza pubblica del 28 aprile 2010 il Giudice
relatore Giuseppe Frigo;
Uditi gli avvocati Lucia Bora per la Regione Toscana,
Giandomenico Falcon per le Regioni Emilia-Romagna e Umbria e
l’avvocato dello Stato Gabriella Palmieri per il Presidente del
Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. – Con ricorso notificato il 22 settembre 2009, la Regione
Toscana ha promosso questione di legittimita’ costituzionale
dell’art. 3, commi 40, 41, 42 e 43, della legge 15 luglio 2009, n. 94
(Disposizioni in materia di sicurezza pubblica), per violazione
dell’art. 117, commi secondo, lettera h), quarto e sesto, della
Costituzione, nonche’ del principio di leale collaborazione.
La ricorrente premette che le norme impugnate regolano la
collaborazione di associazioni di privati cittadini alla tutela della
sicurezza urbana e alla prevenzione di situazioni di disagio sociale.
In particolare, il comma 40 del citato art. 3 prevede che «i
sindaci, previa intesa con il prefetto, possono avvalersi della
collaborazione di cittadini non armati al fine di segnalare alle
Forze di polizia dello Stato o locali eventi che possano arrecare
danno alla sicurezza urbana ovvero situazioni di disagio sociale».
Il comma 41 stabilisce che le predette associazioni «sono
iscritte in apposito elenco tenuto a cura del prefetto, previa
verifica da parte dello stesso, sentito il comitato provinciale per
l’ordine e la sicurezza pubblica, dei requisiti necessari previsti
dal decreto di cui al comma 43», e demanda allo stesso prefetto di
provvedere «al loro periodico monitoraggio, informando dei risultati
il comitato».
Il comma 42 precisa ulteriormente che «tra le associazioni
iscritte nell’elenco di cui al comma 41 i sindaci si avvalgono, in
via prioritaria, di quelle costituite tra gli appartenenti, in
congedo, alle Forze dell’ordine, alle Forze armate e agli altri Corpi
dello Stato», aggiungendo che «le associazioni diverse da queste
ultime sono iscritte negli elenchi solo se non siano destinatarie, a
nessun titolo, di risorse economiche a carico della finanza
pubblica».
Da ultimo, il comma 43 attribuisce ad un decreto del Ministro
dell’interno, da adottare entro sessanta giorni dalla data di entrata
in vigore della legge, il compito di determinare gli ambiti operativi
delle disposizioni di cui ai commi 40 e 41, nonche’ i requisiti per
l’iscrizione e le modalita’ di tenuta degli elenchi.
Ad avviso della ricorrente, le disposizioni ora ricordate
risulterebbero invasive delle competenze legislative regionali.
Alla luce di una consolidata giurisprudenza costituzionale, che
si pone in linea di continuita’ con un orientamento formatosi gia’
prima della riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione,
la materia della «sicurezza», demandata alla legislazione esclusiva
statale dall’art. 117, secondo comma, lettera h), Cost., deve essere,
difatti, intesa in senso restrittivo. Tenuto conto della connessione
testuale con l’«ordine pubblico» e dell’esplicita esclusione dal suo
ambito della «polizia amministrativa locale», nonche’ dell’esigenza
di evitare una smisurata dilatazione dell’area di intervento statale,
il concetto di «sicurezza» va ritenuto comprensivo, in specie, dei
soli interventi finalizzati alla prevenzione dei reati o al
mantenimento dell’ordine pubblico, inteso, quest’ultimo, quale
complesso dei beni giuridici fondamentali e degli interessi pubblici
primari sui cui si regge l’ordinata e civile convivenza nella
comunita’ nazionale.
Quanto, invece, alla «polizia amministrativa locale» – materia
rientrante nella potesta’ legislativa residuale delle Regioni, ai
sensi della disposizione combinata del secondo comma, lettera h), e
del quarto comma dell’art. 117 Cost. – essa abbraccia l’insieme delle
misure dirette ad evitare danni o pregiudizi ai soggetti giuridici e
alle cose nello svolgimento di attivita’ relative alle materie nelle
quali vengono esercitate le competenze delle Regioni e degli enti
locali.
La Regione Toscana ha esercitato la propria competenza
legislativa in materia con la legge regionale 3 aprile 2006, n. 12
(Norme in materia di polizia comunale e provinciale), il cui art. 7
prevede specificamente che associazioni di volontariato possano
partecipare allo svolgimento di compiti di «polizia amministrativa
locale». Piu’ in particolare, e’ previsto che i comuni e le province
possano stipulare convenzioni con le associazioni iscritte nel
registro di cui all’art. 4 della legge regionale 26 aprile 1993, n.
28 (Norme relative ai rapporti delle organizzazioni di volontariato
con la Regione, gli Enti locali e gli altri Enti pubblici –
Istituzione del registro regionale delle organizzazioni del
volontariato), e successive modificazioni, «per realizzare
collaborazioni tra queste ultime e le strutture di polizia locale
rivolte a favorire l’educazione alla convivenza, al senso civico e al
rispetto della legalita’».
Le norme statali di cui ai commi 40, 41 e 42 dell’art. 3 della
legge n. 94 del 2009 inciderebbero sulla disciplina regionale ora
ricordata, vanificando il ruolo e i compiti delle associazioni di
volontariato da essa previste.
Le espressioni di cui il comma 40 si avvale – «sicurezza
urbana» e «disagio sociale» – sarebbero infatti idonee, nella loro
ampiezza e genericita’, a svuotare di contenuto le competenze della
Regione.
In base alla ricordata giurisprudenza costituzionale, la
«sicurezza urbana» potrebbe essere, in effetti, ricondotta alla
competenza statale solo se circoscritta agli interventi finalizzati –
nell’ambito delle citta’ – alla prevenzione dei reati e al
mantenimento dell’ordine pubblico. Tanto e’ vero che, in sede di
decisione su un ricorso per conflitto di attribuzioni, la Corte
costituzionale ha ritenuto che la definizione di «sicurezza urbana»
offerta dall’art. 1 del decreto del Ministro dell’interno 5 agosto
2008, in attuazione dell’art. 6 del decreto-legge 23 maggio 2008, n.
92 (Misure urgenti in materia di sicurezza), convertito, con
modificazioni, dalla legge 24 luglio 2008, n. 125, sia conforme,
bensi’, al dettato costituzionale, ma solo in quanto il citato
decreto ministeriale fa espresso riferimento, come fondamento dello
stesso, al secondo comma, lettera h), dell’art. 117 Cost. (sentenza
n. 196 del 2009). Nell’impugnato art. 3, comma 40, della legge n. 94
del 2009 mancherebbe, di contro, ogni specificazione dei limiti del
concetto di «sicurezza urbana», il quale si presterebbe, di
conseguenza, a ricomprendere anche gli interventi volti a migliorare
le condizioni di vivibilita’ dei centri urbani, la convivenza civile
e la coesione sociale: interventi da ricondurre, per contro,
nell’ambito della competenza regionale, in quanto espressione della
polizia amministrativa locale.
A similare conclusione dovrebbe pervenirsi anche con riguardo
alla concorrente locuzione «disagio sociale». Tale espressione
apparirebbe, infatti, evocativa della generalita’ delle situazioni,
protratte nel tempo, nelle quali un soggetto «non e’ in grado di
utilizzare le proprie risorse e le opportunita’ offerte dalla
societa’», e quindi «si isola o suscita rigetto da parte della
societa’ stessa». Si tratterebbe, dunque, di una nozione di ampia
portata, potendo le predette situazioni derivare da molteplici cause,
singole o combinate fra loro (ristrettezze economiche, difficolta’
familiari, disoccupazione, malattie, invalidita’, solitudine, eta’,
carenze culturali, tossicodipendenza e cosi’ via dicendo). Sarebbe
evidente, in ogni caso, come gli interventi finalizzati a porre
rimedio a tali situazioni disagiate risultino riconducibili alla
sfera delle «politiche sociali»: materia che ricade anch’essa nella
competenza legislativa residuale delle Regioni.
Analogo contrasto con il riparto costituzionale delle competenze
legislative sarebbe riscontrabile in rapporto ai successivi commi 41
e 42, giacche’, in materia di polizia amministrativa locale e di
politiche sociali, la fissazione delle regole per la tenuta degli
elenchi e delle condizioni per l’iscrizione in essi delle
associazioni di volontari non potrebbe che spettare alle Regioni: e,
infatti, la ricorrente Regione Toscana vi ha provveduto con il citato
art. 7 della legge reg. n. 12 del 2006, che rinvia alla legge reg. n.
28 del 1993.
Ne’, d’altra parte, sarebbe possibile una interpretazione
conforme a Costituzione delle norme censurate. Non si potrebbe, in
particolare, ritenere che il ricorso alle associazioni di volontari
sia da esse previsto nei limiti di cui all’art. 117, secondo comma,
lettera h), Cost., perche’ cio’ significherebbe affidare a privati
cittadini una funzione necessariamente pubblica, quale quella della
prevenzione dei reati e del mantenimento dell’ordine pubblico.
Le disposizioni di cui ai commi 40, 41 e 42 risulterebbero
illegittime anche sotto il profilo della violazione del principio di
leale collaborazione. Nessuna di tali disposizioni prevede, infatti,
un coinvolgimento delle Regioni, neppure nella forma «debole» del
parere della Conferenza Stato-Regioni: e cio’ quantunque esse
incidano su ambiti complessi, nei quali spesso le competenze statali
e quelle regionali si intersecano. L’esigenza di detto
coinvolgimento – inequivocamente desumibile dall’art. 118, terzo
comma, Cost., che demanda alla legge statale la disciplina di forme
di coordinamento fra Stato e Regioni nelle materie di cui all’art.
117, secondo comma, lettera h), Cost. – risulterebbe, nella specie,
ancor piu’ accentuata, giacche’ la coesistenza di distinte
associazioni di volontariato sul medesimo territorio, regolate da
norme che propongono differenti modelli organizzativi, comporterebbe
un elevato grado di incertezza, non solo normativa, ma anche
applicativa.
Quanto, infine, al comma 43, esso si porrebbe in contrasto con
l’art. 117, sesto comma, Cost., in quanto attribuirebbe una potesta’
regolamentare allo Stato in materie di competenza legislativa
regionale.
2. – Con ricorsi di analogo tenore, notificati entrambi il 22
settembre 2009, la Regione Emilia-Romagna e la Regione Umbria hanno
promosso questioni di legittimita’ costituzionale:
a) in via principale, dei commi 40, 41, 42 e 43 dell’art. 3
della legge n. 94 del 2009, per violazione dell’artt. 117, secondo,
quarto e sesto comma, Cost.;
b) in via subordinata, dei commi 40, 41 e 43 del citato art.
3, per violazione dell’art. 118 Cost. e del principio di leale
collaborazione.
Le Regioni ricorrenti premettono di essersi anch’esse dotate,
nell’esercizio della propria potesta’ legislativa esclusiva in
materia di polizia amministrativa locale, di leggi organiche di
disciplina di tale servizio: rispettivamente, la legge della Regione
Emilia-Romagna 4 dicembre 2003, n. 24 (Disciplina della polizia
amministrativa locale e promozione di un sistema integrato di
sicurezza), come modificata dalla legge regionale 28 settembre 2007,
n. 21 (Partecipazione della Regione Emilia-Romagna alla costituzione
della fondazione «Scuola interregionale di Polizia locale». Modifiche
alla legge regionale 4 dicembre 2003, n. 24), e la legge della
Regione Umbria 30 aprile 1990, n. 34 (Norme in materia di polizia
municipale e locale), parzialmente sostituita, da ultimo, dalla legge
regionale 25 gennaio 2005, n. 1 (Disciplina in materia di polizia
locale).
L’art. 8 della legge regionale emiliana prevede specificamente
l’«utilizzazione del volontariato», quale «presenza attiva sul
territorio, aggiuntiva e non sostitutiva rispetto a quella
ordinamentale della polizia locale, con il fine di promuovere
l’educazione alla convivenza e il rispetto della legalita’, la
mediazione dei conflitti e il dialogo tra le persone, l’integrazione
e l’inclusione sociale». Si tratta di attivita’ svolte non da
associazioni, ma da singoli volontari, in qualche misura inseriti
nell’organizzazione della polizia locale; mentre e’ previsto, al
comma 3 dello stesso articolo, che le associazioni di volontariato
possano stipulare convenzioni con i comuni e le province «con sole
finalita’ di supporto organizzativo ai soci che svolgano le
attivita’» di cui al medesimo comma. La citata norma regionale
determina, altresi’, analiticamente i requisiti dei volontari,
prevede che la loro collaborazione si limiti ad una «qualificata
attivita’ di segnalazione» e dispone, fissandone i criteri,
l’istituzione da parte dei Comuni di un registro nominativo dei
volontari.
Con le norme impugnate, il legislatore statale sarebbe venuto ad
interferire nell’indicata materia di competenza regionale.
Al riguardo – dopo avere ampiamente richiamato la giurisprudenza
di questa Corte in ordine ai criteri identificativi delle materie
«ordine pubblico e sicurezza» e «polizia amministrativa locale» – le
Regioni ricorrenti osservano come il comma 40 dell’art. 3 della legge
n. 94 del 2009, nel delineare l’attivita’ delle associazioni di
volontari da esso disciplinate, non menzioni neppure la materia
«ordine pubblico e sicurezza», ma faccia diretto riferimento agli
«eventi che possano recare danno alla sicurezza urbana» e alle
«situazioni di disagio sociale».
Il concetto di «sicurezza urbana» troverebbe una definizione – a
livello di disciplina statale – unicamente nel d.m. 5 agosto 2008, a
mente del quale per «sicurezza urbana» deve intendersi «un bene
pubblico da tutelare attraverso attivita’ poste a difesa, nell’ambito
delle comunita’ locali, del rispetto delle norme che regolano la vita
civile, per migliorare le condizioni di vivibilita’ dei centri
urbani, la convivenza civile e la coesione sociale». Si tratterebbe,
dunque, di una nozione non limitata alla sola attivita’ di
prevenzione e repressione dei reati e, di conseguenza, non
riconducibile allo stretto ambito della materia «ordine pubblico e
sicurezza», di competenza statale. A maggior ragione tale conclusione
si imporrebbe in rapporto al generico riferimento alle «situazioni di
disagio sociale»: nozione, questa, non definita a livello statale, ed
alla quale si richiama, invece, la citata legge reg. Emilia-Romagna
n. 24 del 2003, che pone tra gli scopi degli interventi la
prevenzione, il contrasto e la riduzione «delle cause del disagio e
dell’emarginazione sociale, con particolare riferimento alla legge
regionale 12 marzo 2003, n. 2 (Norme per la promozione della
cittadinanza sociale e per la realizzazione di un sistema integrato
di interventi e servizi sociali)» (art. 2, comma 3).
Ne deriverebbe che la norma censurata, nella parte in cui prevede
l’intesa del prefetto in relazione alle decisioni comunali di
avvalersi della collaborazione dei volontari, violerebbe la
competenza regionale in materia di polizia amministrativa locale.
L’illegittimita’ costituzionale del comma 40 si riverbererebbe
sul comma 41, nella parte in cui prescrive che le associazioni siano
iscritte in un elenco tenuto e gestito dalle prefetture. Ne’ il
carattere esclusivamente statale di tale gestione verrebbe meno a
fronte del richiesto parere del comitato provinciale per l’ordine e
la sicurezza pubblica, di cui all’art. 20 della legge 1° aprile 1981,
n. 121 (Nuovo ordinamento dell’Amministrazione della pubblica
sicurezza), trattandosi di organo anch’esso statale, senza alcuna
partecipazione delle Regioni.
Altrettanto dovrebbe dirsi con riguardo al successivo comma 42,
che stabilisce criteri di preferenza nella scelta delle associazioni
iscritte e vieta l’iscrizione nell’elenco di associazioni che
fruiscano di risorse a carico della finanza pubblica: essendosi al
cospetto di scelte che, nell’ambito dei servizi di polizia
amministrativa locale, spettano al legislatore regionale e non a
quello statale.
Da ultimo, il comma 43 – nell’affidare ad un decreto del Ministro
dell’interno il completamento della disciplina posta dai commi
precedenti (compito concretamente assolto dal d.m. 8 agosto 2009, di
cui le ricorrenti deducono di aver deliberato l’impugnazione per
conflitto di attribuzioni) – violerebbe, oltre al quarto, anche il
sesto comma dell’art. 117 Cost., prevedendo una competenza
regolamentare statale in materia di competenza legislativa regionale.
In via subordinata, ove si ritenesse che le norme censurate siano
espressione di una esigenza di disciplina unitaria in un ambito in
cui le competenze statali e regionali si intersecano, i commi 40, 41
e 43 dell’art. 3 della legge statale andrebbero ritenuti comunque
costituzionalmente illegittimi per la mancata previsione di adeguati
meccanismi di coordinamento: piu’ in particolare, per non aver
previsto che all’intesa richiesta ai fini dell’utilizzazione delle
associazioni partecipi anche la Regione; che questa abbia un ruolo
nella procedura di iscrizione e nel monitoraggio delle associazioni
stesse; che la disciplina di completamento sia dettata, anziche’ con
atto unilaterale del Ministro dell’interno, dallo stesso Ministro
d’intesa con la Conferenza Stato-Regioni o, preferibilmente – stante
la presenza di interessi provinciali e comunali – con la Conferenza
unificata.
L’esigenza di introdurre meccanismi di coinvolgimento delle
Regioni deriverebbe non soltanto dal generale principio di leale
collaborazione, ma anche dallo specifico dovere, sancito a carico
dello Stato dall’art. 118, terzo comma, Cost., di disciplinare «forme
di coordinamento tra Stato e Regioni» nelle materie di cui alla
lettera h) del secondo comma dell’art. 117 Cost.
3. – Si e’ costituito, in tutti i giudizi, il Presidente del
Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura
generale dello Stato, chiedendo il rigetto dei ricorsi.
Ad avviso della difesa dello Stato, le norme impugnate si
collocherebbero nell’ambito della materia «ordine pubblico e
sicurezza», quale definita dalla giurisprudenza costituzionale; cio’,
anche alla luce del criterio della prevalenza, del quale la Corte ha
gia’ fatto specifica applicazione in situazioni di astratto concorso
con la competenza in materia di «polizia amministrativa locale»
(sentenza n. 222 del 2006): criterio che assicurerebbe «una notevole
capacita’ penetrativa alla potesta’ legislativa statale, con un
raggio d’azione […] trasversale e potenzialmente espansivo su altre
materie anche di competenza regionale».
In questa prospettiva, rientrerebbe nella competenza statale
anche l’attivita’ degli osservatori volontari, i quali, ai sensi del
comma 40 dell’art. 3 della legge n. 94 del 2009, segnalano situazioni
di pericolo per la sicurezza urbana o di disagio sociale.
Quanto, infatti, al concetto di «sicurezza urbana», la
definizione offerta dal d.m. 5 agosto 2008 – specificamente
richiamato, nelle premesse, dal d.m. 8 agosto 2009, emanato in
attuazione della legge n. 94 del 2009 – ha gia’ superato il vaglio
della Corte costituzionale (sentenza n. 196 del 2009). Ma neanche il
riferimento alle «situazioni di disagio sociale» implicherebbe una
invasione delle competenze regionali, e in particolare di quella
attinente ai «servizi sociali». Tale materia comprende, infatti,
«tutte le attivita’ relative alla predisposizione ed erogazione di
servizi […] o di prestazioni economiche destinate a rimuovere e
superare le situazioni di bisogno e difficolta’ che la persona umana
incontra nel corso della sua vita» (sentenza n. 50 del 2008). Di
contro, gli osservatori volontari previsti dalla legge n. 94 del 2009
si limitano a segnalare situazioni critiche, senza erogare servizi.
Parimenti infondate risulterebbero le censure mosse al comma 41.
Acclarato, infatti, che le associazioni di volontari operano solo in
ambiti di competenza statale, apparirebbe pienamente giustificata la
scelta di affidare al prefetto il controllo sulle associazioni stesse
e di prevedere la consultazione del comitato provinciale per l’ordine
e la sicurezza pubblica: organo, quest’ultimo, alle cui sedute
possono essere chiamati a partecipare i responsabili degli enti
locali interessati, attuando, cosi’, il necessario coordinamento con
le attivita’ di competenza dei sindaci.
Analogamente, la preferenza accordata dal comma 42 alle
associazioni costituite da appartenenti in congedo alle Forze
dell’ordine risponderebbe alla ratio di privilegiare l’intervento di
persone abituate ad individuare e gestire situazioni di pericolo «per
l’incolumita’ delle persone, la sicurezza dei possessi e il disagio
sociale», confermando che il legislatore ha ritenuto l’attivita’ dei
volontari finalizzata alla tutela dell’ordine e della sicurezza
pubblica.
Infondate risulterebbero, infine, le censure relative al comma
43, giacche’ il riconoscimento della piena competenza dello Stato
comporterebbe che il legislatore statale sia anche abilitato ad
individuare i meccanismi per la predisposizione degli elenchi delle
associazioni e il controllo sugli iscritti.
Ne’, d’altro canto, si potrebbero invocare forme di coordinamento
ulteriori rispetto a quelle gia’ assicurate dal coinvolgimento del
comitato per l’ordine e la sicurezza pubblica. Anche a ritenere,
infatti, che le attivita’ svolte dagli osservatori siano «contigue»
ad ambiti afferenti alla polizia amministrativa locale, la comune
finalita’ delle disposizioni denunciate, consistente nel
miglioramento delle condizioni di sicurezza dei cittadini, varrebbe
comunque a ricondurle alla materia «ordine pubblico e sicurezza»
sulla base del criterio della prevalenza, senza che sia richiesta
l’applicazione del principio di leale collaborazione.
4. – Nell’imminenza dell’udienza pubblica, la Regione Toscana ha
depositato memoria illustrativa, volta a confutare le argomentazioni
della difesa dello Stato.
Secondo la ricorrente, non risulterebbe probante, ai fini di
inquadrare l’attivita’ delle associazioni di volontari nell’ambito
della materia «ordine pubblico e sicurezza», il riferimento al d.m. 5
agosto 2008, a propria volta richiamato dal d.m. 8 agosto 2009,
attuativo delle norme legislative censurate (decreto, quest’ultimo,
che la Regione Toscana deduce di aver anch’essa impugnato con ricorso
per conflitto di attribuzioni). In primo luogo, infatti, l’idoneita’
lesiva delle competenze regionali, insita nella genericita’ delle
espressioni utilizzate dalle disposizioni legislative denunciate, non
potrebbe essere eliminata rimettendo l’individuazione del significato
di tali espressioni ad un decreto ministeriale, per giunta tramite
rinvio operato da un ulteriore decreto. In secondo luogo, e comunque,
andrebbe ribadito che il decreto ministeriale in questione ha
superato il sindacato della Corte costituzionale solo perche’, a
differenza delle norme impugnate, faceva espresso riferimento
all’art. 117, secondo comma, lettera h), Cost.
Ne’ potrebbe trovare applicazione, nella specie, il criterio
della prevalenza. La Corte costituzionale ha, infatti, rimarcato come
l’interpretazione restrittiva del concetto di «ordine pubblico e
sicurezza» si imponga per non privare di significato le attribuzioni
regionali in materia di «polizia amministrativa locale»: il che
renderebbe illogico ipotizzare l’operativita’ del criterio della
prevalenza, idoneo ad attrarre per altra via le predette competenze
nella sfera statale. In ogni caso, non sussisterebbero neppure i
requisiti individuati dalla giurisprudenza costituzionale per
l’applicazione del criterio in questione, ossia il perseguimento di
una medesima finalita’. L’unica possibile finalita’ comune alle
disposizioni censurate sarebbe, infatti, quella di garantire la
«buona vivibilita’» delle aree urbane: finalita’ che, per l’ampiezza
delle attivita’ e delle funzioni ad essa riconducibili, decamperebbe
dall’alveo delle competenze statali.
In rapporto, poi, all’attivita’ di segnalazione delle situazioni
di «disagio sociale» verrebbe in rilievo, non tanto la competenza
regionale in materia di «servizi sociali», ma quella piu’ ampia in
tema di «politiche sociali»: materia che abbraccia il complesso degli
interventi volti non soltanto a rimuovere le situazioni di disagio,
ma anche a prevenirle, e dunque anche l’attivita’ preliminare di
monitoraggio delle condizioni di vita della comunita’. Con la legge
regionale 24 febbraio 2005, n. 41 (Sistema integrato di interventi e
servizi per la tutela dei diritti di cittadinanza sociale), la
Regione Toscana ha gia’ esercitato, peraltro, la propria competenza
in materia, prevedendo l’adozione di apposite «politiche per le
persone a rischio di esclusione sociale» (art. 58), consistenti
«nell’insieme degli interventi e dei servizi volti a prevenire e
ridurre tutte le forme di emarginazione, comprese le forme di
poverta’ estrema».
Stante l’eterogeneita’ delle cause delle situazioni di disagio
sociale, sarebbe inoltre impossibile ravvisare in dette situazioni
elementi di rischio per l’ordine pubblico e la sicurezza.
Quanto, infine, all’asserita impossibilita’ di invocare forme di
coordinamento ulteriori rispetto al previsto intervento del comitato
provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica, tale affermazione
rifletterebbe l’erroneo presupposto che l’attivita’ delle
associazioni in questione sia integralmente riconducibile all’ordine
pubblico e alla sicurezza: e cio’ a prescindere dal rilievo che nel
predetto comitato possono essere coinvolti solo i rappresentati degli
enti locali, e non anche quelli della Regione interessata.
5. – Anche le Regioni Emilia-Romagna e Umbria hanno depositato
memorie illustrative, di analogo tenore, insistendo per
l’accoglimento dei ricorsi.
Le ricorrenti rilevano che – diversamente da quanto sostiene la
difesa dello Stato – la giurisprudenza costituzionale non avrebbe mai
esteso la competenza statale di cui all’art. 117, secondo comma,
lettera h), Cost. ai settori della sicurezza urbana in senso ampio,
come definita dal d.m. 5 agosto 2008, e alle situazioni di disagio
sociale. Con la sentenza n. 196 del 2009, la Corte ha potuto infatti
respingere il ricorso proposto avverso detto decreto ministeriale
solo dandone una interpretazione restrittiva e adeguatrice, e cioe’
stabilendo – sulla base di un insieme di argomenti esegetici – che
esso «ha ad oggetto esclusivamente la tutela della sicurezza
pubblica, intesa come attivita’ di prevenzione e repressione dei
reati».
Ne’ potrebbe condividersi la tesi secondo la quale il comma 40
dell’art. 3, nonostante il riferimento alle «situazioni di disagio
sociale», non intacca le competenze regionali in materia di servizi
sociali, in quanto gli osservatori volontari sono chiamati non ad
erogare servizi, ma a delle semplici segnalazioni. A prescindere,
infatti, dal rilievo che, ragionando in questi termini, si dovrebbe
ammettere che anche la Regione sia legittimata a creare proprie
«ronde» con il compito di segnalare alla polizia statale fatti che
mettono in pericolo l’ordine pubblico, risulterebbe evidente come
l’organizzazione di un servizio specifico in un campo rientrante
nella competenza delle Regioni leda comunque la competenza stessa. In
realta’, dalle norme impugnate emergerebbe chiaramente che
l’attivita’ degli osservatori e’ stata considerata di competenza
statale per ragioni di materia, e non gia’ perche’ si tratta di
attivita’ di mera segnalazione, come attesta la circostanza che la
segnalazione stessa non venga effettuata alle «istituzioni preposte»,
ma alla polizia statale e locale, senza alcun coinvolgimento degli
organi competenti in materia di servizi sociali.
Quanto, poi, al comma 41, l’intervento del comitato provinciale
per l’ordine e la sicurezza non assicurerebbe affatto un adeguato
coordinamento tra competenze statali e regionali. Da un lato,
infatti, tale intervento risulta limitato alla semplice formulazione
di un parere circa il possesso, da parte delle associazioni, dei
requisiti necessari ai fini dell’iscrizione nel registro; dall’altro,
il coordinamento resterebbe comunque interno alle competenze statali
(quelle del prefetto e quelle dei sindaci, quali ufficiali del
Governo), senza garantire alcuna tutela alle competenze regionali.
Per quel che attiene, ancora, al comma 42, il riferimento al
«disagio sociale» risulterebbe evidentemente «eterogeneo ed
artificioso» rispetto alla scelta legislativa di preferire le
associazioni costituite tra appartenenti in congedo «alle Forze
dell’ordine, alle Forze armate e agli altri Corpi dello Stato».
Ne’, da ultimo, potrebbe farsi appello al criterio della
prevalenza, giacche’ le norme impugnate non sarebbero affatto
accomunate dalla finalita’ di migliorare la sicurezza dei cittadini.
Ad escluderlo basterebbe gia’ il suddetto riferimento alle
«situazioni di disagio sociale»: ma lo stesso concetto di «sicurezza
urbana» si estenderebbe ad interventi estranei all’ambito della
materia di cui all’art. 117, secondo comma, lettera h), Cost.

Considerato in diritto

1. – La Regione Toscana ha promosso questione di legittimita’
costituzionale dell’art. 3, commi 40, 41, 42 e 43, della legge 15
luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica).
Ad avviso della ricorrente, il comma 40 del citato art. 3 – nel
prevedere che «i sindaci, previa intesa con il prefetto, possono
avvalersi della collaborazione di cittadini non armati al fine di
segnalare alle Forze di polizia dello Stato o locali eventi che
possano arrecare danno alla sicurezza urbana ovvero situazioni di
disagio sociale» – detterebbe una disposizione esorbitante
dall’ambito della materia «ordine pubblico e sicurezza», di
competenza legislativa statale esclusiva ai sensi dell’art. 117,
secondo comma, lettera h), della Costituzione: materia da reputare
circoscritta, per consolidata giurisprudenza costituzionale, alle
sole misure inerenti alla prevenzione dei reati o al mantenimento
dell’ordine pubblico.
Il generico concetto di «sicurezza urbana» si presterebbe,
infatti, a ricomprendere interventi – quali quelli volti a migliorare
le condizioni di vivibilita’ dei centri urbani, la convivenza civile
e la coesione sociale – che esulano dal predetto ambito, per ricadere
nel campo della «polizia amministrativa locale», di competenza
legislativa esclusiva regionale, ai sensi dell’art. 117, secondo
comma, lettera h), e quarto comma, Cost.; mentre la formula «disagio
sociale» evocherebbe un’ampia gamma di situazioni di emarginazione,
di varia matrice eziologica, che richiedono interventi inquadrabili
nella materia delle «politiche sociali», anch’essa di competenza
regionale esclusiva ai sensi del quarto comma dell’art. 117 Cost.
Gli evidenziati profili di incostituzionalita’ si
riverbererebbero sulle disposizioni di cui ai commi successivi dello
stesso art. 3: disposizioni che, per un verso, attribuiscono al
prefetto il compito di tenere l’elenco in cui le associazioni di
volontari debbono essere iscritte, di verificare la sussistenza dei
requisiti per l’iscrizione, sentito il parere del comitato
provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica, e di monitorare
periodicamente le associazioni stesse (comma 41); e, per altro verso,
stabiliscono che i sindaci debbano avvalersi, prioritariamente, delle
associazioni costituite tra gli appartenenti, in congedo, «alle Forze
dell’ordine, alle Forze armate e agli altri Corpi dello Stato», ed
escludono che associazioni diverse da queste ultime possano essere
iscritte negli elenchi ove destinatarie, a qualunque titolo, «di
risorse economiche a carico della finanza pubblica» (comma 42). In
materia di polizia amministrativa locale e di politiche sociali, la
fissazione delle regole in questione non potrebbe, infatti, che
competere alle Regioni.
Le citate disposizioni di cui ai commi 40, 41 e 42 risulterebbero
illegittime anche sotto il profilo della violazione del principio di
leale collaborazione, giacche’, pur incidendo su ambiti nei quali le
competenze statali e regionali si intersecano, non prevedono alcuna
forma di coinvolgimento delle Regioni.
Da ultimo, il comma 43 – demandando ad un decreto del Ministro
dell’interno il compito di determinare gli ambiti operativi delle
disposizioni di cui ai commi 40 e 41, nonche’ i requisiti per
l’iscrizione nell’elenco e le modalita’ di tenuta degli elenchi – si
porrebbe in contrasto con il sesto comma dell’art. 117 Cost.,
attribuendo una potesta’ regolamentare allo Stato in materie di
competenza legislativa regionale.
2. – Le disposizioni di cui all’art. 3, commi 40, 41, 42 e 43,
della legge n. 94 del 2009 sono impugnate, con ricorsi di analogo
tenore, anche dalle Regioni Emilia-Romagna e Umbria.
Ad avviso delle ricorrenti, il comma 40 dell’art. 3 violerebbe il
secondo comma, lettera h), e il quarto comma dell’art. 117 Cost.,
nella parte in cui richiede l’intesa con il prefetto in rapporto alla
decisione dei comuni di avvalersi della collaborazione di volontari a
fini di tutela della sicurezza urbana e di prevenzione delle
situazioni di disagio sociale. L’attivita’ regolata decamperebbe,
infatti, dai ristretti confini propri della materia «ordine pubblico
e sicurezza», per ricadere nell’ambito della «polizia amministrativa
locale», di competenza regionale.
Conseguentemente, risulterebbero inficiati da analogo vizio di
costituzionalita’ anche i commi 41 e 42, che dettano regole in tema
di iscrizione delle associazioni di volontari in elenchi tenuti dai
prefetti, di scelta fra le associazioni iscritte e di divieto di
iscrizione delle associazioni destinatarie di contributi pubblici:
trattandosi di determinazioni che, nell’ambito dei servizi di polizia
amministrativa locale, spettano al legislatore regionale e non a
quello statale.
Da ultimo, il comma 43 – nel rimettere ad un decreto del Ministro
dell’interno il completamento della disciplina posta dai commi
precedenti – violerebbe, oltre al quarto, anche il sesto comma
dell’art. 117 Cost., prevedendo una competenza regolamentare statale
in materia di competenza legislativa regionale.
In via subordinata, e per l’eventualita’ in cui le norme
censurate fossero ritenute espressive di una esigenza di disciplina
unitaria in un ambito in cui le competenze statali e regionali si
intersecano, le ricorrenti deducono l’incostituzionalita’ dei commi
40, 41 e 43 per violazione del principio di leale collaborazione e
dello specifico dovere, sancito a carico dello Stato dall’art. 118,
terzo comma, Cost., di disciplinare «forme di coordinamento tra Stato
e Regioni» nelle materie di cui alla lettera h) del secondo comma
dell’art. 117 Cost. Cio’, in conseguenza della mancata previsione di
adeguati meccanismi di coinvolgimento delle Regioni nelle attivita’
regolate.
3. – I ricorsi sollevano questioni di legittimita’ costituzionale
aventi ad oggetto le medesime norme e basate su censure in larga
parte analoghe, onde i relativi giudizi vanno riuniti per essere
definiti con unica decisione.
4. – Giova rimarcare preliminarmente come la disciplina dettata
nelle norme impugnate formi oggetto di scrutinio, nella presente
sede, esclusivamente nella prospettiva della verifica della
denunciata invasione delle competenze legislative regionali, avuto
riguardo segnatamente alla spettanza del potere di stabilire le
condizioni alle quali i Comuni possono avvalersi della collaborazione
di associazioni di privati per il controllo del territorio. La
decisione non investe, dunque, in alcun modo, il diritto di
associazione dei cittadini ai fini dello svolgimento dell’attivita’
di segnalazione descritta dalle disposizioni censurate: diritto che,
ai sensi dell’art. 18, primo comma, Cost., resta affatto
impregiudicato.
5. – Cio’ puntualizzato, la questione di costituzionalita’
relativa al comma 40 dell’art. 3 della legge n. 94 del 2009 e’
fondata, nei limiti di seguito specificati.
5.1. – La facolta’ di avvalersi di gruppi di osservatori privati
volontari (cosiddette «ronde») per il controllo del territorio
rappresenta un ulteriore strumento offerto ai sindaci, a fini di
salvaguardia della sicurezza urbana, dai tre provvedimenti
legislativi statali, recanti misure in materia di sicurezza pubblica,
intervenuti, in rapida successione, a cavallo degli anni 2008-2009
(cosiddetti «pacchetti sicurezza»).
Esso si affianca, infatti, al potere dei sindaci di adottare,
nella veste di ufficiali del Governo, provvedimenti, «anche
contingibili e urgenti nel rispetto dei principi generali
dell’ordinamento, al fine di prevenire e di eliminare gravi pericoli
che minacciano […] la sicurezza urbana»: potere loro conferito dal
primo dei predetti provvedimenti legislativi (art. 6 del
decreto-legge 23 maggio 2008, n. 92, recante «Misure urgenti in
materia di sicurezza pubblica», convertito, con modificazioni dalla
legge 24 luglio 2008, n. 125), tramite novellazione del comma 4
dell’art. 54 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo
unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali).
Nell’occasione, il legislatore – con tecnica poi reiterata in
rapporto all’intervento normativo che qui interessa – ha demandato ad
un decreto del Ministro dell’interno la determinazione dell’ambito
applicativo della ricordata disposizione, con particolare riguardo,
tra l’altro, alla definizione del concetto di «sicurezza urbana»
(art. 54, comma 4-bis, del d.lgs. n. 267 del 2000, come modificato).
Tale compito e’ stato assolto dal d.m. 5 agosto 2008: decreto che
questa Corte ha avuto modo di scrutinare a seguito di ricorso per
conflitto di attribuzione promosso dalla Provincia autonoma di
Bolzano, escludendo la denunciata lesione delle competenze
provinciali (sentenza n. 196 del 2009).
Lo strumento in esame si aggiunge, per altro verso, alla
possibilita’, per i comuni, di utilizzare sistemi di
videosorveglianza «per la tutela della sicurezza urbana», secondo
quanto e’ stabilito dall’art. 6, comma 7, del decreto-legge 23
febbraio 2009, n. 11 (Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica
e di contrasto alla violenza sessuale, nonche’ in tema di atti
persecutori), convertito, con modificazioni, dalla legge 23 aprile
2009, n. 38 (costituente il secondo dei provvedimenti legislativi in
questione). La facolta’ di avvalersi delle associazioni di volontari
era, in effetti, originariamente prevista dallo stesso art. 6 del
decreto-legge ora citato. Le relative disposizioni furono, tuttavia,
soppresse in sede di conversione, per refluire indi nell’art. 3,
commi 40, 41, 42 e 43, della legge n. 94 del 2009: norme oggi
impugnate.
5.2. – Tanto premesso, il problema nodale posto dalle odierne
questioni di costituzionalita’ attiene alla valenza delle formule
«sicurezza urbana» e «situazioni di disagio sociale», che compaiono
nel comma 40 dell’art. 3 della legge da ultimo citata a fini di
identificazione dell’oggetto delle attivita’ cui le associazioni di
volontari sono chiamate («i sindaci, previa intesa con il prefetto,
possono avvalersi della collaborazione di associazioni tra cittadini
non armati al fine di segnalare alle Forze di polizia dello Stato o
locali eventi che possano arrecare danno alla sicurezza urbana ovvero
situazioni di disagio sociale»). In particolare, si tratta di
stabilire se dette formule individuino o meno ambiti d’intervento
inquadrabili nella materia «ordine pubblico e sicurezza», demandata
alla legislazione esclusiva statale dall’art. 117, secondo comma,
lettera h), Cost.: materia che – in contrapposizione alla «polizia
amministrativa locale», da essa espressamente esclusa – deve essere
intesa, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, in
termini restrittivi, ossia come relativa alle sole misure inerenti
alla prevenzione dei reati e alla tutela dei primari interessi
pubblici sui quali si regge l’ordinata e civile convivenza della
comunita’ nazionale (ex plurimis, sentenze n. 129 del 2009; n. 237 e
n. 222 del 2006; n. 383 e n. 95 del 2005; n. 428 del 2004).
L’interrogativo richiede una risposta differenziata in rapporto
alle due locuzioni che vengono in rilievo.
5.3. – Quanto, infatti, al concetto di «sicurezza urbana», il
dettato della norma impugnata non e’ in contrasto con la previsione
costituzionale.
Come gia’ ricordato, questa Corte ha avuto modo di pronunciarsi
sul d.m. 5 agosto 2008, che ha definito il concetto in questione con
riferimento al potere dei sindaci di adottare provvedimenti secondo
la previsione dell’art. 54, comma 4, del d.lgs. n. 267 del 2000. Ai
sensi dell’art. 1 del citato decreto ministeriale, la nozione di
«sicurezza urbana» identifica «un bene pubblico da tutelare
attraverso attivita’ poste a difesa, nell’ambito delle comunita’
locali, del rispetto delle norme che regolano la vita civile, per
migliorare le condizioni di vivibilita’ nei centri urbani, la
convivenza civile e la coesione sociale».
Nell’occasione, questa Corte ha ritenuto che – nonostante
l’apparente ampiezza della definizione ora riprodotta – il decreto
ministeriale in questione abbia comunque ad oggetto esclusivamente la
tutela della sicurezza pubblica, intesa come attivita’ di prevenzione
e repressione dei reati. In tale direzione, si sono valorizzati sia
la titolazione del d.l. n. 92 del 2008 (che si riferisce appunto alla
«sicurezza pubblica»); sia il richiamo, contenuto nelle premesse del
decreto, come fondamento giuridico dello stesso, all’art. 117,
secondo comma, lettera h), Cost., oggetto dell’interpretazione
restrittiva dianzi ricordata ad opera della giurisprudenza
costituzionale; sia, ancora, la circostanza che, sempre nelle
premesse, il decreto escluda espressamente dal proprio ambito di
riferimento la polizia amministrativa locale. Di qui, dunque, la
conclusione che i poteri esercitabili dai sindaci, ai sensi dei commi
1 e 4 dell’art. 54 del d.lgs. n. 267 del 2000, non possono che essere
quelli finalizzati alla attivita’ di prevenzione e repressione dei
reati, e non i poteri concernenti lo svolgimento delle funzioni di
polizia amministrativa nelle materie di competenza delle Regioni e
delle Province autonome (sentenza n. 196 del 2009).
Alla stessa conclusione si deve pervenire con riguardo al
concetto di «sicurezza urbana» che figura nella norma legislativa
statale oggi impugnata, risultando anche piu’ numerosi e stringenti
gli argomenti in tale senso.
A fianco della titolazione della legge n. 94 del 2009, che, anche
in questo caso, richiama la «sicurezza pubblica», viene in
particolare rilievo l’evidenziato collegamento sistematico tra il
comma 40 dell’art. 3 di detta legge – che affida al sindaco la
decisione di avvalersi della collaborazione delle associazioni di
volontari – e il citato art. 54, comma 4, del d.lgs. n. 267 del 2000:
collegamento reso, peraltro, piu’ evidente dalla disposizione del
comma 5 di tale articolo, che gia’ prefigurava il coinvolgimento di
«soggetti privati» in rapporto ai provvedimenti sindacali a tutela
della sicurezza urbana che interessassero piu’ comuni.
Di qui, dunque, la logica conseguenza che il concetto di
«sicurezza urbana» debba avere l’identica valenza nei due casi: cioe’
quella che, in rapporto ai provvedimenti previsti dal testo unico
delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, la citata sentenza n.
196 del 2009 ha gia’ ritenuto non esorbitante dalla previsione
dell’art. 117, secondo comma, lettera h), Cost. Quanto precede trova,
del resto, conferma nel d.m. 8 agosto 2009, che, in attuazione del
comma 43 della legge n. 94 del 2009, individua gli ambiti operativi
dell’attivita’ delle associazioni in questione. Tale decreto
richiama, infatti, nel preambolo espressamente tanto l’art. 54 del
d.lgs. n. 267 del 2000, quanto il d.m. 5 agosto 2008, e fa ulteriore,
specifico rinvio al secondo nell’art. 1, comma 2, proprio al fine di
estendere all’attivita’ delle associazioni di volontari la nozione di
«sicurezza urbana» da esso offerta.
Sotto diverso profilo, poi, l’intera disciplina dettata dalle
norme impugnate si presenta coerente con una lettura del concetto di
«sicurezza urbana» evocativa della sola attivita’ di prevenzione e
repressione dei reati. Significative, in tale direzione, appaiono
segnatamente le circostanze che la decisione del sindaco di avvalersi
delle associazioni di volontari richieda una intesa con il prefetto;
che le associazioni debbano essere iscritte in un registro tenuto a
cura dello stesso prefetto, previo parere, in sede di verifica dei
requisiti, del comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza
pubblica; che il sindaco debba preferire le associazioni costituite
da personale in congedo delle Forze dell’ordine, delle Forze armate o
di altri Corpi dello Stato, ossia da soggetti gia’ impegnati
istituzionalmente, o talvolta utilizzati in funzione integrativa
nell’esercizio di attivita’ di prevenzione e repressione dei reati;
che, infine, le segnalazioni degli osservatori siano indirizzate in
via esclusiva alle Forze di polizia, statali o locali.
Ne’ puo’ condividersi, per questo verso, l’obiezione della
Regione Toscana, stando alla quale si dovrebbe escludere che il
ricorso alle associazioni di volontari, previsto dalle norme
impugnate, resti circoscritto nell’ambito della competenza
legislativa statale di cui alla lett. h) dell’art. 117, secondo
comma, Cost., perche’ cio’ significherebbe affidare a privati
cittadini una funzione necessariamente pubblica, quale appunto quella
della prevenzione dei reati e del mantenimento dell’ordine pubblico.
Tale obiezione non tiene conto, a tacer d’altro, del fatto che le
associazioni di volontari svolgono una attivita’ di mera osservazione
e segnalazione e che qualsiasi privato cittadino puo’ denunciare i
reati, perseguibili di ufficio, di cui venga a conoscenza (art. 333
del codice di procedura penale) e addirittura procedere all’arresto
in flagranza nei casi previsti dall’art. 380 cod. proc. pen., sempre
quando si tratti di reati perseguibili d’ufficio (art. 383 cod. proc.
pen.); mentre lo stesso art. 24 della legge 1° aprile 1981, n. 121
(Nuovo ordinamento dell’Amministrazione della pubblica sicurezza),
nel descrivere i compiti istituzionali della Polizia di Stato,
prevede che essa eserciti le proprie funzioni al servizio delle
istituzioni democratiche e dei cittadini, «sollecitandone la
collaborazione».
5.4. – La conclusione e’ diversa per quanto attiene al
riferimento alternativo alle «situazioni di disagio sociale»: una
espressione in rapporto alla quale non risulta, di contro,
praticabile una lettura conforme al dettato costituzionale.
La valenza semantica propria della locuzione «disagio sociale» –
gia’ di per se’ assai piu’ distante, rispetto a quella di «sicurezza
urbana», dall’ambito di materia previsto dall’art. 117, secondo
comma, lettera h), Cost. – si coniuga, difatti, all’impiego della
disgiuntiva «ovvero» («eventi che possano recare danno alla sicurezza
urbana ovvero situazioni di disagio sociale»), che rende palese
l’intento del legislatore di evocare situazioni diverse ed ulteriori
rispetto a quelle sottese dalla locuzione precedente.
Il rilievo letterale, anche alla luce del generale canone
ermeneutico del «legislatore non ridondante», impedisce di
interpretare la formula in questione in senso fortemente limitativo,
tale da ridurne l’inquadramento nell’ambito dell’attivita’ di
prevenzione dei reati: ossia di ritenerla riferita a quelle sole
«situazioni di disagio sociale» che, traducendosi in fattori
criminogeni, determinino un concreto pericolo di commissione di fatti
penalmente rilevanti. In questa accezione, essa risulterebbe,
infatti, gia’ interamente inclusa nel preliminare richiamo agli
eventi pericolosi per la sicurezza urbana, come attesta puntualmente
il piu’ volte citato d.m. 5 agosto 2008, che – al fine di specificare
i poteri sindacali a tutela della sicurezza urbana – richiede ai
sindaci di intervenire «per prevenire e contrastare», proprio e
anzitutto, «le situazioni urbane di degrado o di isolamento che
favoriscono l’insorgere di fenomeni criminosi, quali lo spaccio di
stupefacenti, lo sfruttamento della prostituzione, l’accattonaggio
con l’impiego di minori e disabili e i fenomeni di violenza legati
anche all’abuso di alcool» (art. 2, lettera a).
Nella sua genericita’, la formula «disagio sociale» si presta,
dunque, ad abbracciare una vasta platea di ipotesi di emarginazione o
di difficolta’ di inserimento dell’individuo nel tessuto sociale,
derivanti dalle piu’ varie cause (condizioni economiche, di salute,
eta’, rapporti familiari e altre): situazioni, che reclamano
interventi ispirati a finalita’ di politica sociale, riconducibili
segnatamente alla materia dei «servizi sociali». Per reiterata
affermazione di questa Corte, tale materia – appartenente alla
competenza legislativa regionale residuale (tra le ultime, sentenze
n. 121 e n. 10 del 2010) – individua, infatti, il complesso delle
attivita’ relative alla predisposizione ed erogazione di servizi,
gratuiti e a pagamento, o di prestazioni economiche destinate a
rimuovere e superare le situazioni di bisogno e di difficolta’ che la
persona umana incontra nel corso della sua vita, escluse soltanto
quelle assicurate dal sistema previdenziale e da quello sanitario (ex
plurimis, sentenze n. 168 e n. 124 del 2009; n. 50 del 2008; n. 287
del 2004).
Non puo’, al riguardo, condividersi la tesi della difesa dello
Stato, secondo cui le disposizioni impugnate non inciderebbero su
tale competenza regionale, in quanto gli osservatori volontari
previsti dalla legge n. 94 del 2009 si limitano a segnalare
«situazioni critiche», senza erogare servizi. Il monitoraggio delle
«situazioni critiche» rappresenta, infatti, la necessaria premessa
conoscitiva degli interventi intesi alla rimozione e al superamento
del «disagio sociale»: onde la determinazione delle condizioni e
delle modalita’ con le quali i Comuni possono avvalersi, per tale
attivita’ di monitoraggio, dell’ausilio di privati volontari rientra
anch’essa nelle competenze del legislatore regionale.
Neppure puo’ essere utilmente invocato, al fine di ricondurre
l’intera disciplina in esame nell’alveo della competenza statale –
come pure sostiene l’Avvocatura dello Stato – il criterio della
prevalenza. L’applicazione di questo strumento per comporre le
interferenze tra competenze concorrenti implica, infatti, da un lato,
una disciplina che, collocandosi alla confluenza di un insieme di
materie, sia espressione di un’esigenza di regolamentazione unitaria,
e, dall’altro, che una tra le materie interessate possa dirsi
dominante, in quanto nel complesso normativo sia rintracciabile un
nucleo essenziale appartenente ad un solo ambito materiale, ovvero le
diverse disposizioni perseguano una medesima finalita’ (sentenza n.
222 del 2006).
Nell’ipotesi in esame, per contro, il riferimento alle
«situazioni di disagio sociale» si presenta come un elemento spurio
ed eccentrico rispetto alla ratio ispiratrice delle norme impugnate,
quale dianzi delineata, finendo per rendere incongrua la stessa
disciplina da esse dettata. Gli interventi del prefetto e del
comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica, la
preferenza accordata alle associazioni fra appartenenti in congedo
alle Forze dell’ordine, la circostanza che le segnalazioni dei
volontari siano dirette alle sole Forze di polizia (e non, invece,
agli organi preposti ai servizi sociali) – previsioni tutte
pienamente coerenti in una prospettiva di tutela della «sicurezza
urbana», intesa come attivita’ di prevenzione e repressione dei reati
in ambito cittadino – perdono tale carattere quando venga in rilievo
il diverso obiettivo di porre rimedio a condizioni di disagio ed
emarginazione sociale.
6. – Il comma 40 dell’art. 3 della legge n. 94 del 2009 deve
essere dichiarato, pertanto, costituzionalmente illegittimo, per
contrasto con l’art. 117, quarto comma, Cost., limitatamente alle
parole «ovvero situazioni di disagio sociale».
E’ da escludere, per contro, che – una volta circoscritta
l’attivita’ delle associazioni di volontari alla segnalazione dei
soli eventi pericolosi per la sicurezza urbana, intesa nei sensi
dianzi indicati – il legislatore statale sia tenuto comunque a
prevedere forme di coordinamento di tale attivita’ con la disciplina
della polizia amministrativa locale, secondo quanto sostenuto dalle
Regioni Emilia-Romagna e Umbria. L’art. 118, terzo comma, Cost.
prevede una riserva di legge statale ai fini della disciplina di
forme di coordinamento fra Stato e Regioni nelle materie di cui alle
lettere b) e h) del secondo comma dell’art. 117 (immigrazione, ordine
pubblico e sicurezza), ma non implica che qualunque legge dello Stato
che contenga disposizioni riferibili a tali materie debba sempre e
comunque provvedere in tal senso.
7. – Le restanti questioni, concernenti i commi 41, 42 e 43 della
legge n. 94 del 2009, non sono fondate.
La lesione del riparto costituzionale delle competenze deriva,
infatti, esclusivamente dalla eccessiva ampiezza della previsione del
comma 40. La declaratoria di illegittimita’ costituzionale parziale
di essa, riconducendo l’attivita’ delle associazioni di volontari, di
cui il sindaco puo’ avvalersi, nel perimetro della materia «ordine
pubblico e sicurezza», di competenza esclusiva statale, rende la
disciplina complementare recata dai commi successivi non
incompatibile con i parametri costituzionali evocati, senza
necessita’ di ulteriori interventi.

Per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE

Riuniti i giudizi,
1) dichiara l’illegittimita’ costituzionale dell’art. 3, comma
40, della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di
sicurezza pubblica), limitatamente alle parole «ovvero situazioni di
disagio sociale»;
2) dichiara non fondate le questioni di legittimita’
costituzionale dell’art. 3, commi 41, 42 e 43, della medesima legge
15 luglio 2009, n. 94, promosse dalle Regioni Toscana, Emilia-Romagna
e Umbria, in riferimento agli artt. 117, secondo, quarto e sesto
comma, e 118 della Costituzione, nonche’ al principio di leale
collaborazione, con i ricorsi indicati in epigrafe.
Cosi’ deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 21 giugno 2010.

Il Presidente: Amirante

Il redattore: Frigo

Il cancelliere: Di Paola

Depositata in cancelleria il 24 giugno 2010.

Il direttore della cancelleria: Di Paola

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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